martedì 30 novembre 2010

Crimen Perfecto - Alèx de la Iglesia (2004)

(Crimen Ferpecto)

Visto in DVD.

Altra commedia nera per de la Iglesia, un poco meno nera ed un po più commedia del precedente “La comunidad”.

La storia di un uomo che impronta l’intera sua esistenza sullo stile e sul fascino, fra abiti perfetti, donne bellissime ed un lavoro impeccabile; che però si trovo ad uccider per sbaglio un concorrente; l’unica testimone è la più brutta delle sue colleghe che approfitterà del vantaggio conseguito per sfruttare in ogni modo il protagonista.

Al di la della regia sempre dinamica di de la Iglesia, il film risalta particolarmente per il discorso anti convenzionale nei confronti del tema della bellezza. Qui in questo film l’essere brutti fuori significa esserlo anche dentro, e la brutta protagonista non cerca una giusta rivalsa, ma un’umiliante sconfitta dell’avversario divenendo peggiore di lui. La simpatia del pubblico poi non può che essere attratta dallo stiloso protagonista maschile.

Interessante, anche se superficiale, il discorso sull’estetica che viene gridato nella scena dell’ascensore. Veritiero e cinico nello stesso tempo.

Certo, “La comunidad” è decisamente migliore ed il finale di questo film delude un poco, ma rimane una delle commedie più interessanti degli ultimi anni.

lunedì 29 novembre 2010

Mishima una vita in quattro capitoli - Paul Schrader (1985)

(Mishima: a life in four chapters)

Visto in VHS, i lingua originale sottotitolato.

La vita del grande scrittore giapponese Yukio Mishima, icona prima ancora che artista, di rilievo nella seconda metà del novecento.

Si, siamo davanti ad una biografia, ma forse è il migliore biopic mai realizzato fino a “Io non sono qui”. La vita è mostrata tutta in funzione della filosofia dello scrittore (sulla confluenza tra bellezza, arte e azione) filtrata attraverso il suo ultimo, esaltante, giorno di vita, flashback del suo passato realizzati in bianco e nero e la messa in scena molto teatrale di 3 suoi romanzi esplicativi dei tre concetti sopra indicati.

Una biografia in 4 capitoli in totale che è più improntata a spiegare il personaggio Mishima, più che i fatti, intenta quindi a dire che fosse e non ciò che ha fatto. In questo senso originalissima.

La realizzazione poi è assolutamente impeccabile, formalmente perfetta nel raccontare la sua vita maestosamente kitch nel mostrare le sue opere; e proprio li sta il meglio. La rappresentazione dei suoi romanzi, anche se molto condensata, è essenziale e perfetta; difficile, ad esempio, pensare ad una miglior realizzazione de “Il padiglione d’oro”, anche se completamente antinaturalistica, l’ambientazione ricostruita in studio con scenografie dipinte integralmente in oro è la cornice migliore che possa essere pensata.

Un lavoro che dimostra una profonda conoscenza dell’autore e che ha il solo difetto di risultare poco comprensibile in diverse parti per chi non è pratico delle opere o della vita di Mishima (stesso difetto che aveva “Io non sono qui”). Rimane però una titanica festa per gli occhi, che nel piatto mondo dei biopic brilla con ancora maggior intensità.

domenica 28 novembre 2010

Baciami, stupido - Billy Wilder (1964)

(Kiss me, stupid)

Visto in VHS.

Finalmente mi sono riappacificato con Wilder e con Diamond. Con questo Baciami stupido non siamo davanti ad un capolavoro, ma finalmente un film dignitoso che diverte e intrattiene con intelligenza.

E’ il classico gioco di fraintendimenti che portano una coppia a separarsi, tradirsi e ritornare insieme come se nulla fosse, sullo sfondo dell’america way of life che sostiene che chiunque abbia doti e intraprendenza può farcela. Wilder prima si scaglia contro il sogno americano, poi contro la mitopoiesi contemporanea (magnifico Dean Martin nella parte di un avvinazzato e donnailo se stesso… quindi nella parte di se stesso) ed infine contro la storia d’amore canonica dove si preferisce la sofferenza al piacere.

Per carità tutto finisce bene, anzi benissimo, ma l’happy ending finale ha un gusto un po amaro per chi si aspetti la solita storia d’amore, i protagonisti si tradiscono l’un l’altro, volontariamente (e la moglie lo fa consapevole di tutta la vicenda) per poi accettare di non sapere mai come siano andate le cose e far finta di nulla.

Bravo Wilder.

sabato 27 novembre 2010

Sweetie - Jane Campion (1989)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Primo film per la Campion e già si vede che non aveva più nulla da imparare. L’attenzione per la costruzione delle scene, il dedicarsi ai dettagli e agli oggetti, le composizioni con inquadrature inusuali, l’uso sapiente dei colori, e la creazione di stupendi inserti surreali ci sono già tutte. La stessa sceneggiatura non è malvagia.
Una ragazza che dovrebbe farsi ricoverare si mette con un tizio soffiandolo all’amica, ovviamente (?) non faranno mai sesso, poi arriva la sorella della protagonista, ancora più da ricoverare, e ne farà di ogni, poi verrà il padre delle due che anche lui meriterebbe almeno una visitina dallo psichiatra, com’è come non è si arriva allo scontro di personalità (e alberi) e si giunge ad un finale inevitabile.
Per carità, la storia troppo spesso gira intorno a se stessa, ma lo fa con grazia e concedendosi momenti di ottima regia, e passa senza problemi. Un ottimo film che spiega fin da subito quello che si vedrà nei decenni successivi.

venerdì 26 novembre 2010

La comunidad, intrigo all'ultimo piano - Alex de la Iglesia (2000)

(La comunidad)
Visto in VHS.
Una dipendente di una ditta di vendita d’immobili si installa per un breve periodo in un appartamento in vendita, dove accidentalmente verrà in possesso di diversi milioni, non sa però che l’intero condominio è a conoscenza della cosa e che sono tutti molto, molto determinati a prendersi i soldi.
Divertente commedia nerissima della mia nuova scoperta personale de la Iglesia (visto quanto ho sentito parlare di “Balada triste de trompeta“ mi sembrava giusto informarmi sulla filmografia precedente prima di vederlo) che con gusto sadico trasforma un colpo di fortuna in una lenta discesa all’inferno praticamente inarrestabile e da cui sembra impossibile uscirne.
La cosa migliore però è la costruzione dei personaggi, tutti hanno una personalità e tutti sono egualmente colpevoli (la protagonista dimostra non poca avidità e si dimostra al pari degli altri condomini, come ci tiene a dirle la sua dirimpettaia), pertanto la fortuna non arride ai più meritevoli, semplicemente ai meno abbietti…
Nel comparto tecnico de la Iglesia sfodera dei colori accesissimi e lussureggianti con una fotografia ben curata; il tutto è incorniciato da una regia circense dalle inquadrature mai banali che trova il suo meglio nelle scene d’azione (il finale sul tetto dei palazzi è realizzato benissimo). Viene poi unito un uso sensato degli effetti speciali, che diventano pacchiani solo in una scena, forse due (come nel salto dell’anziana condomina da un tetto all’altro dove sembra di essere in un film di Stephen Chow).
Una vera scoperta, un film divertente e cattivo diretto da dio e visivamente sorprendente che mi incuriosisce ancora di più sulla “Balada triste”…e ovviamente mi pone in mente la solita questione, perché in Italia non siamo in grado di fare film di questo livello?

giovedì 25 novembre 2010

Il vento - Victor Sjöström (1928)

(The wind)

Visto in Dvx.

Una ragazza va ad abitare dal cugino in una valle in un deserto negli USA dove il vento soffia senza tregua. Il rapporto con la moglie del cugino si fa rapidamente teso e verrà costretta ad abbandonare la casa, per farlo dovrà sposarsi (non potendo sostenersi da sola).

Le cose non possono certo migliorare, legata ad un uomo che non ama e vittima di un vento che la fa uscire di testa, eppure tutto precipiterà solo con l’arrivo di un suo vecchio spasimante e si concluderà in un finale tragico, ma che porterà la ragazza ad amare di nuovo donandole la speranza.

Se il film risulta già di per se originale nella costruzione di una storia in cui un crimine rimane impunito (cosa più unica che rara all’epoca), ciò che più lo contraddistingue è la solida regia di Sjöström, che riesce a rendere odioso il vento anche allo spettatore con il continuo mulinare di sabbia (altra costante del film) e con i vestiti scossi. Ma nel contempo regala immagini e scene ricercate di una bellezza ed un impatto particolari; su tutti merita d’essere citato il cadavere nella sabbia, ironicamente, scoperto dal vento.

Magnifica la Gish, non avrei mai detto di dirlo d’un attore del muto, ma dona al suo personaggio una profondità ed una credibilità mai raggiunti prima.

mercoledì 24 novembre 2010

La camera verde - François Truffaut (1978)

(La chambre verte)

Visto in DVD.

Il film parla di un necrofilo in senso letterale, un uomo che ama i morti più dei vivi o della vita stessa e dei suoi tentativi di non dimenticare chi è passato a miglior vita. Decisamente il tema è originale, che io sappia nessuno prima aveva mai preso così di petto la questione dei morti, però purtroppo i dialoghi troppo aulici rischiano di rendere troppo barocco e cretino il film e il passo lento della trama tedia ben prima di giungere a metà.

La cura ed il realismo della messa in scena, la credibilità dei personaggi e la regia tutta intenta a non staccarsi mai dai protagonisti ridanno spessore alla storia e ad una galleria di personalità che sarebbero altrimenti soffocate degli sbadigli… poi però Truffaut si cimenta nell’arte del distacco e tratta freddamente un film che parla unicamente di empatia con un risultato evidentemente fallimentare.

Certo c’è da dire che Truffaut (anche protagonista) è un pessimo attore, adatti a fare un’espressione sola, a metà via tra l’apatico ed il corrucciato; ma in questo caso ci sta, ci sta tutto, da la giusta tonalità ad un personaggio distaccato e disinteressato dalla vita.

Alla fin fine la storia non ha sussulti, il film non avvolge, non dona il piacere dell’empatia, risulta freddo come il suo protagonista; t, intrattiene senza troppa convinzione un film non convenzionale che avrebbe meritato più cura e meno intellettualismo. Il finale, abbastanza ovvio non salva il baraccone.

martedì 23 novembre 2010

La stregoneria attraverso i secoli - Benjamin Christensen (1922)

(Häxan)

Visto in VHS.

Il film si sviluppa come una sorta di documentario su ciò che si credeva fosse la stregoneria nel medioevo e sulle metodiche utilizzate per “scoprirla”, con diverse scene rappresentate in chiave drammatica e con considerazioni di parte del regista che si schiera apertamente a favore delle condannate.

Il film sarebbe già di per se eccezionale per il punto di vista non scontato (io immagino gli anni ’20 come una propaggine del medioevo) e per la realizzazione pratica che non lesina in creature mostruose e demoni vari, realizzati con maschere decisamente efficaci per l’epoca. Come dicevo il film sarebbe già eccezionale per le ragioni tecniche se nel finale non mostrasse un animo illuminista oltre ogni dire, mostrando come le streghe del medioevo altro non sono che le attuali (per l’epoca) isteriche, rendendo evidente come una malattia psichiatrica potesse essere confusa e storpiata dalla superstizione, ma il film va oltre ancora e dichiara più o meno apertamente che tra le torture perpetrate dalla chiesa cattolica e le cure psichiatriche dell’epoca non c’è una gran differenza. Uno spirito critico davvero notevole al di là dell’esattezza delle situazioni mostrate.

lunedì 22 novembre 2010

Un homme qui crie - Mahamat-Saleh Haroun (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.

Questo è il film vincitore del 30esimo Festival Africano, presentato di nuovo in chiusura per chi, come me, non era riuscito a vederlo.
Un ex campione di nuoto del Ciad, ormai anziano, lavora come bagnino in una piscina per ricconi assieme al figlio. A causa di tagli al personale gli viene preferito il figlio e lui diventa portiere della struttura… nulla di brutto se non fosse che la piscina era il suo ultimo sogno, il suo ultimo contatto con il suo passato da campione, il suo orgoglio e, forse, il suo unico motivo di gioia… poi il Ciad scivola sempre di più verso la guerra civile e lo stato richiede un pagamento per la guerra… il padre avverte l’esercito che il suo ventenne figliolo dovrebbe andare a combattere, e l’affamato esercito non se lo farà ripetere due volte. Presto arriveranno i sensi di colpa; assieme alla fidanzata gravida del figlio; e ci sarà un ultimo, strenuo tentativo di riparare al danno fatto.
Film esteticamente pulito e lindo e di qualità superiore (ma ha preso finanziamenti dalla UE, dalla Francia e dal Belgio, quindi…); con una regia precisa che sa quello che fa e cosa vuol fare, ma soprattutto ha tutti i mezzi per farlo e qualche velleità autoriale (come il lento ed inesorabile zoom sul volto impassibile del padre mentre macina la terribile decisione)… peccato che il suo obbiettivo sia bissare Antonioni
Lunghi silenzi, tante domande lasciate senza risposta (una cosa molto sgarbata, almeno quando chiedono “come stai?” potrebbero rispondere), molte inquadrature fisse (anche se casomai inutili) e prolungate. Per carità il paragone con Antonioni è eccessivo, ma la noia c’è, e una storia di rivalsa originale come questa, ed una regia asciutta e pulita come questa vengono svilite e ammorbate. Peccato.

domenica 21 novembre 2010

The social network - David Fincher (2010)

(Id.)

Visto al cinema.

Fincher fa in media un buon film ogni dieci anni, quindi direi che per questo decennio ha già dato.
The social network è un biopic atipico, che ricostruisce la nascita di facebook tramite la ricostruzione fatta in due distinti processi in cui si ritrova invischiato il giovane Zuckerberg; e tramite i processi non ci viene svelata solo la genesi del più famoso sito internet del pianeta, ma anche l'animo e la psicologia dei personaggi... dei totali nerd.
Fincher si mette nella scia di Hess e di Apatow nella mitopoiesi del nerd; i due registi comici infatti hanno a poco a poco dato dignità alla figura del nerd sfaccettandola e rendendolo un personaggio a tutto tondo, ben lontano da quello che Porky's ci aveva insegnato. Fincher, come dicevo, si mette in scia, ma fa di più; intanto non fa un film comico, e poi mostra ogni lato del nerd archetipico (che è Zuckerberg ovviamente), mostrandone l'incapacità nelle relazioni sociali, il tentativo di ovviare alla mancanza di una vita con quella virtuale, ma anche le passioni, l'amore per la sua prima ragazza mai dimenticata (il finale è esemplare), il desiderio di rivalsa e di grandezza, oltre che la voglia di vendetta, oltre che la dimostrazione di come la frustrazione sia all'origine di ogni vero colpo di genio.

Un film realizzato come si deve, con ottimi dialoghi, cast in parte, ritmo continuo e pochissime velleità autoriali che potrebbero appesantire, e per Fincher rinunciarci non dev'essere stato facile (giusto la stupenda scena della gara di canottaggio fa vedere che se vuole il regista sa tirare fuori gli attributi fondendo inquadrature, montaggio e musica in un mix perfetto).

sabato 20 novembre 2010

Soul boy - Hawa Essuman (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.


Nella baraccopoli Nairobi un ragazzino si accorge che il padre è malato, ma non è una semplice malattia del corpo, al padre è stata rubata l’anima. Per riaverla indietro dovrà affrontare 7 prove chiestegli da una demone donna; prove che lo metteranno di fronte alle sue paure e gli mostreranno la sua stessa vita in un’ottica diversa.

Fiaba moderna con tutti i crismi del caso e con l’aggiunta di una venatura horror nelle belle scene dell’incontro con il demone; peccato per la messa in scena frettolosa che rende il film pieno di ritmo (è vero), ma anche troppo rapido nello svolgimento, avrebbe meritato qualche decina di minuti in più (anche perché il minutaggio è lieve lieve, solo 60 minuti).

Un film per ragazzi fatto da ragazzi, con l’indiscusso vantaggio di trattare il suo pubblico decentemente, senza pensare che ci siano dei cretini davanti allo schermo. Il film evita gli eccessi cazzari e casinisti dei film di questo genere made i USA (ma anche Europa), gli scambi di persone idioti o il fatto che i ragazzi si comportino da adulti in ogni loro atteggiamento. Qui ci sono dei preadolescenti che fanno cose da preadolescenti (e anche le prove da superare si adeguano); i rapporti dicotomici con l’altro sesso; le prove di coraggio cretine sulle rotaie del treno ecc…

Complessivamente un lavoro ben realizzato nella messa in scena (ottima la fotografia) e nella frettolosa sceneggiatura. Anche se la maggior parte del cast artistico e tecnico è preso direttamente dalla baraccopoli, va però detto che questa è stata una produzione in parte europea (compare spesso il nome di Tykwer, ed in effetti il film ha già trovato distributori tedeschi ed uscirà a dicembre) con un sostanzioso contributo tecnico con persone del mestiere. Comunque un buon crossover di competenze.

A proposito di crossover; da sottolineare che nel film si mostra lo spettacolo teatrale itinerante di cui è stata realizzata la versione cinematografica già mostrata in questo festival, si tratta di “Ndoto za Elibidi”; ed altresì da sottolineare la presenza nel cast di questo film di Nick Reding, co-regista dell’altro…


Prima di questo film è stato presentato il corto (solo di nome, perché di fatto è un dignitosissimo medio metraggio di 48 minuti!) “Un transport en commun” di Dyana Gaye.

Questo è decisamente il corto di questo festival (ok, ne ho visti troppo pochi per poterlo dire con certezza, ma l’arroganza è sempre stata una mia virtù). Questo è un musical a tutti gli effetti, ma al contrario di “Nha fala” utilizza tutti gli stilemi classici. Personaggi che improvvisamente si mettono a cantare e tutti attorno a loro cominciano una coreografia complessa e molto curata. Le canzoni non sono tutte splendide (e gli attori non spiccano per la voce…), ma le muscihe sono tutte vecchio stampo (con echi delle canzoni francesi dagli anni 40 ai 60) e funzionano bene. La storia è molto approssimativa e con un poco in più d’impegno sarebbe venuto fuori un lungometraggio di tutto rispetto. Però l’idea è ottima, il formato buono e premia il fatto di non mostrare mai luoghi da cartolina, ma pezzi di vita reale e basta; in più ci sono un apio di canzoni “sociali” sullo stato delle cose nel Senegal o sulle speranza di una vita migliore nell’emigrazione (verso l’Italia, fatalità, Rimini per esattezza, e le belle speranze del personaggio risaltano dalla consapevolezza di quello che in realtà troverà qui… e comunque anche i sengalesi ci vedono come ci vedono gli americani, cappelli di paglia, mandolini e ferrari…).

Ah già la storia, un gruppo di sconosciuti prende un taxi colletivo per andare da Dakar a Saint Louis, per motivi diversi; durante il viaggio parleranno di se…

venerdì 19 novembre 2010

London River - Rachid Bouchareb (2009)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso).

Il film è stato presentato come evento speciale alla memoria di Sotiqui Kouyaté, uno degli attori africani (neri, sennò ci stava anche Charlize Theron nel novero) scomparso nell'Aprile di quest'anno. Questo è stato il suo ultimo film.

Dopo gli attentati del 7 luglio a Londra, una madre (Brenda Blethyn) rimasta senza marito non riceve più notizie dalla figlia. Spaventata decide di andare a cercarla. Una volta giunta alla casa della figlia inizierà a scoprire lati di lei che non conosceva (conviveva con un ragazzo africano, stava studiando l'arabo e frequentava la moschea), mentre sempre di più le serpeggia la certezza che sia morta durante gli attentati. Nel frattempo anche il padre del ragazzo sta cercando notizie del figlio, dopo le prime diffidenze, i due si uniranno nella disperata ricerca.
Classico melodrammone dai risvolti sociali (i soliti discorsi sulla diversità e sull'accettazione) e realizzato con la sempre più odiosa camera a mano... però devo ammetterlo, i drammi inglesi mi conquistano sempre. Sarà la loro verosimiglianza, il loro voler sembrare autentici il più possibile (ecco perchè usano la camra a mano fino allo spasimo), sarà Brenda Blethyn che nelle parti di madre disperata è sempre bravissima, sarà che i drammi inglesi non sono mai consolatori. Anche in questo caso l'accettazione del diverso (che in un film americano, o italiano, sarebbe stato il finale morale prima dell'happy ending) è sostanzialmente inutile, le cose non cambiano, e l'intero film si può riassumere nelle due scene finali; da una parte Kouyaté che da ordine di abbattere uno dei suoi amati olmi, quasi senza combattere; nell'altra la Blethyn che, tornata a casa, zappa la terra, in un impeto disperato, che sembra quasi voler fare del male al terreno, da sola, senza possibilità d'essere aiutata.

giovedì 18 novembre 2010

Ndoto za Elibidi - Nick Reding, Kamau Wa Ndung'u (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso); in lingua originale.

Opera premiata dalla delegazione del Festival di Cinema Africano allo ZIFF (Zanzibar International Film Festival) e che pertanto lo presenta in Italia nella speranza che trovi una distribuzione (non per essere pessimista, ma faccio una previsione… non troverà nessun distributore interessato)

Il film è una sorta di pubblicità progresso sull’uso del preservativo e d’educazione sessuale e sulle malattie sessualmente trasmissibili (HIV)… il che non è positivo… ma non lo si capisce subito…

Il film parte con l’arrivo di un gruppo teatrale (teatro di strada) in una baraccopoli, e mostra lo show degli stessi (il protagonista dello è quell’Elibidi del titolo, a proposito, il titolo significa “Il sogno di Elibidi”); il protagonisti racconta la sua prima volta a Nairobi con il fratello, l’incontro con una ragazza ed il matrimonio… e fin qui le cose vanno da dio. Fotografia di qualità, recitazione stupenda, ed un’idea grandiosa, la commistione tra lo show teatrale mostrato come tale (con costumi di seconda mano, senza alcun oggetto di scena, e con l’unica scenografia rappresentata dalla baraccopoli e dal pubblico sghignazzante) e l’equivalente mostrato come film tout court. Idea ottima realizzata davvero bene, con le azioni iniziate sul palco che si concludono nel luogo reale (Nairobi) e viceversa… va detto che lo spettacolo teatrale è all’origine del film ed è uno show itinerante per il Kenya a scopo educativo realmente esistente.

Poi arrivano le storie delle 4 figlie del protagonista e per un po il film regge; finchè non diventa pesantemente educativo e didascalico; il rapporto tra realtà/finzione, tra teatro/film si annacqua e si perde; e soprattutto quando avviene lo shift verso la tragedia. Per carità tutto ha il suo scopo, e questo è prima di tutto un film educativo, però l’altra carta vincente del film è la leggerezza con cui viene trattato il tema, la levità nel mostrare i rapporti dei personaggi con lo spauracchi dell’HIV, con la scena dello stupro questo effetto viene perso integralmente… ci mette un po a ritornare sul seminato, ma nel finale il film torna quello che era all’inizio…

Che dire, nel complesso è un ottimo film-progresso, ma se solo avessero voluto osare un poco di più e si fossero impegnati nel rendere meno schematica la storia avrebbero potuto realizzare un grande film.

PS: come detto il cast è eccezionale, credibilissimo, spontaneo e bravo in ogni situazione; e i complimenti sono d’obbligo dato che il cast non è fatto da professionisti, ma preso dalla baraccopoli (con qualche show itinerante sulle spalle come gavetta)

Hyènes - Djibril Diop Mambéty (1992)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso); in lingua originale

Opera presentata nell’ambito dei festeggiamenti del trentennale del festival.

Film atipico nel panorama cinematografico africano ad opera di Mambéty, uno dei rinnovatori della settima arte del continente nero. Atipico in quanto è tratto da un'opera di Dürrenmatt: “La visita della vecchia signora”.

La storia è quanto di più affascinante si possa volere. Una donna umiliata e derisa da giovane, fuggita dal suo villaggio torna decenni dopo, ricca e potente, e promette soldi, tanti, a tutto il villaggio, in cambi chiede che venga ucciso l’uomo che ne causò la fuga. Immediatamente tutti si ergono a proteggere il vecchio (come chiosano ad un certo punto; non sono mica in America), ma i regali che l’anzian fa alla popolazione scatenano una serie di reazioni che condurranno all’inevitabile finale. Impossibile la fuga, impossibile il perdono.

Il film rende da dio la tranquilla ansia di vendetta della donna, ma anche il suo immutato affetto per l’uomo che vuole morto (magnifica in questo senso la scena in riva al mare), nonché l’acquisita arroganza dovuta alla sua nuova posizione. Il film voleva essere soprattutto un atto d’accusa contro la corruzione (dello stato, delle forze di polizia, della giustizia, della religione, e una corruzione morale dilagante) densa di simboli tuttora efficaci (l’evidente parallelo con le iene; il grottesco tribunale finale nel cimitero degli elefanti; o la bellissima immagine finale del baobab in lontananza), più qualcuno tipico del luogo (la rete da pesca come immagine della corruzione, che viene usata dal giudice ed indossata al collo del capo della polizia; o le facce dipinte di bianco nel giudizio finale a simbolo del male). In questo senso il film funziona; e funziona bene la regia, abbastanza sicura in toto, con qualche decisa virata autoriale nella costruzione di alcune inquadrature (soprattutto nella chiesa) o nell’utilizzo di alcuni paesaggi (la già citata immagine del baobab, il deserto durante il viaggio in macchina, la costa nella scena sul mare dell’incontro fra i due “antagonisti”).

Non tutto però funziona. I dialoghi sono buoni solo in parte e la storia nel complesso ingrana bene solo ad un certo punto (durante la prima mezzora ho rischiato più volte di addormentarmi). Gli attori presi dalla strada fanno pesare la loro verginità cinematografica e l’intera opera risente di quell’amatorialità dovuta alla mancanza di mezzi.

Ma nonostante questo, nel complesso funziona. Funzione e obbliga a vedere il precedente film tratto dalla stessa opera, stavolta però americano.

mercoledì 17 novembre 2010

Imani - Caroline Kamya (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale.

Nell'Uganda contemporaneo si muovono le vite di una colf la cui sorella è stata arrestata per l'omicidio del marito; un ex bambino soldato che ritorna dalla famiglia che l'aveva perduto; e di un ballerino hip hop che dovrà fare i conti con un ex amico ora capo della mala locale.
Il film si muove su tre binari indipendenti, che non si incorciano mai, ma che vogliono essere l'emblema dell'Uganda contemporaneo (la situazione della donna, la gestione degli strascichi della lunga guerra civile e la voglia di rinascita al di sopra del marciume che ancora ricopre tutto), nonchè un racconto moralizzante sulla forza della fede (questo significa il titolo) per superare le avversità.
Posto che 2 racconti su 3 non hanno un vero e proprio finale (quella del ragazzo che torna dalla famiglia non si conclude, mentre a quella del ballerino vengono dati i titoli di coda in cui vi è il tanto agognato spettacolo), quello che più sorprende è la bravura nel raccontare le storie, più delle storie in se. Gli avvenimenti sono chiari, narrati bene, ottimamente connessi gli uni negli altri e senza mai un attimo di stanca (nonostante non siano storie molto articolate o d'azione). La chiusura del film lasciata allo spettacolo hip hop è un tocco di stile kitaniano che apprezzo molto.
Se si considera poi che questo film è il primo della storia dell'Ugando ad essere ripreso con una red camera, e comunque di qualità decente; il che è decisamente un valore aggiunto.
Niente di eclatante, ma un buon film medio, messo ancora più in luce dalle pessime visioni dei giorni scorsi.

Il film è stato anticipato dal corto "Maibobo", di Yves Montand Niyongabo. Film che dura quasi quanto un mediometraggio e narra, con pochi mezzi e poche pretese, di alcuni ragazzi di strada (i maibobo appunto), orfani della guerra, del loro vivere di espedienti e delle loro aspirazioni... in realtà detto così sembra meglio di com'è; in pratica è solo mezzora di una pubblicità progresso non molto cinematografica, ma estremamente melodrammatica ed ingenua (c'è addirittura una scena in cui uno di questi ragazzi scrive una lettera ai 5 grandi leader della terra per far cessare le discordie e nel farlo piange calde lacrime che bagnano quanto sta scrivendo...sic!)

Heliopolis - Ahmad Abdalla (2009)

(Id.)


Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale.


Il Cairo. Nel quartiere di Heliopolis si muovono diversi personaggi (il film per lo più mostra una receptionist, una coppia di fidanzati, un medico che vuol vendere il suo appartamento, uno studente universitario che fa una ricerca sulle minoranza etniche ed un militare in guardiola) che sprecano la loro giornata con lavori sterili, o in ricerche inutili, o con piccole bugie quotidiane. Tutti accomunati dall’insoddisfazione e dalla paralisi.
Per essere un’opera prima indipendente la regia è decisamente buona, fotografia pulita, una macchina da presa che inquadra il giusto e che gioca a fare la macchina a mano quando serve, un montaggio ben utilizzato e qualche inquadratura decisamente gustosa; quindi complimenti a Abdalla… chi è da insultare è lo sceneggiatore; quindi un vaffa ad Abdalla (maledetti questi registi che non sanno quando devono fermarsi)… si perché il film è devastante. La storia gira a vuoto, sterile come le vite dei protagonisti; e lo fa con un ritmo vertiginosamente lento e pesante…
Un film assolutamente da evitare, non da nulla, se non il sonno.

Il film è stato anticipato da un cortometraggi "El icha (Vivre)" di Walid Tayaa… questa è la storia di una donna tunisina costretta in un lavoro spersonalizzante, tra persone formali ma vuote, un figlio lontano che non ci pensa neanche a tornare e l’ottusità di una religione castrante…. E basta… Tutto qui…. Come a dire “giochiamo a fare un corto banale, ma che sembri intellettuale?”. Non brutto, ma inutile… ed in questo senso è adattissimo al film a cui è stato associato.

martedì 16 novembre 2010

Nha fala - Flora Gomes (2002)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso); in lingua originale.

Quest’anno al Festival di Cinema Africano di Verona hanno deciso di festeggiare il 30 anni con una rassegna dei più importanti film africani (a sentire loro almeno) degli ultimi 3 decenni.
Si comincia con questo Nha fala, film atipico del regista Flora Gomes; questo almeno è quello che dicono, io non ne ho mai visto uno, quindi non mi stupirà vedere frizzi e lazzi (a quanto pare Gomes è un tipo piuttosto uggioso).
Una ragazza dalla Guinea Bissau parte per Parigi dove ha vinto una borsa di studio per 5 anni; prima però saluta tutti e molla l’attuale moroso, un po perché la tradisce con tutte, e un po perché è diventato un ricco trafficone. A Parigi si fa ben volere da tutti, conosce una ragazzo, se ne innamora… i problemi arrivano adesso, perché pare che nella sua famiglia vi sia una maledizione che colpisce le donne, non possono cantare, pena la morte (uuuuhh)… il problema sorge perché il ragazzo la vuole far cantare, anzi la fa cantare, anzi le fa incidere un cd, che vende un casino in tutta Europa… e tutti a questo punti si chiederanno, lei muore? La risposta è no. E il problema allora dov’è? Che sua madre di lei ne soffrirà un casino… non che lei sia rimasta viva, ma che lei abbia infranto la promessa di non cantare mai… si vabbè, a questo punto il film si fa un po incomprensibile, ma la ragazza ha la grande idea di tornarsene a casa ed inscenare il proprio funerale, nel quale si metterà a cantare convincendo anche sua mamma a farlo…
Non una commedia, perché cantano troppo; non un musical, perché cantano troppo poco… in ogni caso è il mio primo mezzo musical africano e c’è da dirlo subito; le musiche sono belle. I testi non sempre e la metrica stride, ma la musica no. Il fatto più curioso è la danza; come nei musical americani classici, la gente all’improvviso si mette a ballare tutta insieme, solo che qui non c’è una coreografia ben delineata; sembra che sia stato detto loro di ballare, muoversi a ritmo della musica, e di fare certi movimenti solo durante il ritornello. Le scenografia, come i vestiti, sono coloratissime; peccato però che la regia non sia adeguata ad un musical e risulti incapace di inquadrare adeguatamente le scene di ballo.
Un peccato soprattutto perché Flora Gomes è tutt’altro che un cretino; sa quello che fa per la maggior parte del tempo, con un piano sequenza piuttosto interessante, un uso incessante del dolly, una fotografia non eccezionale, ma pulita e soprattutto un budget di tutto rispetto, si vede chiaramente.
Alla fin fine, tutto considerato, sarebbe un buon esperimento, un film quantomeno carino se non fosse per la sceneggiatura… è vero che lancia diverse frecciate ironiche alla speranza di vita in Guinea, ai rapporti di forza cambiati nel post-colonialismo, alla convivenza di cattolicesimo e animismo, ecc…, ma manca proprio la storia. La trama è assente per buona parte del film, e quando compare è confusa e assurda; intrisa di un metaforone urlato all’inizio, e di una morale buonista alla fine…
Spiace, ma la delusione è troppa.

lunedì 15 novembre 2010

Il diario di un curato di campagna - Robert Bresson (1951)

(Journal d'un curé de campagne)

Visto in VHS.

La storia in un neodiplomato prete che vien spedito in una parrocchia di periferia. Il che non sarebbe un problema se non fosse un alcolizzato con notevoli problemi di fede lui stesso (e altre disfunzioni morali) che si deve scontrare con alcuni ossi molto duri.

La storia non proprio scattante o attrattiva, trattata con una certa lentezza e qualche caduta di stile (personalmente non sopporto molto la voce fuori campo, che in questo caso dura per tutta la lunghezza del film…).

Se poi nel precedente film lo stile asciutto e geometrico di Bresson era un pregio, in questo caso non fa altro che eliminare la già scarsa empatia, rendere più freddo l’insieme e più lento lo svolgimento.

domenica 14 novembre 2010

eXistenZ - David Cronenberg (1999)

(Id.)

Registrato dalla tv.

Visto quant'è intricata la trama passo subito la parola al mio amico d'infanzia mymovies.

Detto ciò, credo vada sottolineato il momento in cui il film è stato realizzato. Se "Spider" rappresenta per Cronenberg il punto di svolta, il giro di boa oltre al quale cambierà decisamente il suo modo di fare cinema pur mantenendo sostanzialmente inalterate le tematiche fondamentali (un cambiamento coraggioso, che, dati i risultati, denota la grandezza creativa del regista canadese); questo eXistenZ rappresenta la quintessenza del suo cinema fino a quel punto.

Certo il film è un gingillo lucido lucido, edulcorato rispetto alle opere precedenti, ruffiano qb, non eccessivamente destabilizzante, anzi rassicurante il giusto perchè sia gradito al grande pubblico; eppure dentro ci sono tutti i film precedenti, tutte le ossessioni del regista, tutti i temi trattati. Infatti il film parla di mutazione del corpo; di rapporti tra organico e inorganico con la costruzione di macchine vive o fatte di elementi organici (su tutte vince la pistola fatta coi resti del pasto e in cui i proiettili sono fatti dal ponte dentario di Law); il sesso come costante, e tra l'altro il sesso visto di sbieco in un modo non convenzionale e non normale (per quanto possa essere un giocattolo mainstream c'è da dire che questo film presenta una scena in cui una donna penetra un uomo...); il rapporto tra realtà e finzione con la presentazione di più piani di realtà differenti di cui nessuno è il predominante (e questo credo che sia uno dei temi più importanti in questo film, l'assoluta impossibilità a stabilere quale delle molteplice realtà sia quella originaria, anzi forse la mancanza di unicità della realtà messa in scena con questo gioco a scatole cinesi); ecc...

Si insomma un bignami, un riassunto della sua carriera, così da poter poi ricominciare da zero.
Un esercizio di stile, non sono godibilissimo, ma realizzato da dio, con un cast all star (o quasi) degnissimo e una trama che è un gioco d'incastri senza soluzione. Personalmente un cult.

sabato 13 novembre 2010

Roma - Federico Fellini (1972)

(Id.)

Visto in DVD.

Un altro film apertamente dedicato ai ricordi, secondo d’una trilogia ideale. E di nuovo un film meta cinematografico con Fellini di nuovo in gioco nella parte di se stesso. Non c’è una trama in realtà, ma un susseguirsi di episodi, di spezzoni che nel loro insieme costituiscono un affresco che rimanda alla città eterna. Ovviamente tutto filtrato dalla memoria e dall’onirismo di Fellini.

Nel complesso il film non torna, non convince, soprattutto perché non è un film, ma una serie di episodi, ognuno dei quali, preso da solo presenta un fascino particolare, da sogno o da incubo , davvero invidiabile; ma che non si legano quasi per nulla.

Ogni episodio inventa un modo di vedere le cose che verrà successivamente cannibalizzato (il primo episodio, l’arrivo sul raccordo anulare, ad esempio mi ha ricordato sia Jodorowsky, sia il video di Everybody hursts, una similitudine più per assonanze che per copie).

Ogni scena, come dicevo, merita d’essere ricordata per la poesia (l’arrivo in autostrada, i sotterranei di Roma) o per l’ironia (l’avanspettacolo, i due lupanari, la passerella degli abiti di chiesa)

Non un film memorabile o fondamentale, ma un divertisment di classe.

venerdì 12 novembre 2010

Suspiria - Dario Argento (1977)

(Id.)

Visto in VHS.

Dopo "Profondo rosso" Argento si trova a doversi superare, o almeno provarci, quindi cambia finalmente registro, ambienta il film all’estero, cambia personaggi e dinamiche. Non ci si trova più di fronte ad un assassino dall’oscuro passato, ma ci si trova a metà via tra la casa stregata e la comunità demoniaca.

Il registra poi decide che stavolta non val la pena puntare sull’effetto diretto (che comunque c’è, e su tutte è magnifica la scena della ragazza che salta nella stanza piena di filo spinato), quanto di creare atmosfera puntando sull’accumulo. Accumulo di situazioni, di simboli, di simmetrie e di colori. Quindi si affida ad una scenografia geometrica al massimo (scelta azzeccata) e ad una fotografia dai colori violenti molto anni ’70 (scelta pessima), ci aggiunge poi continui momenti WTF come la sublime scena delle camole che cadono dal soffitto (scelta pessima).

A questo pout pourri di tentativi ci aggiunge pochi momenti di regia argentiniana, e quei pochi che ci sono affogati nell’eccesso delle immagini e non sempre vengono colti.

Il cast è abbastanza piatto, non sbagliato, semplicemente incolore. Anche se, come al solito, Argento si toglie il gusto di prendere un grande attore del passato in una parte importante (Alida Valli, mica cazzi).

Il film risulta irrilevanti, sostanzialmente innocuo ed inutile, con uno dei finali più scialbi di sempre (e mal realizzato a livello di effetti speciali), il che è un peccato.

PS: Ora ho capito da dove ha tratto ispirazione Sclavi per il suo numero 3.

giovedì 11 novembre 2010

Quella sporca dozzina - Robert Aldrich (1967)

(The dirty dozen)

Visto in VHS.

Se la "Sposa in nero" è l’origine di "Kill Bill", questa sporca dozzina è lo scheletro di "Bastardi senza gloria". C’è tutto, un manipolo di animali da galera vengono reclutati per una missione suicida, andare nella francia occupata dai nazisti e ammazzarne quanti più possono in un castello. Per farlo dovranno prima essere addestrati e dimostrare il loro valore.

Una sceneggiatura impeccabile, granitica, testosteronica e ironica crea personaggi perfetti e intramontabili; sorretti da un cast all star davvero invidiabile e all’altezza. Su tutti, ovviamente spiccano Lee Marvin (ma va?!) e il magnifico Charles Bronson (ma va?! di nuovo). Magnifico anche Savalas nella parte del maniaco sessul-religioso; se non avessi visto prima Kojak credo che assocerei la sua faccia solo a questo personaggio.

Aldrich poi si concentra sui personaggi, con una regia senza troppi vezzi, ma anche senza sbavature, assolutamente all’altezza dell’opera da realizzare.

Un pezzo di storia del cinema troppo poco considerato rispetto al suo reale valore. Puro intrattenimento di classe.

mercoledì 10 novembre 2010

L'ombra del dubbio - Alfred Hitchcock (1943)

(Shadow of a doubt)

Visto in DVD.

Magnifico film di Hitchcock che imbastisce una storia in cui il dubbio è più dello spettatore che non dei personaggi, la possibilità che Cotten sia colpevole o innocente sono quasi equilibrate e spesso disattese in un gioco continuo di giustificazioni.
A livello di regia H. mostra ciò che Scorsese farà decenni più tardi; realizza il film come un tripudio di carrelli ed inquadrature affatto banali, intarsiate in porte aperte e finestre, creando un film dalle scene mai banali.
Il cast in parte (ovviamente Cotten è sempre all’altezza del suo personaggio) rifinisce un film già buono di suo.
L’unica vera pecca è il doppiaggio italiano, che da la stessa verve di un cadavere (un cadavere molto irritante). Da vedere assolutamente in lingua.

martedì 9 novembre 2010

Da qui all'eternità - Fred Zinnemann (1953)

(From here to eternity)

Visto in VHS.
Cosa succede se si vuol fare un dramma tennesee-williamsiano (con sentimenti potenti ed oscuri, con rapporti interpersonali difficili ed esplosivi) senza Tennesee Williams? Un film che punta sulla noia sperando che lo renda profondo e sulla banalità pensando lo renda accettabile da tutti.
Negli anni 40, in una base militare USA nele Hawaii si incrociano i destini di un gruppo di militari e relative compagne, finchè l’attacco giapponese non rovina tutto… ecco, per gran parte del film ci si dimentica d’essere a Pearl Harbour, e ci si chiede perché abbiano voluto fare a tutti i costi questo film; quando finalmente arriva la scena clou, si capisce l’importanza mitopoietica dell’opera nonché il titolo.
Il film è completato da un M. Clift che sfoggia la sua espressione da cane bastonato preferita per 2 ore nette, da un B. Lancaster che più che recitare si muove col piglio giusto nelle scene, da un in utilissimo ed irritante F. Sinatra, da un negativo (ma sempre all’altezza) E. Borgnine, e da una irriconoscibile (almeno per me) D. Kerr.
Un film noioso e deludente che pone in cattiva luce l’altrimenti apprezzabile Zinnemann.

lunedì 8 novembre 2010

Il falcone maltese - John Huston (1941)

(The maltese falcon)
Visto in DVD.
Questo è il primo film realizzato da John Huston, un film in cui nessuno credeva particolarmente, fatto con 2 soldi (risulta infatti interamente girato in interni) e dal successo inaspettato.
Per ovvi motivi guardando l’opera prima di Huston non sono riuscito a togliermi di testa “Il grande sonno”. Ma mentre il film di Hawks risulta un opera organica ben realizzata sotto ogni punto di vista, ma decisamente superiore nella sceneggiatura; il film di Huston batte l’avversario nella regia. Non avendo i mezzi Huston ci mette le capacità, ed incastra i personaggi in sapienti movimenti di camera, sfrutta ogni angolo degli spogli interni, si concentra sulle ombre e sui corpi realizzando un film decisamente oltre le aspettative.
Se Spade è un Marlowe più spavaldo e disprezzabile (fa il figo in ogni inquadratura e alla fine risulta un banale buonista), l’interpretazione di Bogart risulta più convincente, o quantomeno più dinamica, che nel film tratto da Chandler.
La storia è decisamente cretina, a malapena decente; tuttavia questo riesce ad essere comunque un film imprescindibile nel genere noir.

domenica 7 novembre 2010

Lo specchio scuro - Robert Siodmak (1946)

(The dark mirror)

Visto in VHS.

Un uomo viene assassinato, si riesce a rintracciare la presunta colpevole, ma c'è un problema, ha una sorella gemella identica, ed essendo irriconoscibile la legge ha le mani legate, non può accusare 2 persone dello stesso crimine e non può dimostrare con certezza quale delle 2 abbia commesso il fatto. Uno psichiatra si metterà ad indagare per proprio conto scoprendo in una delle due sorelle la follia.
Stupendo film sul tema del doppio e della manipolazione con la costruzione di un personaggio (Terry) tra i migliori pazzi di sempre (cerca di rendere folle la sorella per potersene disfare, e ammazza tutti quelli che non le mostrano le dovute attenzioni).

Noir oscuro al di la delle ombre del bianco e nero ben diretto dall'adatto Siodmak e stupendamente interpretato dalla de Havilland che nella follia sembra proprio sguazzarci, dando credibilità ad entrambe le protagoniste. Primo caso, che io sappio, di un attore che interpreta due gemelli.

sabato 6 novembre 2010

Maschera di cera - Jaume Collet-Serra (2005)

(House of wax)

Visto in Dvx.

Film horror liberamente (molto liberamente) ispirato ai due precedenti film sul tema delle statue di cera.
La storia beh... alla fin fine è il classico horror extraurbano con degli stupidi ragazzotti made in usa che vanno a farsi massacrare da dei bifolchi/pazzi violenti/dementi deformi, qui abbiamo tutte e tre le alternative. Beh niente di nuovo certo, ma la prima cosa che mi son detto quando ho visto questo film è stato "Minchia quant'è fatto bene", e mi sono messo a pensare a tutti gli horror degli ultimi 10 anni che ho visto (e me ne saranno venuti in mente massimo 2) e devo ammettere che a livello puramente visivo l'ultimo decennio ha visto un innalzamento della qualità media di questo genere, pur rimanendo prodotti magari banali ma finalmente c'è un'attenzione speciale nella realizzazione.
Detto ciò il film è proprio la classica porcata irritante, con attori fighetti che fanno cose stupidissime (fuggono sulle scale quando c'è una porta che li immeterrebbe sulla strada principale, chiedono di usare il bagno ad un tizio poco raccomandabile e invece rimangono li a giocare con le sue maschere di cera i feti di animali sotto formalina e una sala operatoria fatta in casa!!!!) che ti fanno immediatamente tifare per i cattivi anche se, come in questo caso, l'appeal dei cattivi è minore di quello che provi per un film di Michael Bay quando hai voglia di azione (sai che fa schifo però almeno c'è gente che corre e qualche esplosione, e ti accontenti)...
La cosa forse peggiore è che l'idea di base è assolutamente buona, la possibilità della cera come mezzo horrorifico è magnifica e praticamente mai sfruttata, ma il buon Collet-Serra (???e chi è???) pensa bene di fregarsene e rimane nel già visto che almeno qualche soldo lo porta sempre; giusto in un paio di scene (ad esempio quando trovano il ragazzo trasformato in statua e cercano di togliergli la cera di dosso) o giusto nel finale quasi epico dove tutto si scioglie e viene distrutto.
Un film normale, senza brividi e senza empatia, un peccato per un'idea che avrebbe potuto fare faville.

PS: 2 appunti; 1, si c'è Paris Hilton, e si ci st bene in questo film come Hitler in tutù al Bolshoi, però almeno fa una brutta fine (tra l'altro la sua dipartita è anche una delle scene migliori del film...); 2, si c'è una colta citazione da "Che fine ha fatto Baby Jane?" con la Davis che canta la canzoncina di quando era bambina, e si il film viene trasmesso in un cinema pieno solo di cadaveri... spiace però il citazionismo anche in chiave grottesca e pseudometaforica, non basta a fare un buon film...

venerdì 5 novembre 2010

Pelle alla conquista del mondo - Bille August (1987)

(Pelle erobreren)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Il film è l'epopea di un anziano padre svedese (von Sydow) emigrato nella sprezzante Danimarca, e di suo figlio. Niente di più.
Il film si caratterizza per una regia molto azzimata, classica fino allo sfinimento, che punta sugli umidi paesaggi locali e sui volti consumati degli attori. Pur non essendo mai noioso nonostante il ritmo rilassato e la totale assenza di sintesi; il film non può aspirare ad essere molto più di un ottimo documentario. Si segue la storia, e ci si rimane male per le condizioni di vita dei protagonisti, ma il tutto rimane distaccato, su un piano lontanto, consapevoli della finzione messa in una bella veste. Non c'è partecipazione da parte degli spettatori perchè manca quella del regista. Si fa la parte degli entomologi che fissano le formiche.
A dare struttura alla storia non quasi mai August, quanto gli attori, adatti alla parte, credibili e quasi mai sopra le righe; e se von Sydow è certamente bravo, a stupire è Pelle Hvenegaard, perfetto nella parte del giovane protagonista, e curiosamente suo omonimo.

giovedì 4 novembre 2010

Il carretto fantasma - Victor Sjöström (1921)

(Körkarlen)

Visto in Dvx.

Film mitico di Victor Sjöström tratto da una novella della mitica Selma Lagerlöf (prima donna a ricevere il Nobel).
La storia è un dramma morale che potrebbe essere assimilito al canto di natale Dickensiano, ma con un rischio di morte in più. Si tratta infatti di un uomo che la notte di capodanno muore (in teoria) e morendo in quella notte e mezzanotte dovrebbe essere condannato a dirigere il carretto del titolo (che sarebbe il carro su cui vengono portate le anime dei morti al momento del trapasso), lui ovviamente ci rimane male, ma il conducente del carretto precedente gli mostra i suoi peccati, lui ci rimane male eccetera...
Niente di che insomma come storia. Il film si guarda volentieri per gli effetti speciali, fatti di sovrapposizioni, con cui viene rappresentato il carro (effetti quasi mai ridicoli); e per questo scopo bastano 10 minuti circa, il resto passa, prevedibilmente, senza lasciare traccia.
Il regista recita nella parte del protagonista.

mercoledì 3 novembre 2010

Il gatto a nove code - Dario Argento (1971)

(Id.)

Visto in DVD.

Al suo secondo film Argento non migliora nella regia, anzi; gli unici avanzamenti sono i giochi sempre più raffinati per nascondere l’identità dell’assassino e maggiori virtuosismi in soggettiva. Argento però ha imparato un poco la lezione nella stesura della storia e evita con stile le parti inutili, non allunga la minestra, o meglio la allunga con stile, rendendo tutte le scene interessanti, magari vicoli ciechi, ma dei gran bei vicoli ciechi. Solo il finale è un po troppo frettoloso e rapido.

Poi ha dalla sua il grande Malden in una parte non titanica ma dignitosa (certamente più che in Le strade di san francisco) e Catherine Spaak fa proprio di tutto per non mostrare le tette, quant’è stoica.

Un ottimo film, decisamente migliore dell’uccello, ma ancora Profondo rosso è lontano.

martedì 2 novembre 2010

Crisi - Ingmar Bergman (1946)

(Kris)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Al suo primo film Bergman vuole già fare l’adulto e mette insieme un drammone famigliare melodrammatico al massimo, con madri putative buone e morenti che vengono defraudate del loro bene più caro, la figlia, dalla madre biologica dopo che questa s’è divertita per tutti gli anni in mezzo, fregandosene della prole. Poi ci mette in mezzo pure la differenza fra villaggetto di campagna e grande città e pure i primi amori di una ragazza; un po’ tutto quello che si può mettere in un melò (ci sono pure le lacrime trattenute).

La regia è quanto di più novelle vagueano sia mai stato fatto prima di Truffaut, con temi adulti mostrati con realismo, ambienti essenziali ma credibili, quel tanto di intellettualismo che fa applaudire la critica e tutta la messa in scena che si interessa tanto dell’estetica quanto della naturalità di come vengono mostrate le cose. Ottimo, nel dettaglio, l’uso insistito dei lenti carrelli utilizzati in zoom in avanti ed indietro per rendere ariose le scene con un solo piano sequenza.

Un buon inizio, un poco noiosetto; anche se il suo difetto maggiore è la voce fuori campo all’inizio e alla fine del film, decisamente pessima.

lunedì 1 novembre 2010

Nightmare detective 2 - Shinya Tsukamoto (2008)

(Akumu tantei 2)

Registrato dalla tv, in lingua originale sottotitolato.

Se l’uno era un giocattolo ben realizzato ma inutile, questo secondo capitolo prende solo metà del primo, e diventa solo inutile.

La messa in scena è totalmente banale, non realistica e meno curata (anche se si vede che c’hanno più soldi). La storia 3 volte più confusa, con continui inserti sulla noiosissima infanzia del protagonista che dovrebbero dare spessore al personaggio e creare un parallelo con l’indagine in corso, ed invece appesantiscono il tutto; poi c’è tutto il comparto metafisico che da metà film in poi rompe, e tanto.

Un film inutile e deleterio, di cui è inutile discutere troppo a lungo, ed in cui l'impronta del regista rimane, nella migliore delle ipotesi, invisibile.