lunedì 31 marzo 2014

Radio killer - John Dahl (2001)

(Joy ride)

Visto in tv.

Due fratelli fanno uno scherzo "radiofonico" ad un camionista facendolo andare nella camera di motel a fianco alla loro facendogli credere che ci sia una ragazza ad aspettarlo (in realtà c'è un grosso bastardo con cui hanno avuto una discussione). La mattina dopo scopriranno che il camionista ha ucciso l'occupante. Da quel momento saranno perseguitati dal camionista; li inseguirà, cercherà dio investirli, rapirà un'amica, riuscirà a trascinarli in un motel per lo showdown finale.

Il film scorre via facilmente senza impegnare troppo; non c'è mai vera tensione, ma la scena dell'inseguimento nel mais inizia bene e lo showdown è abbastanza intelligente. Peccato che comunque sia, i presupposti vengono disattesi.
Inevitabile il parallelo con Duel, ma dopo pochi minuti ci si rende subito conto che il campo di gioco è completamente diverso. Qui è uj thriller banale che ci prova, ma messo in mano a persone poco capaci vengono tutte sprecate.
Come dicevo, comunque, passa via facilmente, non ti irrita con la sua incapacità, ma ti intrattiene con il suo tentar di fare qualcosa di decente.

venerdì 28 marzo 2014

Il grande Lebowski - Joel Coen, Ethan Coen (1998)

(The big Lebowski)

Visto in dvd.

La complicata storia di un hippy invecchiato degli anni '90 che cerca di recuperare il tappeto rovinato per uno scambio di persona, tra una partita e l'altra di un torneo di bowling. Andare più nel dettaglio di così è un suicidio.

I Coen realizzano quasi sempre film noir, talvolta in maniera dichiarata, talvolta invece più cammuffati come in questo caso; quando poi il film non è noir ha comunque il caso (o se vogliamo il destino) come motore immobile della vicenda esattamente come nei noir classici.

In questo caso la struttura noir è evidentissima, scambi di persona, rapimenti, inganni a catena, donne fatali, ricchi sulfurei e l'impossibilità di amare con una facilità imbarazzante nel morire (quest'ultima definizione sembra essere presa in giro in maniera evidente durante il film).
Su questo viene costruito uno dei personaggi più semplici, ma geniali, della storia del cinema (certamente il vero personaggio degli anni '90); una gallerie di comprimari che avrebbero meritato, ognuno, un film a sè (dove su tutti troneggia un John Goodman mai più così ben utilizzato) interpretato da quella che è la più densa gallerie di facce da caratteristi indi del cinema.
Un film dove la trama è assente (per il suo essere noir) e quello che conta è porprio la gallerie di fatti e persone che vengono mostrate; e in tutto questo riesce a far ridere in molti momenti e vira nel drammatico (e nell'autoanalisi) per alcuni minuti complessivi, senza ammazzare mai il ritmo.
Vi sono inoltre due famose scene oniriche; la seconda delle quali è una gustosa riproposizione di tutti gli elementi fondamentali del film in chiave musical della warner.

mercoledì 26 marzo 2014

Blackmail is my life - Kinji Fukasaku (1968)

(Kyôkatsu koso waga jinsei; AKA Blackmail is my business)

Visto in DVD.

Un ragazzo cerca di farsi strada nell'opprimente mondo del lavoro giapponese; per fatalità e per voglia di uscire dal ristorante dove serve come camerieri, si mette a ricattare le persone. Questa attività, organizzata in maniera professionale farà vivere a lui e al suo gruppo di "collaboratori" una serie di avventure fino allo scontro finale con un potente boss.

Fukasaku nel '68 venne assunto per fare velocemente un film di gangster che all'epoca ancora impazzavano; ma non si tratta più degli yakuza dei decenni prima, fatti di regole ed onore; neppure si tratta del crudo e adrenalinico resoconto dei bassifondi che lo stesso Fukasaku creerà nel decennio successivo; qui è qualcosa di diverso.
Da un punto di vista di contenuti, il tema è trattato con un'ironia che si stempererà nel dramma solo nella seconda parte (ma che nel finale tornerà in maniera ancora più aggressiva), il tema è trattato con salti continui nel passato con flashback ampi o brevissimi, che veicolano informazioni nuove o reiterano i pensieri dei personaggi o fatti già mostrati; i cattivi sono sostanzialmente tutti, ma risultano buoni i protagonisti solo per il ritmo scanzonato dei loro misfatti.
Dalla parte della regia Fukasaku semplicemente sperimenta a 360°. Al di là del ritmo sostenuto che sarà spesso una sua caratteristica, qui fa di tutto. In un film a colori vi sono inserti in bianco e nero all'inizio dei flashback per sottolineare il salto indietro, ma dissolve nel colore rapidamente per sfruttarne le possibilità. Usa i fermo immagine (pure a sproposito) per fare di tutto; concludono scene, messi in sequenza si sostituiscono a scene di violenza, talvolta riprendono fatti del passato o rappresentano un'intera vicenda. Il protagonista parla direttamente in macchina da presa fuori dalle vicende, durante lo svolgimento dei fatti alcuni personaggi guardano direttamente in maniera "involontaria" (cioè non mostrano di vedere la macchina da presa, ma si mettono in posa davanti ad essa). Utilizza (nel finale) immagini riprese con figuranti involontari.
Al di là dell'ovvio paragone con la nouvelle vague, a me ha spesso ricordato lo Scorsese adrenalinico, estremo e divertito dei suoi migliori film di mafia o del recente "Wolf".

Un film complessivamente eccessivo per idee messe in campo in maniera incontrollata ed imperfetto per una trama che viaggia a episodi disgiunti, che saltano dall'uno all'altro senza molta continuità e per un certo rallentamento. Ma ciononostante un film estremamente valido per chi conosce Fukusaku, ma può essere motivo di interesse anche per chi non lo conosce.

lunedì 24 marzo 2014

Ballando con uno sconosciuto - Mike Newell (1985)

(Dance with a stranger)

Visto in tv.

La storia dell'ultima donna condannata a morte in UK; anni '50, divorziata con due figli, corteggiata da un gentleman di mezz'età che considera solo un amico e amante di un giovane viveur di una nobile famiglia ormai senza soldi. La relazione con il giovane renderà instabile la sua vita già precaria e per riuscire a liberarsi di lui (e del fatto che ancora lo ama) arriverà ad ucciderlo.

Una storia di una drammaticità notevole trattato con un distacco formale impeccabile a livello visivo, ma non entusiasmante per empatia... Alla fine spiace per quella donna, ma tutto sommato non se ne viene molto coinvolti e si passa sopra rapidamente.

A livello visivo però, come dicevo, è impeccabile. Costumi perfetti, trucchi e capigliature adeguate, location all'altezza. Il cast si muove con una grazia indicibile, se Holm si sa che è un signore della recitazione è però la Richardson che la fa da padrona, con smorfie e ammicchi continui da parte di una donna che somatizza il dolore che prova.

Una cadillac senza motore. Intrattiene, ma non da niente.

venerdì 21 marzo 2014

Il pianeta verde - Coline Serreau (1996)

(La belle verte)

Visto qui.

Un pianeta evoluto oltre l'industrializzazione e scivolato in una decrescita felice che ha potenziato il senso morale e le capacità psichiche degli abitanti, una donna, da poco vedova, decide di andare sulla Terra (pianeta schifato da tutti) per aiutarne gli abitanti. L'impatto con la terra sarà complicato, lei un'ingenua con poteri paranormali, incontrerà un ginecologo gentile e comincerà da li il suo proselitismo.

Film ideologico fino all'eccesso stucchevole, che si muove solo per dimostrare una tesi (tutto quello che siamo è sbagliato, tutto quello che è decrescita è buono e felice... non a caso Latouche è francese)... quindi in se è già un film che parte male...
Prosegue in linea con le premesse, la sceneggiatura è stata scritta solo per urlare sempre lo stesso concetto e non riesce mai a costruire una storia interessante, ma accumula prediche; i personaggi sono solo veicoli di caratteri archetipici e terribilmente piatti. La regia non offre molto.
La carica eversiva e surreale del film precedente qui potrebbe anche esserci, ma è annacquata dalla voglia di fare un sermone.

Ma forse quel che è peggio, non è divertente. Intrattiene con una leggerezza che è spesso inconsistenza; è un film che non può fare del male a nessuno; ma non è divertente e può appagare solo chi cerca conferme nella tesi proposta.

mercoledì 19 marzo 2014

La mafia uccide solo d'estate - Pierfrancesco Diliberto (2013)

(Id.)

Visto al cinema.

La vita di un ragazzo di Palermo si intreccia inconsapevolmente con le vite di mafiosi e giudici anti-mafia, le cui azioni condizionano le sue scelte e gli eventi della sua esistenza.

Un film che vorrebbe parlare di mafia mostrandola con gli occhi di un bambini, un pò come "Il sentiero dei nidi di ragno" fece con la resistenza. L'idea non è solo lodevole; è magnifica.
Tuttavia Pif si porta dietro "Il testimone". Se nella trasmissione tv la sua macchina a mano e la sua voce fuori campo funzionano benissimo (si tratta di giornalismo); qui la sua voce onnipresente è solo un rovinare il cinema; urla in faccia le stesse cose che sta cercando di mostrare (a volte anche con una certa poesia), le sottolinea più volte, svilendo le immagini.
La combinazione di poesia, commedia e (a tratti) melodramma reggerebbero bene ed il finale ruffiano lo apprezzerei in toto; però quello stile cinematografico nelle immagini e giornalistico nelle parole sfalsa tutto.

lunedì 17 marzo 2014

Film d'amore e d'anarchia, ovvero "stamattina alle 10 in Via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..." - Lina Wertmüller (1973)

(Id.)

Visto in tv.

Un contadino padano assiste alla morte di un amico (anarchico) per mano delle forse dell'ordine ; decide quindi di offrirsi volontario per uccidere Mussolini. Arrivato a Roma verrà assistito da una prostituta (anche lei affiliata agli anarchici) che si innamorerà della sua ingenuità e tenerezza; lui però si innamorerà di un'altra prostituta. Il giorno in cui dovrà compiere l'attentato tra le due ci sarà un confronto diretto.

Ormai la Wertmüller mostra di saper dirigere con gusto anche col pilota automatico. A livello di regia qui c'è tutto quello che si può desiderare da lei dopo aver visto "Mimì metallurgico"; qui però mi sembra rendere molto di più nelle parti non narrative. Ci sono diverse sequenze non utili ai fini della trama (come le molte sequenze ambientate nel bordello dove vengono mostrate le varie prostitute) che vengono realizzate con una fantasia di inquadrature, movimenti di macchina, montaggi rapidi, colori nella messa in scena e ritmo davvero notevoli. Questo poi è un film che si gioca molto fra interni curati fin nell'ultimo dettaglio, e in esterni spettacolari (l'ambientazione romana aiuta molto a dare delle location da urlo) guardati in campi lunghi con un gusto per la disposizione di luci e personaggi sempre attento e alcune inserzioni alla De Chirico. In una parola, la Wertmüller ha capito come si gira e pigia l'acceleratore.

A fronte di una inventiva così ampia, la trama non regge il confronto; latita molto per quasi tutto il film, il ritmo è lento e i personaggi (mossi magnificamente da un Giannini stranissimo e dalla Melato che fa il suo solito personaggio con la solita grazia) buffi, ma non interessanti.
Il finale però spariglia di nuovo le carte, con una sterzata verso il dramma vero e proprio, con una serie di sequenze di amore e disperazione acutissime si gioca il tutto e per tutto; vincendo. Non dico che valga al pena vedersi il film solo per il finale; ma la conclusione unita alla grazia della regista hanno un peso specifico importante.
Ah ci sono pure musiche e canzoni di Nino Rota che vale la pena recuperare.

venerdì 14 marzo 2014

Smetto quando voglio - Sydney Sibilia (2014)

(Id.)

Visto al cinema.

Un gruppo di laureti precari o lavoranti in nero si associano per mettere sul commercio una droga tecnicamente legale e spacciarla nelle discoteche romane. Il piano funzionerà perfettamente finché non si monteranno la testa per l'enorme quantità di denaro e finché non pesteranno i piedi allo spacciatore della zona.

Un film dai colori acidi e saturissimi; una macchina da presa mobile, a volte a mano senza essere mai fastidiosa. Una conduzione del cast impeccabile (composto da una serie di facce da comprimari perfette, dove su tutti spicca Fresi, mentre il cameo di Marcorè mi è risultato fuori luogo), la scelta di location insolite ed estremamente belle e una colonna sonora di livello.

Ma al di là di tutti i meriti tecnici, il film è divertente. Anzi, il più divertente fra i film comici che abbia visto nell'ultimo periodo (termine generico perché non saprei quantificare). Si ride tantissimo con situazioni paradossali, un poco di slapstick e battute vere e proprio, con un cast dai ritmi perfetti e dalla fisicità impeccabile (ecco che ritornano i meriti di Fresi). Nella seconda parte il ritmo comico un poco cala; ma quello che non cala è il tono del film.
Si perché uno dei grandi problemi delle commedie italiane è la voglia di riconciliazione a tutti i costi, quella sorta di happy end in cui tutto arriva non solo a buon fine, ma ad una soluzione di stabilità molto alla tarallucci e vino. Qui no. Qui la situazione paradossale acquisisce una sua staticità nel finale sempre nella sua surrealtà; nessuno vince, ma tutti sfruttano la situazione che si è venuta a creare ed accettano (esattamente come facevano prima) la loro precarietà.

Applausi inoltre per il poster dedicato agli incassi a sorpresa che sfotte Nynphomaniac...

mercoledì 12 marzo 2014

REC - Jaume Balagueró, Paco Plaza (2007)

([REC])

Visto in DVD.

Una tv locale segue una squadra di pompieri per un programma sui lavoratori notturni... scelta poco intelligente, proprio quella sera saranno chiamati in un condominio per aprire la porta di una vecchietta che si rivelerà non aver bisogno d'aiuto... quando sia ccorgeranno di essere davanti ad un problema più ampio di un singolo attacco di follia la polizia avrà circondato e sigillato il consominio; rischio biologico... inizierà una lotta per la sopravvivenza.

Un film che racchiude in se il survival movie più estremo (usualmente questo genere è utilizzato in ambiente selvaggio, molto interessante l'idea di metterlo in un contesto urbano contemporaneo circondato dalla civiltà), il film d'assedio (dove assediati e assedianti sono però nello stesso edificio e le zone "sicure" cambiano in continuazione) e il film di contagio più classico (non inventa proprio nulla in questo senso). Di per se è contemporaneamente un horror giocato solo su idee già sfruttate, ma anche un ensemble quasi originale e comunque ben condotto.

Diciamolo subito; non è un capolavoro; diverse situazioni assurde, alcuni momenti migliorabili, un twist demoniaco nel finale (che non ho affatto apprezzato, seppure aveva uno scopo... oltre al fatto che permette un seguito). Inoltre il grande difetto è il found footage e la macchina a mano, due peccati capitali dell'horror del XXI secolo (un found footage come al solito inutile perchè la telecamera riprende esattamente quello che inquadrerebbe se fosse esterna alla vicenda).
Tuttavia il film ha una serie di pregi non presenti in molte opere di questo genere che si ripiega su se stesso con estrema facilità. Alcuni dettagli terra terra di notevole effetto sono di sicuro la bambina incazzata, il vigile del fuoco volante, qualche divertente inserto durante le interviste degli inquilini, la vecchia che fa iniziare tutto (personaggio che già inquietava nel trailer).
Nell'insieme poi i due registi sono magistrali nel creare suspense; con un intro piattissimo, un picco iniziale, un secondo momento di calma, poi una corsa mozzafiato con un crescendo di tensione fino all'ultima inquadratura (anche se la prima parte rimane, per me impeccabile); e tutto questo utilizzando in maniera limitata (e non fastidiosa) i colpi improvvisi di paura, solo vera e proprio suspense, tensione nel vero senso della parola; in questo genere di film questo è un evento raro. I registi sono inoltre impeccabili nell'uso degli spazi; è un film fatto di un senso di claustrofobia in costante aumento dall'inizio fino alle ultime inquadrature (motivando quindi la scelta di avere un found footage). Inifine i difetti capitali tutto sommato qui servono; la macchina a mano certamente coinvolge di più, ma soprattutto aumenta il ritmo del film quando serve; il found footage, come detto prima, giustifica gli infrarossi del finale che sono fondamentali per le scene nell'attico e che rendono la claustrofobia totale.

Come dicevo un film non privo di sbavature; ma in questo genere erano anni che non vedevo qualcosa di così efficace e ben fatto.

lunedì 10 marzo 2014

Lo spaccacuori - Bobby Farrelly, Peter Farrelly (2007)

(The heartbreak kid)

Visto in tv.

Un quarantenne ormai realizzato si rende conto di non aver concluso nulla in ambito sentimentale. Conosciuta una ragazza la sposerà in poco tempo, ma durante la luna di miele in Messico scoprirà i suoi, terribili, difetti. Durante la stessa vacanza conoscerà un'altra ragazza di cui si innamorerà e comincerà a corteggiare...

Film dei fratelli Farrelly con Stiller a quasi 10 anni da quel "Tutti pazzi per Mary" che li lanciò tutti. L'idea sarebbe la stessa, comicità greve, un mondo malato fatto di vittime e persone perverse. Il sistema è lo stesso e la presenza di Stiller un valore aggiunto, ma i conti non tornano.
Di fronte ad una prima parte passabile, c'è una seconda che si prende troppi momenti inutili, una serie di immagini dai colori saturi che sembrano brochure di un'agenzia viaggi; ma quel che è peggio non si ride. Nella prima metà le idee divertenti ci sono e, almeno in parte funzionano, ma nella seconda parte c'è un degrado continuo dell'idea iniziale.
La presenza di Stiller è un valore aggiunto, come dicevo, ma è sprecato; ce la mette tutta, e, pur essendo molto imbolsito, riesce ad essere efficace e spesso divertente anche solo con l'espressione del viso, ma non può tenere in piedi da solo l'intero film.

venerdì 7 marzo 2014

Il treno - John Frankenheimer, Arthur Penn (1964)

(The train)

Visto in tv.

Un treno carico di opere d'arte rubate da un milite nazista parte da Parigi per la Germania poco prima dell'arrivo degli alleati. Un gruppo di pochi uomini (con la collaborazione di capostazione e macchinisti) cercherà di rallentare il treno il più possibile.

Un film dalla trama esile come tutti i film d'azione (azione del '64), ma dal ritmo eccezionale. Obbiettivamente quanti modi ci sono per fermare un treno? beh a quanto pare se sei un capostazione e sei interpretato da Burt Lancaster (sempre con la stessa espressione, ma sempre incredibilmente adatta) ne conosci abbastanza per intrattenere per minuti senza mai un momento di stanca.
Frankenheimer è grande dietro la macchina da presa; un bianco e nero solidissimo ed una profondità di campo enorme che permette bellissime inquadrature dalle rotaie e che nelle scene in indoor fa in modo di inquadrare tutti i personaggi su piani distantissimi. (ad essere onesti questo film è stato iniziato da Arthur Penn, poi sostituito da Frankenhemeir, non so quindi a chi vada la maggior parte del merito).
La questione se valga la pena morire per un'opera d'arte non è mai dichiarata direttamente tranne nell'evidente finale (rimane comunque meno urlata che in Monuments men). A parte questo non c'è una morale dietro a questo film; i nazisti sono addirittura mostrati come uomini con opinioni contrastanti fra loro (non sono solo tutti dei cattivi da macchietta) e lo showdown finale è l'antitesi della spettacolarità. Un inno alla continenza... se non ci fosse stato un enorme incidente tra treni in poche scnee prima e diversi bombardamenti, tutti egualmente credibili.

Completa il film un cast ottimo usato per parti minuscole ed una Moreau utilizzata come mobilio francofono.

mercoledì 5 marzo 2014

Lei - Spike Jonze (2013)

(Her)

Visto al cinema.

In un mondo di poco futuribile o attuale, ma ipertecnologico, un uomo attraversa una crisi personale (la separazione dalla moglie che non riesce a far diventare un divorzio) mentre deve raffrontarsi con le migliori emozioni umane per il proprio lavoro (scrive lettere per conto terzi). Isolandosi da quasi tutti si butta nella tecnologia. Una nuova uscita, un software in grado di relazionarsi, imparare e con intuito cambierà le cose. Si innamorerà di quella voce e quella voce si innamorerà di lui.

Se Spike Jonze, di fatto, parla sempre e solo d'amore; di uomini messi all'angolo che cercano di costruire qualcosa basato sui sentimenti; qui direi che cambia poco in fatto di tema generale. Nel dettaglio aggiunge qualcosina all'annoso problema del rapporto fra reale e virtuale (ma anche l'immaginario); il rapporto fra l'uomo e la macchina è reale in quanto entrambi provano sentimenti veri oppure è sfalsato dalla mancanza di un corpo da parte di lei?
In ogni caso è evidente che della questione interessa poco; questo è un film d'amore, dove uno dei due elementi della coppia si muove ad una velocità maggiore dell'altro e presto svilupperà necessità che l'altro non potrà capire, ma che verranno accettate.

Spike Jonze controlla tutto. Colori luminosi, luci forti e spesso in camera, ma anche scene in notturna delicate. Dei costumi (bruttissimi) che insieme agli arredamenti, alle location (e alla fotografia calda) rende un futuro vintage piuttosto anni '70, ma sempre lineare, pulito e, spesso, accogliente. Infine la regia, un concentrarsi sui suoi personaggi con primissimi piani continui, un metterli in relazione con il mondo esterno incastrandoli in queste location schematiche, un uso dei suoni per definire e sottolineare i sentimenti messi in gioco; ma su tutto la sua capacità di mostrare le solite cose senza ripetere idee vecchia (su tutto il rapporto sessuale con la voce, fatto con un fade out che ci porta come spettatori nella stessa condizione del protagonista).

Infine, un'ovvio applauso al cast dove troneggia un Phoenix inquadrato in solitaria in quasi tutte le inquadrature e costretto a sobbarcarsi la recitazione di una coppia da solo.

lunedì 3 marzo 2014

Notte e nebbia - Alain Resnais (1955)

(Nuit et brouillard)

Visto qui, in lingua originale sottotitolato.

Un documentario sui campi di sterminio nazisti. Di fatto non dice nulla di nuovo, anzi è tutto già sentito e già visto, ma va notato l'anno di realizzazione. A dieci anni dalla fine della guerra questo è stato uno dei primi tentativi di parlare della shoa su larga scala.
Resnais, nasce come documentarista, e se il risultato di questo corto risulta un pò affettato credo sia un effetto voluto.
Una voce piatta parla enfaticamente dei fatti terribili accaduti nei campi, con parole elevati e tono costante; a questa fa da accompagnamento una musica sempre dolce. Resnais registra a colori alcune sequenze con macchina da presa in movimento dei campi di concentramento più comuni, quello che mostra è un'immagine statica di strutture anonime, in disuso da anni, immerse nel verde e nelle campagne. A tutto questo discorso pacificato fanno da contraltare le immagini originali, alcuni brevi filmati o semplici fotografie, tutto in bianco e nero; una sequenza di immagini che si fanno via via sempre più impressionanti, e quando si arriva alle (oggigiorno) note sequenze delle montagne di cadaveri scoperte dagli alleati l'impatto è notevolissimo.
Un documentario che non aggiunge nulla a quello che già si sa, ma che riesce ancora a colpire.