Visto al cinema.
Un film senza una trama, una serie di
episodi disgiunti che mostrano sequenze della vita di Gep Gambardella, un
sessantenne che ha scritto un solo libro in vita sua, un uomo sensibile
abbastanza da rendersi conto di come stanno le cose, ma che negli ultimi
quarantenni si è dato da fare per divenire il re dell’apparenza, dando vita ad
una dicotomia interiore che viene riversata all'esterno con il cinismo, ma con
cui dovrà fare i conti. Detta così sembra proprio un brutto film pretenzioso,
ma d’altra parte come si fa a descrivere un film di Fellini senza svilirlo?
Sono film che non vanno raccontati, ma visti.
Si perché di fatto questo è un film di
Fellini, non una versione cafone de “La dolce vita”, ma proprio un film
felliniano tout court (le citazioni dirette o indirette si sprecano; nani,
matrone romane tettute e dalla facies tipica, animali selvatici in contesti
assurdi, personaggi che sarebbero piaciuti al regista di Rimini, ecc…). Un film
che senza una trama, ma con l’accumulo di sequenze significative vuole rendere
l’idea di un mondo (in questo caso in un declino ottuso e felice) e di un
personaggio (in questo caso in un declino lucido, disperato, ma ignavo),
utilizzando spesso la metafora e pretendendo spesso la poesia. Nonostante
questa caterva di ambizioni il film, miracolosamente, riesce.
A questo deve però aggiungersi il
divertimento dato da molte sequenze in cui il gruppo di amici disperati sfoggia
una serie di battute ciniche e graffianti che vorrei riuscire ad utilizzare
nella vita di tutti i giorni (su tutti il personaggio di Carlo Buccirosso).
Infine bisogna aggiungere Sorrentino.
Il film ha un mood e un mondo felliniano, ma Sorrentino è uno dei registi dalla
mano più pesante che ci siano attualmente in circolazione; basta vedere
l’incipit con il canto in tedesco durante la visita del gruppo di giapponesi e
si vede l’idea di cinema a cui ci ha abituati: fotografia curatissima (c’è il
solito Bigazzi ad occuparsene), movimenti di macchina e montaggio utilizzati in
maniera articolata, costruzione delle immagini estetizzantissimo e un uso delle
musiche che da sole rendono perfettamente un mondo intero di significati… poi
comincia la lunga sequenza in discoteca…
Non tutto è perfetto, non tutto può
piacere (la parte finale dell’episodio con la santa o semplicemente la sequenza
dei fenicotteri mi son sembrati eccessivi), ma questo non significa molto
nell'economia di un film così complesso.
Un cast perfetto, per ruoli assegnati
(vogliamo citare di nuovo la neo-felliniana Serena Grandi?) e per uso
degli attori (si sa che Sorrentino è un mago in queste cose, ma nessuno come
lui sa utilizzare al meglio la tavolozza di espressioni di Servillo; poi più
della Ferilli che ogni tanto fa qualche exploit, ma vogliamo parlare di Verdone
che per la prima volta smette di fare il caratterista?).
Un film di più di due ore senza trama
che vola via come il vento e alla fine del quale (oltre ad un vago senso di
malessere) se ne vorrebbe vedere ancora, almeno mezzora…
PS: quante volte avrò usato la parola felliniano?
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