lunedì 30 dicembre 2019

The witch. Vuoi ascoltare una favola? - Robert Eggers (2015)

(The VVitch: A New-England Folktale)

Visto in DVD.

Una famiglia di pellegrino americano troppo estremisti religiosi anche per la loro comunità di pellegrini viene scacciata ed esiliata nella foresta vergine.
Dovrà fare i conti per prima cosa con l'ambiente ostile, umido e malaticcio, con la scarsità di cibo e con le loro stesse regole sociali che opprimono la donna. In secondo luogo dovranno vedersela con una strega che abita in quel bosco e con Satana (ammesso che entrambi non siano che una leggenda).

Film spettacolare, costruito con un'attenzione per i dettagli estrema degna delle psicopatologie di Kubrick: vestiti cuciti a mano, inglese arcaico dell'epoca, luce naturale (che fra tutte queste apparenti minchiate è la scelta più evidente che da all'ambiente un aspetto lattiginoso).
Non è il primo film a perdersi dietro a una messa in scena autoriale, né il primo a parlare di come l'ambiente modifichi le persone; ma è quello che recentemente riesce meglio in questo campo e si permette di costruirci attorno un horror senza jump scare, ma pieno di tensione continua che deriva tanto dalla presenza incombente del maligno (mai mostrato, ma veicolata attraverso gli alberi che murano laa casa in una radura e attraverso gli animali che, però, si comportano da animali normali), quanto dai rapporti familiari che si allentano e degradano verso la follia più totale.

La struttura della trama è un lento, dieci piccoli indiani, un centellinare le scomparse e le morti immotivate fino allo showdown finale.
Il film è efficacissimo, e si appoggia su un cast incredibilmente e credibile, tutti in parte e tutti con le facce giuste, ma vanno sottolineate le prestazioni di Anya Taylor-Joy che si porta gran parte del film sulle spalle (è la figlia adolescente che ha la grave colpa di essere donna e adolescente) e di Harvey Scrimshaw che dura meno, ma la scena dell'invocazione (Gesù o il diavolo?) pre morte è credibile, dolente e sensuale nello stesso momento (e all'epoca aveva solo 14 anni!!!).

PS: sottotitolo italiano totalmente fuori contesto, credo che parta da quello originale, ma che l'abbiano scelto senza aver visto il film.

venerdì 27 dicembre 2019

Auf der Suche nach Ingmar Bergman - Margarethe von Trotta, Bettina Böhler, Felix Moeller (2018)

(AKA Searching for Ingmar)

Visto in aereo, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Il film inizia con la Von Trotta nella location della prima sequenza de "Il settimo sigillo" che ripercorre a memoria scena per scena quell'incipit. Il film inizia quindi con una regista che descrive l'opera di un regista dal suo punto di vista, non tecnico, ma emotivo.
Il documentario poi si sposta su un piano di genere; pochi registi hanno avuto un rapporto così stretto con le attrici feticcio delle loro opere e la Von Trotta fa parlare le dirette interessate su Bergman.
Infine la regista cerca di gettare un ponte fra il regista svedese e i nuovi (?) volti della regia internazionale.

Per me questo documentario piuttosto scontato nella messa in scena (campi lunghi con la regista come narratore e poi interviste a mezzo busto inframezzate a porzioni di film) semplicemente non sa che strada prendere. Parte dalla descrizione emotiva di quello che può essere il cinema di Bergman, ma la abbandona per il racconto del personaggio (indubbiamente interessante) fatto dalle attrici (dunque limitato) con qualche curiosità interessante; infine cerca l'apertura contemporanea, ma per farlo imbarca registi giovani e interessanti, ma che sono di seconda fascia e hanno ancora molto da dimostrare (discorso che non vale per Assays), niente di grave in questo, ma un pò poco per parlare di un lascito tangibile.

lunedì 23 dicembre 2019

Highwaymen. L'ultima imboscata - John Lee hancock (2019)

(The highwaymen)

Visto in tv.

Nella storia americana si è creato il mito di Bonny e Clyde, due criminali della depressione che canalizzarono la frustrazione di quella generazione. Ma due criminali erano e la spettacolarizzazione delle loro imprese (che tralasciano spesso la scia di sangue) e la mitizzazione della loro fine sono topos scolpiti sulla pietra.
Ecco che lì'originalità di questo film è tutta nel cambio di punto di vista. Per la prima volta i protagonisti (che sono ovviamente i buoni) sono i poliziotti (integerrimi e scalcinati nello stesso tempo) che danno la caccia a due rapinatori e assassini. L'intento è creare il mito opposto a quello classico, il mito delle forze dell'ordine contro due fuorilegge (che infatti rimangono quasi sempre fuori inquadratura). A dirla così sembrerà banale, ma è il punto più originale del film. per farlo, ovviamente, si punta sulla mitopoiesi classica hollywoodiana; Costner come protagonista (il buono per eccellenza degli ultimi 30 anni cinematografici), una messa ins cena pulitissima fino a sfiorare il museale (vestiti sempre a posto, fotografia nitida, ambientazioni dei bassifondi che trasudano ricostruzione pulite in ogni inquadratura).
Ecco, l'idea di base vince in originalità, ma per realizzarla ci si impegna nello scontato. Operazione corretta dal punto di vista formale (il mito si crea con l'ordine come ci insegnò John Ford e non con la polvere di un Sergio Leone), ma che riesce comunque stantio e stridente.
Il film viaggia bene e riesce in maniera perfetta nel finale rendendo in maniera, finalmente, completa, l'agguato finale (trasformando in tensione e coraggio quanto era stato raccontato finora come viltà).
Film gradevole, ma vittima del suo stesso intento.

venerdì 20 dicembre 2019

Storia di un matrimonio - Noah Baumbach (2019)

(Marriage story)

Visto in tv.

Ho evitato accuratamente ogni film di Baumbach finora per mero razzismo. Mi sono sempre aspettato film dall'estetica da Sundance, con piccoli loser molto consolatori e pretese intellettuali.
Questo film è presentato di Dio da tutti, gli attori sono ottimi... ed è su Netyflix, una comodità non indifferente.
Dopo averlo visto mi spiace aver sottovalutato il povero regista finora.

La tendenza a mettere dentro pretese intellettuali c'è eccome (di lavoro lui è un regista teatrale di New York, una delle cose più hipster che si possa pensare), ma è estremamente limitato, e tutto sommato si limita a fare da arredamento in una storia perfetta.
Il film parla del processo di divorzio fra una coppia con figli che non ha smesso di volersi bene, ma ha smesso di amarsi. Non siamo dalle parti de "Kramer contro Kramer", qui i due si faranno una guerra inevitabile a causa del sistema giudiziario che stritola che si avvicina, ma una volta che tutto sarà finito i sentimenti originali torneranno fuori. Nessuna consolazione, l'amore di coppia non c'è più, ma la vita può ricominciare e i rapporti possono essere mantenuti.

Al di là di diverse scene madri molto emotive e un poco ipocrite (lo showdown nel nuovo appartamento di lui, la lettera letta ad alata voce nel finale), che sono comunque splendide (adoro le scene madri) e permettono ai due protagonisti di candidarsi per gli Oscar con tutta tranquillità; al di là di quelle scene, dicevo, il film si muove sul binario dei piccoli sentimenti, dei cambiamenti giorno per giorno, dell'ansia che aumenta per piccole cose che diventano sempre più grandi. L'uomo, il vero protagonista, si accorgerà molto tardi di quanto siano definitive le cose con la moglie.

Ben condotto, con una fotografia lievemente desaturata figlia del Sundance, ma ormai sdoganata, riesce a conquistare senza nessun dubbio e riesce a portare avanti discorsi estremamente adulti senza sbracare troppo affidandosi a una coppia di attori magnifici (con spledide comparsate diella Dern sempre uguale, un Liotta che invecchiato meno peggio del previsto e il sempre vecchio Alda).

lunedì 16 dicembre 2019

Zindagi na milegi dobara - Zoya Akhtar (2011)

(Id.)

Visto su Netflix.

Tre amici di lunga data (ormai divisi dalle rispettive vite) si ritrovano in Spagna per l'addio al celibato di uno di loro. Neanche da dire che questo diventerà il viaggio di una vita, che darà loro un senso nuovo per andare avanti e la forza di affrontare i loro scheletri negli armadi (una vita sacrificata al lavoro, l'abbandono di un padre e un matrimonio per sbaglio).

Filmetto indiano piuttosto distante dallo stile barocco di Bollywood, pur tenendone una parte, con un piglio (e una location) più internazionali per potersi vendere meglio in Europa.
Diciamolo subito, è un film con molti difetti e pretese assurde per quello che offre; c'è agnizione all'acqua di rose, prove da affrontare ridicolmente gonfiate, un'eccesso di poesia messa a forza e non integrata (al solito, le poesie vengono recitate e non traspaiono dalla trama) e un product placement bestiale (e il prodotto è la Spagna).
Al netto di tutto questo il film dura oltre le due ore e mezzo (con una trama già vista centinaia di volte) e riesce comunque a mantenere sveglia l'attenzione, gli irritantissimi protagonisti (uno più insopportabile dell'altro) diventano, pian piano, sempre più tollerabili (anche se rimangono tutti macchiettistici), le incursioni musicali che ci si aspetterebbe sono poche e molto modernizzate (sequenze con canzoni complete, ma senza balli, solo giochi di montaggio che mandano avanti la trama; solo due sono i momenti più canonici, ma nel primo c'è un crossover indio-spagnolo e il secondo è dopo i titoli di coda e conclude la vicenda lasciata in sospeso nel finale).
Il tutto viene veicolato dal classico pacchetto ben fatto del cinema indiano, con una fotografia ben curata (e, come già detto, con particolare attenzione per le location), degne di Bollywood.

Di fatto ci si trova davanti a un film scontato ben realizzato ed efficace a colpire il gusto e l'occhio di un occidentale senza mai sviare troppo l'attenzione dall'origine indiana del prodotto.

PS: il titolo si traduce con qualcosa come "Non avrai una seconda possibilità", "Si vive una volta sola".

venerdì 13 dicembre 2019

I predatori dell'arca perduta - Steven Spielberg (1981)

(Raiders of the lost ark)

Visto in tv.

Poi Spielberg decise di mettere in piedi una baracconata d'avventura basata su fumetti dozzinali di quando era lui il regazzino, di ambientarla negli anni d'oro del fumetto (i '30s) così da avere la scusa pure per ammazzare qualche nazista; infarcire il tutto di pseudoarcheologia e misticismo ebraico. Un mix sostanzialmente mortale per chiunque, ma il nostro adorato regista realizza uno dei picchi di una carriera... ricca di picchi.

Al di là del lavoro muscolare di ricostruzione di un mondo (mai esistito) dettagliato e variegato, al di là dello sforzo di creare personaggi interessanti e a 360 gradi pur mantenendo i buoni buonissimi e i cattivi... beh sono nazisti. Al di là di tutto questo, quello che più mi impressiona ogni volta che vedo un filmd ella trilogia di Indiana Jones è quanto regga da dio gli anni e le età dello spettatore. Questo è un film che ho adorato da giovanissimo e continuo ad apprezzare.
Spielberg mette in piedi una sana storia d'avventura e per portarla avanti decide che l'azione dovrà essere determinante. Verrà fatto di tutto, scazzottate, fughe dalle fiamme, fughe dentro ceste, battaglie d'auto, ecc.. tutto senza perdere mai un colpo e riuscendo anche mandare avanti la trama mentre si fugge (il capolavoro in questo senso sarà però "Il sacro graal").
Il lavoro riesce talmente bene e l'adrenalina si mantiene a buoni livelli tanto da far accettare i dettagli mistici anche al pubblico più esigente.

Ovviamente dietro la amcchina da presa Spielberg lavora su più piani e costruisce un film in cui le due sequenze iniziali (quella nella foresta e quella all'università) che facendo molto, ma dicendo poco (le scene dell'idolo d'oro potrebbero anche essere mute e cambierebbe di un nulla) descrivono in maniera completa il personaggio appena introdotto.
Il resto del film è un gioco continuo di mostrare in maniera non banale, sfruttando spessissimo le ombre o i tagli di luce quasi noir per un film ttuto sommato molto soleggiato.

Un film che riesce a coniugare una storia a più livelli che può accontentare quasi ogni pubblico, uno sviluppo avventuroso che tiene attacati allos chermo e una tecnica enomre. Un mix che, per fortuna Spielberg ci riproporrà almeno un altor paio di volte...

lunedì 9 dicembre 2019

Smetto quando voglio: Ad honroem - Sydney Sibilia (2017)

(Id.)

Visto in tv.

Ultimo capitolo della trilogia di Sibilia che conclude il ciclo in grande stile.
Cominciando esattamente dove finiva il precedente e mostrando nuovamente alcune sequenze del secondo capitolo che, là, risultavano un poco slegate, il film riparte sul già noto nella trama, ma fa un salto importante nel tono. La comicità rimane, ma viene molto ridimensionata e nella seconda parte sostanzialmente abolita a favore di un film un poco d'azione (decisamente meno dinamico del precedente) e molto di tensione.
Altro grande cambiamento è lo status dei suoi protagonisti. Indubbiamente rimangono gli stessi sfigati dei due film precedenti, ma in questo sono efficienti e ben organizzati nonché aiutati dalla fortuna, in una parola diventano eroi. Ecco, la differenza principale con il resto della saga è tutta qua; i primi due capitoli erano commedie all'italiana, con dei perdenti che ci provano e falliscono (calati in una critica sociale divertente), qui diventano eroi che salvano il mondo (e la critica diventa più marginale e... populista). Niente di grave, ma il genere ha un piccolo scarto che spiace a me personalmente, ma non fa perdere nulla in godibilità.

Per il resto il lavoro di regia rimane sostanzialmente identico, mentre la trama deve necessariamente ritornare sugli eventi passati per incastrarli (un buon lavoro), ma soprattutto deve gestire ancora una volta un cast corale enorme (si aggiunge di nuovo Marcorè) in maniere equilibrata lasciando molto spazio a Leo nel finale. L'esercizio circense riesce miracolosamente alla perfezione. Fatto salvo il finale tutto in mano al protagonista principale (come è giusto per concludere la trama orizzontale) il resto, a partire dall'incontro nella doccia, il piano di fuga, la metropolitana e l'ingresso alla Sapienza è un incredibile capolavoro di scrittura dove c'è spazio per tutti in maniera quasi identica (per realizzarlo si è dovuto ridimensionare l'ottimo Fresi che era il coprotagonista principale dei film precedenti).

Ovviamente non è il migliore della trilogia, ma è una chiusura che nond elude le grandissime premesse iniziali. Non male.

venerdì 6 dicembre 2019

The irishman - Martin Scorsese (2019)

(Id.)

Visto in tv in lingua originale sottotitolato.

Questo Irishman parte come una versione aggiornata di "Quei bravi ragazzi" (eliminando glamour e spettacolarità, ma continuando a mostrare i dettagli pratici della vita della mala) fino all'arrivo del personaggio di Hoffa, momento in cui vira verso il racconto storico americano (o meglio la mitopoiesi americana) unendo in uno stesso film i due argomenti più caratteristici della filmografia scorsesiana. Nella terza parte però vira di nuovo diventando qualcos'altro, qualcosa di nuovo.

Parte nel suo giocando el carte che ormai sa gestire ad occhi chiusi creando un mondo costellato da un'infinità di personaggi che vive di regole e relazioni proprie, ma nel momento in cui lo spettatore più abituato a Scorsese sta comincia a chiedersi perché ritornare nel seminato viene introdotto il personaggio di Pacino (che è un personaggio alla Pacino) che porta avanti la parte storica mangiandosi tutta quella porzione di film con la sua presenza carismatica e dialoghi al limite del tarantinismo. Dopo la sequenza del "Che tipo di pesce" il film diventa più intimo, molla la storia per tornare sul personale, se fossimo agli inizi della carriera del regista ci sarebbe un vero e proprio rapporto con la religione a condurre il gioco, ma questo è un film più cinico e nichilista, la religione (e quindi la speranza e la colpa) è marginalizzata e l'ultima mezzora è la presa di coscienza che tutto è stato inutile, che una vita di lealtà e affetti non detti è stata sprecata e che essere integerrimo non era una dota, ma una condanna. Un finale glaciale senza alcuna speranza (la sequenza finale è così metaforica e gestita con freddezza da sembrare dei fratelli Coen) che non può sorprendere lo spettatore abituato a Scorsese.
In una parola questo è un film gigantesco efficace in ogni sua parte che prende i canoni che tutti attribuiamo al regista per portare oltre il suo discorso. Se questo fosse il suo ultimo film sarebbe perfetto (spero però che ne realizzi ancora molti).

La regia non dovrebbe più essere neanche commentata, Scorsese è l'unico regista che invecchiando migliora e non molla nulla dei sui stilemi (ma quanto sono gustosi i suoi rallenty? che se li usasse chiunque altro in queste quantità si potrebbe denunciare per tortura), dei suoi dinamismi e dell'uso delle musiche aiutando la storia a progredire per quasi 4 ore senza cedere mai nel ritmo; senza annoiare mai.

Cast enorme che permette a Joe Pesci di non fare il solito Joe Pesci, ma di recitare più di fino, permette a De Niro di non fare il solito De Niro e nella seconda parte anche di recitare, cosa che non faceva da anni (nella prima... beh recita meno; sarà il personaggio che deve evolvere o il ringiovanimento, ma nella prima metà De Niro nicchia come nelle solite commediole senza pretese a cui ci ha abituati di recente) e regala a Pacino l'ennesimo personaggio da mettere nella galleria dei fumantini tutti scene madri (magnificamente gestite) e ironia... mi è appena venuta voglia di riveder "L'avvocato del diavolo".

La questione ringiovanimento mediante CGI... inutile fingere che sia perfetta, non lo è. Nella prime scene in cui compare (sopratutto nei primi piani o in pieno sole) c'è uno strano senso di disagio (e quella stati che non so se imputare al computer o all'attore). Tuttavia io nei film in 3D noto la tridimensionalità per i primi 15 minuti e poi non la scotomizzo; anche qua dopo poche scene tutto il fastidio scompare schiacciato dal peso della storia che sto vedendo.

lunedì 2 dicembre 2019

Project X. Una festa che spacca - Nima Nourizadeh (2012)

(Project X)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Tre amici delle superiori, facilmente catalogabili come sfigati (come chiosa con delicatezza il padre del protagonista), organizzano una festa di compleanno per uno di loro nella sua casa sgombra per il weekend. gestiranno in maniera intelligente gli inviti e porteranno le cose così oltre da distruggere tutto e realizzare la festa più memorabile di sempre.

Sgombriamo subito il tavolo dai problemi più evidenti. Il found footage; ogni buon cristiano dovrebbe odiarlo con tutto il cuore e io mi associo subito. In questo caso viene utilizzato in maniera coerente (e sorprendentemente non fastidiosa) nella primissima parte; quando comincia la festa il found footage va a ramengo (ralenty, inquadrature impossibili, etc...) e si rivela per quello che è, solo un sistema di regia per creare più interesse con mezzi semplici.

Il film però è ottimo. La storia di tre sfigati che realizzano una festa che sfugge di mano in un climax di follia che porta a incendiare l'intero quartiere è la rappresentazione iperbolica dell'ossessione per il divertimento(fino all'autodistruzione) mutuato dalla cultura di massa di questo paio di decenni; sulla stessa linea del contemporaneo "Spring breakers", ma puntando su un concetto più semplice e con una trama estremamente lineare e pulita, Nourizadeh porta a casa un risultato di tutto rispetto per messa in opera e attualità.
Found footage a parte, l'unico difetto evidente è l'insicurezza di registro; cominciato come un buffo film serio (i personaggi di Costa e JB sono buffe spalle comiche, ma il film rimane con i piedi per terra) nel finale devia verso la farsa (il lanciafiamme) ancora sopportabile per il modo in cui ci arriva per chiudersi con sequenze apertamente comiche (divertenti, ma fuori tema rispetto al resto del film).