lunedì 31 agosto 2020

Within our gates - Oscar Micheaux (1920)

(Id. )

Visto su Mubi.

Una donna, rifiutata dal promesso sposo per un'inganno della sorellastra si trasferisce al sud dove aiuterà una scuola per bambini afro-americani. tornata al nord a cercare fondi verrà insidiata per poi riuscire ad avere un chiarimento con l'ex amato.

Secondo film (ma il primo di quelli arrivati fino a noi) di Micheaux mostra una tecnica impeccabile, una fluidità nel ritmo e nel montaggio da cineasta esperto che donano al film una godibilità invidiabile. Senza guizzi particolari porta avanti una storia d'amore ostacolato, agnizione e ripensamenti che non inventa nulla, ma si fa ricordare per efficacia.
Unica soluzione particolare la scelta del lunghissimo flashback che si prende la gran parte del finale; una soluzione di sceneggiatura (prima) e di regia (poi) che determina un film nel film, e un improvviso world building non necessario nell'economia della trama.
la recitazione del cast in toto e di alcuni dei personaggi secondari in particolare (il pastore ad esempio) è caratteristica per una minor teatralità di quella dei colleghi dell'epoca, ma una maggior quantità di tic e vezzi.

La presenza di Micheaux nella cinematografia americana è importante per essere stato il primo regista afro-americano.
In quest'ottica la sceneggiatura (scritta sempre da lui) credo sia particolarmente interessante; la gran parte del film è un canovaccio classico, dove il colore della pelle avrebbe potuto essere sostituito senza che nulla venisse modificato nelle intenzioni o nelle scelte dei personaggi; il flashback però riporta tutto nel contesto sociale e politico dell'epoca, mostrando un linciaggio, l'omicidio di un bambino, una donna a cui strappano i vestito e per finire l'impiccagione a scapito di una famiglia afro-americana innocente (con l'unico personaggio grottesco/comico, quello dell'house negro, che nel dramma estremo che viene mostrato risulta particolarmente creepy).

giovedì 27 agosto 2020

Post tenebras lux - Carlos Reygadas (2012)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Una famiglia che vive nella campagna messicana viene ripresa in diversi momenti della loro vita (spalmati su più di un decennio) tenendo al centro i genitori. I due coprotagonisti sono pieni di tensioni che danno loro esplorazioni di tenerezza, violenza improvvisa, prese di coscienza, perversioni.
Film dalla trama minimale, ma non riassumibile è tutto giocato con un andamento non cronologico delle sequenze (anche brevi) che vengono mostrate, unite da un montaggio che si appoggia più ai momenti della giornata e al meteo per dare continuità alla serie di scene. Se l'intento è quello di destrutturare il film, beh ci riesce, riuscendo nel doppio effetto di rendere più curiosa una trama semplice, ma con il contrappasso di renderla enormemente più criptica.
I pregi sono evidenti fin dalla prima scena (forse la migliore dell'intero film): una bambina (meno di 4 anni) da sola in mezzo alla campagna circondata da mucche e da cani che abbaiano corre spensierata mentre un tramonto al technicolor porta la notte. C'è tutto, una fotografia incredibile, una scena potenzialmente sia simbolica che realista, l'uomo inserito in un contesto enormemente più ampio e la natura come forza viva e incombente.
I difetti sono tutti gli altri. Un film pretenzioso che con una fotografia patinata e un andamento non classico pensa di poter sopperire alla intelligenza di scrittura. Una trama ricca di eventi che sembra però voler collezionare momenti grotteschi senza avere il coraggio di passare all'ironia aperta e si nasconde dietro a un ermetismo che non ne aumenta l'impatto, ma lo depotenzia.

lunedì 24 agosto 2020

John Wick - Chad Stahelski, David Leitch (2014)

(Id.)

Visto su Amazon prime.

Credo sia ormai noto a tutti il film d'azione di Keanu Reeves, non dirò nient'altro sulla trama, mi pare già sufficiente.

Il film realizzato dagli stunt Sthelski e Leitch (prodotto da quest'ultimo e tenuto uncredited nella regia, ma vedendo quel capolavoro di "Atomica bionda" è evidente da dove vengono molte delle idee di regia) è tutto tranne un capolavoro, ma è un film enorme per l'idea di base di prendere l'azione del sud est asiatico (si, diciamo pure quella di "The raid") e portarla a Hollywood. Già solo per questo il film potrebbe diventare uno dei semi dell'action dei prossimi vent'anni. Si aggiunga che uscendo dal loro campo, prendono l'estetica di Refn, tutte luci fluo, personaggi impassibili, illuminazione in pieno volto e una perfezione formale estrema, la manipolano per renderla meno perturbante e il gioco è fatto. abbiamo la carta d'identità di quello che il cinema d'azione potrebbe diventare se venisse girato senza il pilota automatico.

Ovviamente i pregi non finiscono qui. L'estetica è molto e la regia è tutto, ma il world building dei sicari che vivono a fianco del genere umano normale come i vampiri è semplicissimo è pazzesco; l'eroe che incute timore ai villain con il solo rimanere al silenzia al telefono (in una sorta di versione ribaltata del T1000)  è un'idea semplice che era ora qualcuno portasse sul grande schermo e poi c'è Reeves che sembra nato pèer la parte.
I difetti, però, sono altrettanto notevoli: trama un poco raffazzonata con eventi troppo rapidi o decisioni buffe, Reeves che si dà anima e corpo, ma che ancora non ha il fisico adatto (nelle scene con degli stunt all'altezza si nota poca, ma lo showdown finale con l'altrettanto legnoso Nyqvist è patetico)... Quindi?
Quindi siamo davanti a un film di serie B con tutti i limiti del caso che offre alcune delle scene d'azione migliori del suo anno (verrà superato a destra dalla già citata "Atomica bionda") e che crea un immaginario visivo e concettuale che non potrà non influenzare i posteri.

giovedì 20 agosto 2020

Personal shopper - Olivier Assayas (2016)

(Id.)

Visto su Amzon prime.

La personal shopper di una modella ha appena perduto il fratello, essendo entrambi (la personal shopper e il fratello) due medium, cerca tracce del fratello nella vecchia casa abitata da lui; nel frattempo rimarrà invischiata in un problema di stalking e un omicidio.

Assayas costruisce un film sulla solitudine (forse più sull'isolamento) con gli stilemi di generi considerati meno nobili, l'horror (prima) e il thriller/giallo poi.
L'effetto finale è straniante e funzionale a momenti.
Il film è il lento mostrarsi della vita della protagonista, in contatto diretto solo con l'ex cognata (che a un certo punto del film la avvertirà di un suo inevitabile allontanarsi avendo conosciuto un altro uomo); con ogni altor essere umano il contatto è interposto (con la tecnologia per il fidanzato e la modella, o attraverso il soprannaturale).
L'dea di fondo (tutto fuorché originale) è interessante, la scelta della Stewart adatta (bella, ma sbattuta, algida, ma sofferente) e il lento muoversi fra i piccoli momenti di una vita normale, ma straordinaria insieme (in senso letterale, più che il metafisico è il tipo di lavoro a renderla strana) e la continua necessità di contatti con altre persone eternamente frustrati (il fratello morto, gli incontri all'hotel dove si ritrova da sola, il viaggio in Oman con il fidanzato eternamente rimandato, l'impossibilità d'incontrare la modella, ecc...) creano un insieme straniante, che avvince pur non facendo succedere molto e tiene legato lo spettatore fino al finale aperto(?) che riesce con pochissimo a dire moltissimo.
Il problema però è proprio l'uso dei generi per arrivare a tutto questo. L'horror e il giallo sono pretestuosi, utilizzati poco e male da parte di qualcuno a cui, evidentemente, non interessano davvero. Il giallo durerà circa 15-20 minuti i tutto senza riuscire mai ad avere un senso suo; l'horror invece è utilizzato (o suggerito) molto di più, ma nell'unica sequenza francamente di genere è gestito in maniera ridicola con effetti speciali (non necessari) bruttissimi e una totale mancanza di empatia.

nessuno ha obbligato Assayas utilizzare dei generi per dire qualcosa, il film poteva essere fatto senza fingere di sfruttare altri stilemi (e probabilmente avrebbe funzionato molto di più), ma se proprio vuoi utilizzarli, almeno studia l'argomento e usali bene.

lunedì 17 agosto 2020

Holy Motors - Leos Carax (2012)

(Id.)

Visto su Amazon prime.

Un uomo gira in macchina per Parigi, riceve una serie di richieste di "parti" da interpretare per le vie della città.

Carax mi ha sempre dato l'impressione di essere un eccezionale creatore di immagini e di momenti cinematografici geniali ed efficaci nello stesso momento, ma di non riuscire a portare a casa il risultato nel lungo periodo. Per dirla in poche parole, ha idee che rendano alcune scene o sequenze eccezionali, ma i suoi film sono sempre claudicanti.
Il problema aggiuntivo è che, pare si, sia lasciato convincere dai complimenti sciovinisti d'oltralpe e si sia messo in testa di essere uno dei registi migliori in circolazione e i suoi film zoppicanti sono sempre più ambizioni (versione buona di tracotante).
Questo è forse la quintessenza dei pregi e difetti di Carax. Un film fatto di cortometraggi malamente legati assieme, con moltissime idee di messa in scena e colpi d'occhio (anche se non c'è niente di paragonabile a quanto fatto con "Gli amanti"); un film che vuole essere un lungo metaforone del fare cinema con un personaggio che vive l'essere attore nella vita di tutti i giorni e attraversa vari generi incaricato da personaggi non chiari che sono innamorati del gesto artistico in sé.
Inutile dover sottolineare che per me è un fallimento. Un'idea vecchissima di film a tesi allegorico che neanche nei seventies avrebbero potuto partorire tenuto in piedi da una cura delle immagini enorme, ma senza le idee esplosive degli anni '90 di Carax e con un gusto per l'ermetismo e la citazione che diventano stucchevoli (l'incipit con Carax stesso che sveglia nel cinema o la scena finale in cui la Scob si mette una maschera che mostra i suoi "occhi senza volto" sono sfacciataggine che fanno prudere le mani).

PS: comparto grafico efficacissimo che sembra essere stato ispirato dall'occhio acido di Noé.

giovedì 13 agosto 2020

La vita è un romanzo - Alain Resnais (1983)

(La vie est un roman)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un enorme edifico nella campagna francese è teatro di tre eventi in tre momenti storici differenti:
1) a inizio '900 la sua pianificazione e costruzione ad opera di un immigrato abbiente che perderà tutto durante la prima guerra mondiale e inviterà amici e conoscenti a un'ultima esperienza collettiva.
2) un simposio sulla scuola organizzato in quello che ai giorni nostri è divenuto un collegio. Il simposio è l'occasione per allacciare o interrompere relazioni amorose.
3) un'epoca non chiara, una sorta di distopia antica o un ambiente fiabesco dove le vicende di un reame (per lo più cantate) si inseriscono nelle vicende ambientate nell'attualità.

Resnais prova l'estremo del suo cinema in una commedia dove cerca, nello stesso tempo, nuove soluzioni. Piani temporali che si intersecano (non solo nel fluire della trama, ma con dettagli che passano da un'ambientazione all'altra), parti cantate, contrappunti musicali non diegetici, personaggi sopra le righe, rapporti amorosi complicati.
Prova a fare di tutto e nella parte iniziale sembra quasi riuscire a portare a casa il risultato; ma a mano a mano che il film avanza mostra il suo difetto principale: la scrittura.
Inutili tutti gli sforzi se le vicende narrate sono inutilmente impalpabili (quella ambientata nel passato dove, di fatto, c'è un presupposto senza esposizione), contrappunti senza una trama degna di questo nome (il futuro fiabesco), e motivazioni stupide, personaggi macchiettistici senza archi narrativi chiari che non siano rappresentati da azioni impulsive senza background (il presente).

Uno sforzo e uno sfoggio di idee (non tutte buone a dire la verità) obiettivamente sprecato, specie per un genere, quello della commedia, che impiegherà anni a raggiungere certi lievelli di complessità...
Mi sembra quasi che fuori dal dramma (magari romantico) Resnais annaspi.

lunedì 10 agosto 2020

Hanna - Joe Wright (2011)

(Id.)

Visto su Netflix.

Una ragazzina vive nel profondo nord con il padre. La vita è duramente scandita fra caccia grossa al cervo, esercizi di lotta libera, a lettura dell'enciclopedia. Tutto questo è necessario per una questione di spionaggio con americani cattivi che, prima o poi, verranno a riprendere tutti e due.

Il primo film action di Joe Wright è una creatura strana. Dopo l'incipit dove deve necessariamente spiegare molto in poche scene (e tutto sommato ce la fa né più né meno di qualunque altro regista... il che è un problema perché Wright vale di più), viaggia rapido senza stancare, si diletta di incastonare i suoi personaggi in scenari sempre diversi e si ferma a creare un film circolare ricco di riferimenti alle favole dei Grimm.
Un'operazione strana, perché le scene action sono molte, spesso anche buone che vanno da estremi estetizzanti videoclippari (se questo termine avesse ancora un senso) al limite dell'arte visuale (la prima fuga dalla base dei cattivi) alla citazione in piano sequenza di Pinkaew (quella con Bana in metropolitana). La necessità dell'immagina particolare si mischia alla voglia sempre più preponderante di infilare un simbolismo fiabesco che risulta digeribile solo quando è leggero, ma nel finale diventa insopportabile.
In tutto ciò però l'azione non riesce mai ad essere così spettacolare da sostenere il film da sola, mentre i personaggi sono gestiti molto peggio e non riescono neppure loro a sostenere una trama di fatto inesistente (sintomatico che le battute migliori le abbia un personaggio che scompare nella prima metà) che si ripiega sui cliché peggiori e sulle scorciatoie più becere (lo spiegone finale lasciato all'internet).

L'unica nota completamente positiva è (come sempre nei film di Wright) l'utilizzo del suono e delle musiche. In questo caso con la collaborazione perfetta dei The chemical brothers, le musiche vengono usate, in dissonanza o in risonanza, per fare da controcampo alle scene d'azione, mentre rumori disturbanti sottolineano uno o due passaggi d'ambientazione fondamentali e le poche musiche diegetiche sono lasciate a definire i momenti di calma iniziali.

giovedì 6 agosto 2020

Sitcom. la famiglia è simpatica - François Ozon (1998)

(Sitcom)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


L'arrivo di un topo (da compagnia) in una famiglia determina in chiunque vi entri in contatto un cambiamento, la forza di dare sfogo alle pulsioni più intime.

Buffa versione a commedia di "Teorema" con l'elemento estraneo che entra in un ambiente borghese per farlo esplodere.
L'idea di declinarla sul versante umoristico è sicuramente buona e la capacità di costruire le scene è già presente in questa opera prima di Ozon. Quello che manca è la capacità di andare oltre lo schema di base. La struttutra della vicenda è facile e chiara, ma oltre all'impalcatura si aggiungono molti dettagli, ma nessun costrutto.
Ci sono continue aggiunte di declinazioni personali scottanti per il periodo (ma anche al giorno d'oggi), dal sadomasochismo, all'omosessualità, dall'incesto all'omicidio e suicidio. Sembra quasi che si voglia mostrare tutto quello che può urtare la sensibilità "borghese", ma lo si fa per accumulo senza un piano chiaro, senza un'idea di empatia con i personaggi o senza un arco narrativo che vada oltre al dichiararsi gay o rimanere in sedia a rotelle dopo essersi gettati dalla finestra.
Siamo chiari, quello che ne  viene fuori non è un brutto film, ma un'opera simpatica e godibilissima che rimane estremamente superficiale (che è sempre il rischio di Ozon).

Il vero neo è il finale, anzi l'assenza di una decisione sul finale, non sapendo quale scegliere fra 2 o 3 Ozon li realizza tutti (ingannando all'inizio lo spettatore) dovendo ricorrere a soluzioni usurate come il risveglio da un sogno per giustificarsi.
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martedì 4 agosto 2020

Cinq minutes de cinéma pur - Herni Chomette (1926)

(Id.)

Visto su Cineteca Milano.

Chomette volle realizzare un cortometraggio di cinema puro, antinarrativo, doveva avere la bellezza data dalle tecniche cinematografiche e nient'altro.
Idea non nuova che ho trovato particolarmente buffa proprio per questo. Chamotte sembra voler fare un manifesto di cinema puro, ma viene dopo "Entr'acte", "Balletto meccanico", le opere di Ruttmann e quasi qualunque cosa di Vertov (film usciti sia prima di questo corto sia dopo).

Detto ciò, il corto di Chomette, è un susseguirsi di immagini di cristalli che sembrano danzare fra loro, frammentandosi, creando figure, unendosi in strutture geometriche; si passa poi alla natura con una transizione, un grappolo d'uva (al contrario) che diventa un grappolo di acini di cristallo; infine vi sono immagini naturali (un bosco e un mare con gli scogli) in negativo.
L'effetto finale è indubbiamente buono, il video è breve, ha ritmo e un colpo d'occhio quasi sempre azzeccato (ottima l'immagine delle onde del mare in negativo), ma bisogna ammettere che come inventiva ne ha meno degli illustri colleghi. La gran parte delle idee si limitano a sovrimpressioni e il già citato negativo delle immagini, nella prima metà (quella dei cristalli) anche giochi di montaggio per le costruzioni delle figure.
Nell'insieme piacevole, am decisamente poco inventivo (anche per l'epoca), probabilmente più importante dal punto di vista "politico" come presa di posizione (anche se il cinema antinarrativo era già stato messo nei manifesti dada e cubista...).

lunedì 3 agosto 2020

Entr'acte - René Clair (1924)

(Id.)

Visto su Cineteca Milano.

Diciamocelo, l'ho guardato perché dietro la macchina da presa c'è René Clair, anche se non si nota.
Questo è un film manifesto del cinema dadaista che, in realtà, fu pensato come parte di un balletto; la parte qui messa alla fine del cannone che spara doveva essere l'apertura del balletto, mentre il resto del filmato doveva essere l'intermezzo (l'entr'acte appunto).

Le sequenze centrali sono un florilegio di scene surreali (l'uovo sulla fontana, la barca in sovraimpressione sui tetti di Parigi, ecc...) alcune con un'apparente senso simbolico (il funerale con le persone che corrono al ralenty, la ballerina che danza ripresa da sotto un pavimento in vetro).

Il filmato dura poco e non può annoiare, la colonna sonora che è presente nella versione della Cineteca di Milano è chiaramente recente, ma estremamente efficace e pertinente, a mio avviso ne aumenta l'interesse e il ritmo anziché far uscire lo spettatore dal mondo del cortometraggio.
Bisogna però ammettere che ci si trova davanti a un'opera d'arte visuale e non a un film vero e proprio, opera d'arte che era parte di un'opera più ampia e che richiama in alcuni punti (il balletto appunto), la visione non può che essere parziale e ricco di fraintendimenti.
Quello che però ho trovato particolarmente interessante è quanto reggano bene le sequenze completamente oniriche o antinarrative, mentre mi sono sembrate eccessivamente lunghe e ridondanti quelle che, anche se in maniera limitata, raccontano qualcosa di verosimile (il cacciatore e l'uovo, ma soprattutto il funerale); nonostante tutte le sequenze puntino particolarmente al ritmo pi che al contenuto.