venerdì 30 dicembre 2016

Argento vivo - Victor Fleming (1933)

(Bombshell)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una diva hollywoodiana è perseguitata dal suo press agent (...non sono sicuro che fosse un press agent... non sono neanche sicuro di cosa sia... comunque è un tizio che si occupa dell'immagini della diva) che cerca di creare fama e clamore attorno alla donna con scandali e gossip rosa. Sentendosi presa alle strette cercherà di ritirarsi ad una vita più tranquilla, solo nel finale capirà l'interesse per lei del press agent.

Una screwball comedy dal ritmo enorme, ma dai dialoghi esagitati, battute rapidissime con sovrapposizione fra gli attori, urla e grida ad ogni scena, un tentativo di scena madre da commedia ad ogni inquadratura che rende il film piuttosto pesante.
Fuori discussione che le screwball comedy non siano le mie preferite, tuttavia qui l'intento comico è usato in maniera esagerata e riesce ad irritare più di quanto diverta.
All'epoca però fu un successo e lanciò la, relativamente, nuova Harlow.
Interessante più che altro per vedere un film completamente comico diretto da Fleming.

PS: divertente l'inside joke iniziale in cui l'attrice viene costretta rigirare alcune scene di "Red dust" su indicazione dell'ufficio di Hays.

mercoledì 28 dicembre 2016

Ballata impressionistica - Anton Gino Domeneghini (1954)

(Id.)

Visto in DVD.

Il secondo cortometraggio di Domeneghini dopo "La passeggiata" è simile al precedente... ma migliore.
L'idea è quella di mettere in sequenza dei quadri impressionisti per tentare di creare una specie di documentario sulla Parigi della belle époque dove le immagini sono i quadri messi in scena con una macchina da presa in movimento. Purtroppo la voce fuori campo, pur perseguendo in parte questo intendimento, in parte vuole decantare le opere degli impressionisti disinnescando (o comunque rendendo meno efficace) l'effetto iniziale; funziona molto bene la sequenza del teatro.
Ovviamente rimane ignota la reale capacità di Domeneghini come animatore.

La passeggiata - Anton Gino Domeneghini (1953)

(Id.)

Visto in DVD.

Dopo "La rosa di Bagdad" Domeneghini non diresse più nessun lungometraggio; purtroppo; impedendoci di sapere cosa avrebbe potuto realizzare in una situazione più canonica. Le sue uniche opere dirette sono due cortometraggi.
Il primo dei quali è questo "La passeggiata", un corto realizzato inquadrando i quadri di Arnaldo Carpanetti mentre una voce fuori campo recitano i versi dell'omonima poesia di D'Annunzio... inutile dire che questo cortometraggio potrà anche essere suggestivo, ma ormai terribilmente datato (paesaggi naturalistici e una poesia di D'Annunzio... cosa c'è che suoni più datato di così?) e totalmente inutile per vedere Domeneghini al lavoro.

lunedì 26 dicembre 2016

La rosa di Bagdad - Anton Gino Domeneghini (1949)

(Id.)

Visto in DVD.

La figlia del Califfo vuole scegliere il futuro sposo fra tutti coloro che raggiungeranno la capitale. Un mago malvagio vuole prendere il potere tramite il matrimonio eliminando tutti pretendenti prima che arrivino in città. Un ragazzo senza mezzi riuscirà a salvare la situazione.

Questo è il film che si contende il trofeo di primo lungometraggio d'animazione europeo con l'altro italiano "I fratelli dinamite". Tecnicamente fu iniziato prima ma durante la seconda guerra mondiale è inutile dire dei ritardi di produzione, fu poi inviato a Londra per il technicolor. Le uscite al cinema avvennero a distanza di pochi mesi, forse meno. Onestamente il primato conta poco, possono tranquillamente condividerlo.
La sostanziale differenza fra i due è che il film dei fratelli Pagot è una cavalcata anarchica in un mondo surreale, mentre qui siamo più dalle parti del canonico cartoon favolistico in un ambiente esotico.
L'animazione è decisamente discontinua (non credo che debba sorprendere, la guerra non rallenta solo la produzione, ma avrà inficiato la lavorazione nel suo complesso), ma presa nell'insieme decisamente buona, i disegni sono rotondi e dolci a metà tra la Disney (a cui sembra attingere a piene mani) e l'animazione sovietica.
Buona la gestione degli elementi magici che rendono godibile una storiella piuttosto sdolcinata. E se la messa in scena nel complesso non è originale qualche picco d'idee originali riesce ad ottenerlo (si pensi alla sequenza dei serpenti incantati dal flauto, degna di Fleischer).

venerdì 23 dicembre 2016

Gigantic - Matt Aselton (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Un tizio che lavora in una ditta di materassi e vuole adottare a tutti i costi un bambino cinese (?!) incontra un uomo (che vuole comprare un materasso), poi ne incontra la figlia, fanno del sesso fuori contesto, si piacciono, storiella d'amore con problema e risoluzione perché in fondo ci si vuol bene.

Il Sundance ha fatto molto per gli USA dando spazio ad autori, idee e possibilità come non succedeva dall'epoca della new Hollywood... purtroppo ad un certo punto è scoppiato qualcosa nella testa degli americani indie e il Sundance ha creato l'idea che per fare un film intellettualmente figo bastasse creare una storia con un personaggio normale (un pò sfigatino) con un tic eccentrico. Ecco questo film ha quello, un personaggio normale, trattato in tono realistico, con il tic (idiota e folle) che vuole adottare un cinese...
Che dire, colori freddi, tono distaccato, un Paul Dano irritantemente in parte (nella parte dello sfigatello impassibile), una Zooey Deschanel che bissa il personaggio di "500 giorni insieme", e l'ennesimo John Goodman sprecato. La trama che si muove banalissima con un finale scaldacuore... Non so immaginare niente di più inutile.

mercoledì 21 dicembre 2016

L'alieno - Jack Sholder (1987)

(The hidden)

Visto in Dvx.

Un investigatore di Los Angeles viene affiancato da uno strano agente dell'FBI per inseguire due uomini che, incensurati, compiono improvvisi omicidi con una violenza e un sangue freddo inimmaginabile. Il titolo italiano spoilera pesantemente il segreto che, in ogni caso, viene mostrato a 10-15 minuti dall'inizio.

Per questo è un film mitologico. Ricordo da bambino che, poco prima d'andare a letto, vidi di sfuggita sulla tv di papà la sequenza del primo scambio di alieno da bocca a bocca. Fu una scena che mi segnò il resto della mia grottesca esistenza e, pur rivedendola dappertutto (venne citata anche da Dylan Dog), non riuscii mai a scoprire in che film si trovasse.... questo finché l'anno scorso non ho scritto su google qualcosa come "film in cui l'alieno è un vermone che si passa di bocca in bocca".
Vedere finalmente questo film mitico è stata invece una delusione.

L'idea di base è ottima; fondere la sci-fi horror con il poliziesco e mettere due agenti a indagare e inseguire un alieno che vorrebbe fare cose bruttissime è una cosa che potrebbe appagare diverse fette di mercato... purtroppo la realizzazione lascia a desiderare.
Non è la regia insipida di Sholder il problema, ma la sceneggiatura ripetitiva fino allo sfinimento che trasforma un poliziesco ben avviato (e potenzialmente molto ingarbugliato) in un lungo inseguimento di un edgar-abito senza costrutto. Non c'è neppure una vera e propria presa di posizione gore a riempire il vuoto lasciato dall'indagine e quello che rimane sono mezzora di gioa e un'ora di noia.

Ottimi invece gli effetti speciali, sottoutilizzati al massimo. Dettaglio che sottolinea ancora di più l'occasione che si sono lasciati sfuggire)

PS: avendoli visti ravvcinati mi chiedo... che l'alieno non sia stato ripreso dal Tingler?

lunedì 19 dicembre 2016

Il mostro di sangue - William Castle (1959)

(The tingler)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un anatomopatologo studia gli esiti della paura negli esseri umani e nota che, in tutti coloro che ne muoiono, si possono riscontrare le vertebre cervicali fratturate. Ipotizza quindi che la paura, se non espressa urlando, si concretizzi in una creatura che causa la morte dell'individuo. Per un caso fortuito (...fino a un certo punto) si troverà per le mani il cadavere di una sordomuta morta di paura; ne estrarrà la creatura già battezzata tingler (non so la traduzione italiana), una specie di millepiedi dalla forza enorme, che fuggirà e creerà il panico in una sala cinematografica.

Diciamo subito le cose come stanno: non c'è nessun mostro di sangue in questo film.
Detto ciò siamo davanti a un horror con il presupposto più folle e naif che ricordi; ma fa specie che questo presupposto non sia neppure la cosa più assurda del film. Più assurdo è il rapporto patologico fra Vincent Price e la moglie (che sfrutta per un esperimento sulla paura fingendo di volerla uccidere... e il giorno dopo sembra non essere successo niente) o il modo in cui il padrone del cinema prende la notizia della morte della moglie. In ogni caso l'assurdità è tutta nella trama... Ma il nocciolo del film non è lì...
Castle, il regista fece approntare in molti cinema USA delle sedie con un impianto per dare una piccola scarica elettrica (chi ha detto "Matinee"?) da utilizzare nel finale, dove la creatura entra in un cinema a seminare il panico e in cui c'è l'apice del metacinema anni '50 (per quello che mi riguarda), con la pellicola che sembra distruggersi, l'ombra del tingler che passa sullo schermo (muovendosi al ritmo della musica del film muto proiettato nel cinema), una voce che invita tutti gli spettatori a gridare per non venire uccisi.... poi avverte che il tingler è stordito e possono ricominciare la proiezione (e il film riparte dal momento in cui la pellicola si era rotta). Pare evidente che l'intero film sia stato ideato per quest'unica scena, non mi è dato sapere se abbia avuto il successo sperato, ma lo sforzo produttivo per realizzare qualcosa del genere supera di gran lunga la cazzaraggine che ci è voluta per pensarla. Anche perché mi pare difficile riuscire a raggiungere un tale livello di sovrapposizione fra filme realtà, dove la stessa paura che provano gli spettatori finti dovrebbe essere quella degli spettatori veri... in definitiva un applauso.
C'è anche un altro (famoso) dettaglio che Castle utilizzò per colpire il pubblico. In un'unica sequenza un rubinetto butta sangue al poste dell'acqua e una vasca da bagno è pieno del liquido rosso. In un film in bianco e nero, quel sangue è l'unico dettaglio colorato, con un effetto decisamente efficace, soprattutto alla fine di una lunga (e ridicola) sequenza di "paura" totalmente senza suoni (effettivamente mal fatta, ma di una ingenuità molto divertente). L'effetto del colore dà una punta di surreale, che ritenevo lisergica, notevole in un film del genere.

Al di là degli aneddoti, quello che rimane è un film cazzaro anni '50 come ce n'erano molti, con un fattori di divertimento in più rispetto a tutti i suoi contemporanei e un finale bellissimo.
A questo si aggiunga un protagonista (Price) involontariamente molto ben riuscito (dovrebbe essere il buono, ma in realtà un capace e intelligente medico pacato e gentilissimo che diventa un potenziale assassino psicotico senza frenesie o cliché cinematografici classici e che rimane comunque il personaggio positivo che risolverà la situazione).

PS: qui sotto alcune delle pubblicità dell'epoca.




venerdì 16 dicembre 2016

Alla ricerca di Jane - Jerusha Hess (2013)

(Austenland)

Visto in Dvx.

Un'americana appassionata (ossessionata) dai libri di Jane Austen e dalla vita sociale parzialmente disadattata da questo pervasivo dettaglio, si regala un soggiorno a Austenland, un parco di divertimenti ispirato alla scrittrice, dove si vive in una villa d'epoca, con vestiti appositi, linguaggio confacente, giornate piene di attività dedicate (dalla caccia al pizzo) con la possibilità, mai dichiarata apertamente, di un qualche amorazzo con uno degli attori (sexy attori) che si fingono paggi o personaggi della vicenda.

Opera prima di Jerusha Hess come regista, moglie di quel Jared Hess con cui firma sempre le sceneggiature.

Come regia siamo agli antipodi rispetto al marito; macchina da presa mobile, costruzione di scene tridimensionali e concessioni a molti stacchi, dettagli, movimenti. Come fotografia invece siamo in linea, colori vivaci, luci che si adeguano al calore dell'ambiente, il tutto trattato solo in maniera più dolce, più zuccherosa, come la vicenda richiede.

Dal punto di vista contenutistico direi che non siamo distanti ai soliti film della coppia; personaggi emarginati per eccesso di nerditudine che cercano una valvola di sfogo proprio nel mondo che ritengono a loro più simile; ovviamente rimarranno scottati ripetutamente fino allo scioglimento finale. Qui però il tutto è trattato in maniera più convenzionale con il passo della commedia sentimentale e un happy end che sembrerebbe canonico. Ma quello che più impressione è vedere un Hess che permette ai suoi attori di recitare.
Come dicevo il contenuto è simile, ma lo svolgimento più banale. Tuttavia non è da buttare; lo svolgimento arriva alle solite conclusioni hollywoodiane, ma è evidente che Jerusha Hess non è interessata alla meta, quanto al viaggio. Per arrivare all'happy end, si passerà da un ambiente di attori, pagati per sedurre, in cui la realtà e l'ambiente ricostruito si fonderanno determinando cortocircuiti, rotture e incomprensioni; il tutto non si fermerà ad Austenland, ma verrà esportato anche nel mondo reale con la scena dell'aeroporto. Il discorso intrapreso permette di giocare con le possibilità offerte da un sogno che si realizza e con l'impatto che può avere con la vita di tutti i giorni.

Senza raggiungere mai i picchi di sentimentalismo dei film realizzati con il marito, questa commedia romantica riesce a intrattenere con gusto, un piglio più dissacrante e un'intenzione di non trattarti da deficiente che a molti film dello stesso genere manca.

mercoledì 14 dicembre 2016

Viridiana - Luis Buñuel (1961)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una novizia che sta per prender ei voti di clausura, va a salutare lo zio (l'unico parente rimastole che l'ha mantenuta fino a quel momento) prima di separarsi dal mondo. La decisione di salutare lo zio non è una cosa così immediata, data una viscerale repulsione che lei prova per il parente.
Durante la permanenza a casa dello zio, lui la seda nel tentativo, non andato a buon fine, di violentarla. Per quanto il gesto sia terribile, l'intento sarebbe stato quello di costringerla a sposarlo data l'infatuazione dell'anziano. Lei ne rimane sconvolta, ma lui di più e si uccide. Lei erediterà parte die beni, assieme al proprio cugino, ma per sfruttarli decide di non prendere più i voti e aprire la magione ai poveri del paese; neanche questa decisione che non andrà a buon fine.

Per quel poco che lo conosco, questo film è uno dei più godibili di Buñuel; non lesina in simbolismo, contorcimenti psicologici o chiacchiericcio ricco di spiegazioni non necessarie, ma la storia riesce a fluire indipendente da tutto il sovraccarico e gli eventi si dipanano con grazia.
I simbolismi (dettagli fondamentali del film) sono continui, ma spesso poco invasivi, quando invece è pesantemente evidente l'intento allegorico spesso è esteticamente appagante (su tutti la corona di spine che brucia nel finale); personalmente ho trovato esagerata e stucchevole solo la reinterpretazione dell'ultima cena, esageratamente urlata in faccia allo spettatore.

Il film inoltre, al di là di un vago anticlericalismo (più preteso dai critici, a mio avviso, dato che in questo film ne ho visto meno che in molti altri), è un'affresco grottesco sulle tenebre dell'animo umano; viene presentata la storia di una santa in pectore circondata da una serie di personaggi coerenti, ma pessimi, ognuno egocentrico e facile a lasciarsi andare a gesti immorali; una mancanza generalizzata di buon cuore in cui la parte del leone la fanno proprio quei poveri che lei vorrebbe salvare (se posso direi che era ora che Buñuel uscisse dal politicamente corretto socialista). Una mancanza di cuore che però è rivolta solo agli esseri umani, dato l'interesse per gli animali che un paio di personaggi riescono ancora a provare.

Dal punto di vista della regia Buñuel regala tre parti importanti. Una regia di un dinamismo elegante che non avevo mai notato nel regista spagnolo. Una fotografia in bianco e nero densa e interessante. Una cura per il contenuto delle scene mostrate anche maggiore che nei suoi precedenti lavori (basterebbe la notevole costruzione dell'angelus dei poveri nel prato dove montaggio, inquadrature e fotografia sono un tutt'uno con il contenuto; dal lato opposto si pensi invece allo zio che cerca di violare la nipote sedata e vestita da suora mentre la bambina li spia dalla finestra... applausi per il grado di weirditudine raggiunto senza colpo ferire).

lunedì 12 dicembre 2016

Il mio amico Eric - Ken Loach (2009)

(Looking for Eric)

Visto in tv.

Un operaio della dura e pura working class di Manchester vive con il figlio e il fratello, irriverente e distante il primo, problematico e invischiato in traffici poco chiari il secondo. La figlia di primo letto gli ha dato un nipote che tiene alternativamente con la ex moglie. In un momento di totale fallimento personale, difficoltà sociali e rimpianti per ciò che non c'è più gli appare Eric Cantona. Una proiezione della sua mente che gli da suggerimenti di vita, lo spalleggia, lo consiglia e gli scioglie tutti i problemi che l'hanno attanagliato fino a quel momento.

Incredibile vedere un film di Ken Loach, in totale stile Ken Loach (macchina a mano, ambiente proletario, fotografia dai colori pastello), ma dalla trama hollywoodiana, da commedia alla Frank Capra (con la gente normale messa di fronte a delle sfide che vince con l'essere sé stessa e supportata da una comunità bislacca, ma buona). C'è un fondo drammaico in questo film, che in una qualunque pellicola precedente di questo regista avrebbe generato agnizione in maniera cruda, qui invece è la base per la rinascita, per la felicità.

La scelta di Cantona come spirito guida riesce a più livelli. Il volto stranito del calciatore è perfetto; il suo dare consigli banali con frasi fatte è un dettaglio antologico che viene sfruttato. Ma soprattutto quello che viene realizzato con la scelta di Cantona è uno scarto rispetto alla filmografia di Loach; pur rimanendo in un contesto dove l'aspetto sociale è fondamentale, per la prima volta la lotta di classe viene messa sullo sfondo per andare più in profondità; i personaggi non sono utilizzati per mostrare la vita dura della working class o i loro sentimenti, ma ne mostra lo spirito, la storia, i miti e la cultura. Il passaggio dal disegnre il disagio sociale (come ogni etnografo snob saprebbe fare) alla descrizione della mitopoisi permette di mettere in luce i rapporti sociali che cementano i rapporti (dando al calcio una dignità che la Cultura alta non gli concederebbe mai), ne riconosce l'aspetto culturare che sfrutta per i già citati insegnamenti di vita, ma anche come forma d'arte a sé stante (vengono mostrati diversi gol di Cantona, sottolineandone il gesto atletico, mostrandone la bellezza estetica e dichiarando l'effetto catartico sul pubblico).
Loach, pur parlando del contesto, per la prima volt sembra voler capire i suoi personaggi.

venerdì 9 dicembre 2016

I prodigi del 2000 - David Butler (1930)

(Just imagine)

Visto qui.

Nel futuro (è il 1980) il matrimonio viene deciso da un tribunale e obbligato; un uomo combatte per il suo desiderio di sposare l'amata e decide di dimostrare il suo valore compiendo l'ardimentosa missione esplorativa su Marte; ad accompagnarlo l'amico di sempre e un tizio colpito da un fulmine nel 1930 e riportato in vita dalla possente scienza medica.

Film particolarissimo essendo il primo musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità). Fu un totale insuccesso e il motivo è lampante: è un musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità).
All'epoca il sonoro era appena arrivato e il musical era l'innovazione, che però essendo agli albori veniva mischiato con ogni altro genere per valutarne l'efficacia; ecco quindi il motivo di questa scelta bislacca.
Al di là della scelta del peggior crossover di sempre, il secondo motivo dell'insuccesso è da ricercare nel fatto che questo è un film totalmente cretino. Trama ridicola, attori inadeguati (El Brendel, comico noto all'epoca e qui l'uomo del passato, è semplicemente irritante), la ricostruzione di Marte è risibile, il razzo fallico per raggiungere il pianeta rosso sarà adeguatamente scherzato nei decenni successivi (verrà riutilizzato per la serie di "Flash Gordon" e quindi verrà parodiato nei film fantascientifico erotici di "Flesh Gordon"), canzoni dimenticabili quando non cretine loro pure ("Never swat a fly" è una canzone folle) e balletti di gruppo (pochi per fortuna) di rara bruttezza.

Al di là della rarità del crossover e della curiosità il film offre qualche (minimo) motivo d'interesse (che non riscattano per nulla il resto!): sono l'impegno nella costruzione dei mondi (la città alla Metropolis o le scenografie di Marte sono notevoli), ma soprattutto gli effetti speciali, dalle braccia mobili dell'idolo marziano alla retroproiezione di alcune scene, come la partenza del razzo o quella iniziale in volo (che rappresentano anche la prima volta dell'utilizzo della retroproiezione in una grossa produzione).

mercoledì 7 dicembre 2016

The fourth dimension - Zbigniew Rybczynski (1988)

(Id.)

Visto qui.

Un uomo e una donna si preparano per uscire insieme, cenano e fanno sesso. Il tutto è ripreso con i personaggi sempre fermi e "mossi" con un movimento circolare che ne determina l'anamorfosi del corpo.

Dopo "Tango" ho cercato un altro corto di Rybczynski per vederne le differenze.
In un ambiente dalle atmosfere magrittiane, con deformità che rendono i protagonisti dei personaggi alla Francis Bacon (si veda l'immagine sotto), con citazioni di stampo classico e rimandi leonardeschi, la storia è di una semplicità imbarazzante, ma viene stravolta dalla tecnica di animazione.
Va detto, l'idea è splendida, ma il corto dure 27 minuti e a lungo annoia.
Affascinante comunque il gioco delle trasformazioni degli oggetti che si dimostra innovatore in gesti semplici come l'apertura delle porte e delle finestre o durante la cena.

Inutile dire che siamo davanti, di nuovo, a un corto di arte video; decisamente più bello (esteticamente) di "Tango", innovatore, ma meno interessante del precedente... che poi in ste cose l'opinione è totalmente soggettiva e senza alcun valore (pure di più che nei film normali).

Tango - Zbigniew Rybczynski (1981)

(Id.)

Vis to in Dvx.

Macchina da presa fissa, inquadra una stanza in cui un bambino getta una palla dentro dalla finestra aperta ed entra per recuperarla; una volta uscito, il suo gesto si ripete sempre uguale; a uno a uno entrano una galleria di personaggi enorme, tutti che effettuano in loop un gesto, integrandosi alla perfezione e uscendo dalla stanza fino a riempirla completamente.

Film di animazione a tecnica di animazione mista (i singoli personaggi sono persone vere)  vincitore di un incredibile Oscar nel 1983.
L'intento è chiaramente quello di creare una danza (un tango appunto, incalzato da una musica sostenuta) con un parossismo di personaggi che si agitano, si schivano, si evitano senza mai interagire davvero; solo nel finale avverrà un'interazione indiretta che sembrerà mettere fine a tutto.
Il corto è ovviamente d'intento artistico, nel senso di arte video, più che cinematografico in senso stretto, ma l'effetto finale funziona e il continuo aggiungersi di eventi (oltre al minutaggio contenuto) lo rendono tutt'altro che noioso.

Rybczynski è considerato uno dei maestri dell'animazione europea (prima) prestato (con successo) ai videoclip una volta emigrato negli USA. Questo corto è da sempre ritenuto il suo capolavoro.



lunedì 5 dicembre 2016

Snowden - Oliver Stone (2016)

(Id.)

Visto al cinema.

La vicenda del caso Snowden vista attraverso gli occhi del protagonista; inutile dire per chi tifi il regista (il finale con il vero Snowden è un capolavoro di retorica liberal).
Al netto dell'intento smaccatamente politico Oliver Stone decide di raccontare la storia attraverso la descrizione di un personaggio e l'idea si rivela vincente. Raccontare l'ennesimo thriller politico con le consuete dinamiche sarebbe lavoro banale, ma fattibile; raccontare la vicenda complessa che basa tutte le sue dinamiche sul fumoso mondo della rete e della raccolta dati, in cui la violenza è tutta nella violazione della privicy, beh tutto questo sarebbe semplicemente suicida. Stone decide di virare recisamente e spostare l'attenzione dalla vicenda (chi fa cosa a chi, chi è il cattivo e chi la vittima) sul protagonista; un giovane che si trova (viene proprio dichiarato) nel meccanismo come un contabile del periodo nazista; non sta facendo nulla di male, aiuta la sua patria, ma per farlo aggira ogni regola con il plauso dei superiori. Un protagonista non ideologizzato, ma "normale", con più dubbi che certezze e una nausea in costante aumento per quello che fa, nonostante ciò che fa continua a fargli avere l'ammirazione dei colleghi e nuove posizioni di rilievo.

La regia è sempre la stessa, con fotografia curata, inquadrature sghembe, giochi di montaggio classici per Stone; decisamente dalle parti dei suoi film anni '90... tuttavia il ritmo è incredibilmente rallentato. La storia si segue volentieri e le oltre due ore si fanno seguire bene, ma uscendo dalla sala si ha la sensazione di averci messo più del dovuto.

venerdì 2 dicembre 2016

La terrazza - Ettore Scola (1980)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici di mezz'età si ritrova a una festa su una terrazza romana, da lì alla festa successiva si seguono le vite di ognuno di loro, viste singolarmente a episodi separati, notando come ognuno di loro sia un uomo solo sempre più triste e ipocrita.

Considerato la pietra tombale della commedia all'italiana... e devo ammettere che rappresenta bene il genere anche se, con una ombelicalità eccessiva, parlando di un gruppo di uomini dell'intellighenzia con un tono negativo, ma in fondo autoindulgente (come sempre in questo genere, dove il perdente è comunque il guascone per cui si parteggia). Tutto sommato una commedia all'italiana imborghesita (ma in fondo tutti coloro che vi hanno partecipato ormai erano abbondantemente imborghesiti), spesso mal recitato (non dal cast principale che, apriti cielo ad averlo ora, però le retrovie spesso deragliano), imbolsito dagli anni, eppure alla fine riesce a essere un buon esempio del genere.
Eppoi è sempre divertente vedere il cinema che sfotte sé stesso, che spiega e si giustifica sul perché il cinema italiano stia morendo (e c'è Tognazzi che critica il classico film a episodi con Sordi, Manfredi, Tognazzi, Pozzetto e Muti).

Nonostante i difetti i vari episodi sono ben condotti, divertenti nel loro dolore e mantengono un buon ritmo (un poco rallentato solo in quello di Gassman); considerando che è un film di 2 ore e mezzo va via molto velocemente. Di buon interesse l'incrociarsi dei personaggi nella scena sulla terrazza ripetuta e i piccoli tocchi di classe della sceneggiatura (Mastroianni che spiega che la cosa più importante in una scena è il tono mentre il ristorante dove si trova mostra che il tono di quella scena è la commedia). La Gravina (premiata a Berlino) è effettivamente la più brava nel mucchio di attori.

Delude il finale un pò debole.

PS: nei panni della ragazzina alla festa è la giovane figlia di Trintignant.