lunedì 30 gennaio 2017

Per la patria - Abel Gance (1919)

(J'accuse!)

Visto in Dvx.

Un triangolo amoroso viene interrotto dalla grande guerra. La donna del contendere verrà catturata dai tedeschi dopo la conquista dell'Alsazia, il marito e l'amante si ritroveranno nella stessa trincea. Al di sopra di un tale dolore verrà ricostruita l'amiciza. Il rtosno della donna con una bambina avuta da uno stupro complicherà le cose.

Solo un anno dopo la fine del conflitto mondiale, Gance, realizza un film ambientandolo in location reali, mettendo delle foto prese dalle trincee, sequenze della marcia trionfale dell'esercito francese a Parigi e lettere scritte dal fronte. Un'opera talmente sul pezzo che poteva facilmente sfociare in un documentario sotto mentite spoglie o un film a tesi.
Nonostante il film sia apertamente pacifista, Gance però non cade nell'errore di dimostrare l'ovvio tramite immagini banali; crea invece una storia complessa che poco centra con le ragioni della guerra o dell'astensionismo. E come film d'amore (con uno dei triangoli amorosi più strani di sempre finendo con il dividersi fra due uomini con il figlio di un terzo) sarebbe già adeguatamente originale e interessante. La guerra rimane sullo sfondo, rimane un espediente drammatico ben utilizzato per far sviluppare la vicenda e per introdurre la grandissima allegoria finale.

Dal punto di vista della regia sembra un film decisamente moderno. Un impianto realistico (naturalismo), ma con sovraimpressioni allegoriche (la danza degli scheletri) o inserzioni poetiche (la poesia declamata accompagnata da reiterate immagini naturali); uno stile articolato composto da un ritmo sostenuto realizzato tramite il montaggio (addirittura nell'incipit del film gli attori sono presentati con un montaggio alla Eisenstein prima di Eisenstein); uso continuo dell'iris per focalizzare l'attenzione o per nascondere alcune parti della scena svelate successivamente; dissolvenze continue, continui fade to black con mascherine diverse, una soggettiva con gli occhi di una civetta, alcune personaggi presentati su sfondo nero per metterli in risalto. Ma forse quello che rimane maggiormente impressa è la delicatezza di certe immagini e la poesia dei dettagli; dagli addii degli uomini che partono per il fronte realizzati inquadrando solo le mani, allo sviluppo de personaggi che da triangolo amoroso diventa una famiglia estesa. Da sottolineare anche la scena della violenza sessuale mostrata solo attraverso le ombre.
...poi ovviamente c'è il noto finale, con i morti che risorgono dal campo di battaglia per chiedere conto ai vivi del loro sacrificio. Un finale allegorico ed enfatico in maniera brutale; ma vedere il campo di battaglia coperto di croci che diventano cadaveri che si risvegliano, così come la bambina nata dalla violenza che re-insegna a scrivere al poeta divenuto pazzo sono episodi che raggiungono il loro obiettivo.

venerdì 27 gennaio 2017

Giallo - Dario Argento (2009)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Una hostess va a trovare la sorella che abita a Torino, ma proprio il giorno del suo arrivo, la sorella viene rapita da un maniaco che sembra accanirsi sulle belle donne. Cerca aiuto in un ispettore italo-americano dai metodi bruschi; talmente bruschi che dopo due volte in cui le insiste accetta che anche lei si metta ad indagare con lui.

Loffio thriller di un Argento bollito che, sulla carta, sarebbe anche abbastanza buono. Senza idee illuminanti, e senza novità, potrebbe fare il suo sporco lavoro, con una caccia all'uomo e un finale assolutamente insperato. A questo si dovrebbe aggiungere una fotografia nitida e funzionale oltre che l'utilizzo di qualche ottima location fuori dagli schemi (ad Argento si può dire di tutto, ma come sfrutta lui Torino lo fanno pochi altri).
Purtroppo però, al di là di tutto ciò, il film fa acqua da tutte le parti. La sceneggiatura non riesce a rimanere seria troppo a lungo e comincia a inanellare una serie di WTF dovuti più alla pigrizia e alla disattenzione, piuttosto che all'incapacità. Il cast internazionale fa accapponare la pelle; Brody che fa il duro non è credibilissimo, ma almeno lui il suo lavoro lo porta a casa, la Seigner invece è ingiustificabile; non recita sopra le righe, non recita neppure malissimo, ma sembra sempre spaesata o svogliata; purtroppo lei sembra più in linea con gli altri attori del povero Brody. I personaggi stereotipati a questo punto sono un problema secondario. Tutto sa costantemente di finto, di artificioso e la regia abbastanza gradevole riesce comunque a inserire sbagli clamorosi (flashback introdotti a forzi nelle scene come neanche un parvenu farebbe). Le buone location, che dicevo poc'anzi, sono sprecate da un atteggiamento anempatico; non sono sfruttate in senso drammatico per come lo intendeva Hitchcock, ma neppure sono minimamente messe in relazione con i personaggi o utilizzate da un punto di vista più schiettamente horrorifico.
Ma sorpattutto: perchè Brody deve interpretare anche l'antagonista con chili di trucco per farlo risultare diverso?! Non è uno spoiler perché questa scelta non ha motivi nella trama. A cosa è servito? per risparmiare i soldi, pagando una attore in meno? No perché questa scelta assurda (assieme a un trucco di poco migliore di quello di Ruggero De Ceglie) riesce a rendere ancora più amatoriale un prodotto raffazzonato e più idiota un personaggio.

Non è neppure il classico brutto film di Dario Argento; è solo un filmetto mediocre con punte di ironia involontaria.

mercoledì 25 gennaio 2017

Melancholia - Lars von Trier (2011)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una donna affetta da depressione si sposa, il giorno del suo matrimonio sembra che tutto vada per il meglio, ma all'improvviso viene, nuovamente, colta dall'angoscia; tutto andrà a catafascio. Il giorno dopo rimane dalla sorella dove assiste all'avvicinamento di un pianeta, Melancholia, che dovrebbe sfiorare la terra senza causare danni, ma quando i calcoli degli astrofisici sembrano sbagliare e la tragedia sembra totale e inevitabile è proprio lei che riesce a mantenere il controllo.

Sarà da una vita che non vedo un film di von Trier e stavo cominciando a dimenticarmi di quanto è bravo. Al di là della sua voglia di shockare, al di là delle sue trame cupe e respingenti, al di là delle sue assurde fisse stilistiche degli anni '90, al di là di tutto von Trier rimane uno dei migliori costruttori di immagini che il cinema abbia al momento. L'incipit del film dove viene mostrato lo scontro fra pianeti accompagnato da una serie di immagini tra il reale e il simbolico dura almeno sette minuti, tutti di rallenty, tutti quasi senza azione, tutti dal significato criptico, eppure è uno dei momenti più belli che abbia visto in un film ultimamente; costruisce non delle sequenze, ma dei quadri simbolisti, delle immagini dalla fotografia impeccabile, dal significato oscuro, ma dal mood perfetto e pervasivo. Questo è un film sull'angoscia e il messaggio ci viene completamente veicolato con ogni singolo fotogramma, anche preso singolarmente.
Poi si passa alla prima metà del film, la parte della festa di matrimonio, che da momento di gioia diventa sempre più cupo. Anche qui l'angoscia è perfetta, il senso di claustrofobia, di imprigionamento (nonostante sia un matrimonio voluto e, forse, desiderato) è totale; mai nel cinema di von Trier si è percepita una tale negatività senza scampo (neppure nei suoi capolavori passati). Con niente in mano il regista veicola un intero mondo di sensazioni. Lo stile è un simil-Dogma, pur concedendosi tutte le cure del caso.
La seconda parte del film ritorna a essere una sequela di quadri. La fotografia torna curatissima, la costruzione delle inquadrature diventa predominante con punte di lirismo assurde e bellissime (la Dunst nuda [a proposito, grazie Lars] o la bellissima scena finale con il gigantesco pianeta in secondo piano e la famigliette in campo lungo). Qui l'argomento diventa più pesante (non si discute più di un matrimonio, ma del rischio che la Terra venga distrutta), tuttavia il mood si alleggerisce (fino a un certo punto), le vie di fuga scompaiono, ma la gigantesca angoscia di vivere della protagonista, sembra darle lucidità nel momento di maggior stress per un essere umano. Di fatto von Trier fa provare al suo pubblico le stesse sensazioni che prova la protagonista e in questo lavoro riesce totalmente. Ancora una volta c'è la totale assenza di speranza, ma vista con un'ottica lievemente diversa.

Un cast stellare, tutto, completamente, in parte; a cui si può imputare, al massimo, il difetto di essere sottoutilizzato. La Dunst è decisamente al suo meglio.


lunedì 23 gennaio 2017

Notre Dame - William Dieterle (1939)

( The Hunchback of Notre Dame)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Tratto dal romanzo di Hugo è la disaventura di Esmeralda, una zingara che ha la sfortuna di far innamorare di sé l'arcidiacono di Notre Dame, oltre al gobbo Quasimodo e a un saltimbanco (un O'Brien giovanissimo e magrissimo).

La trama è nota, anche se qui viene ripulita di un pò troppe complicazioni e di un pò di tragedia.
Di fatto è un dramma in costume degli anni '30 con un'occhio attento all'accogliere le differenze e a costruire ponti fra i diversi strati sociali. Dallo svolgimento scontato, ma dal ritmo godibili, personalmente l'ho molto apprezzato per l'opulenza della messa in scena, con centinaia di comparse e una ricostruzione pantagruelica (e fantasiosa) di Parigi, della facciata della cattedrale, entrambe le ricostruzioni utilizzate in maniera muscolare per realizzare scene che è difficile dmenticare. Belli anche i vicoli dei saltimbanchi con un uso delle ombre decisamente degno. Ottima anche la fotografia (bello il bianco e nero) e l'uso delle luci.

Nel cast, al di là di un brillante O'Brien in forma smagliante, va sottolineato Laughton. All'epoca tutto l'hype del film fu concentrato sul trucco per renderlo Quasimodo e l'effetto finale è effettivamente notevole; ma credo che vada sottolineata con più forza la magnifica espressione dolente che l'attore riesce a esprimere costantemente sotto quei chili di maschera.

venerdì 20 gennaio 2017

Rakkî sukai daiamondo - Izô Hashimoto (1990)

(Id. AKA Lucky sky diamond )

Visto in Dvx, in lingua originale.

Una donna con delle visioni viene operata al cervello da un medico dalle dubbie qualità e da un'infermiera che imdb mi dice essere sua sorella (o la sorella del medico...). Dopo l'intervento la situazione anziché migliorare precipita in un incubo continuo.

Spesso considerato il settimo capitolo della serie "Guinea pig", questo in realtà è un film indipendente, ma che, palesemente, si basa sul noto seriel. Riprende le ambientazioni realistiche, lo slasher estremo, l'idea di riprese dal vero, oltre che la durata. Sembra, inoltre riprendere dalla serie quella nota di ironia (talvolta involontaria, sia per questo film sia per le altre sei opere) che per me rimane il tratto distintivo di questo gruppo di horror giapponesi.
Questo film di pregia anche di una certa difficoltà nel reperire sottotitoli (AKA, ho letto in giro che non si trovano, quindi li ho cercati poco e senza aspettative) rendendone la visione una delle esperienze cinematografiche più surreali di sempre. Questo dettaglio, unito a qualche idea veramente cretina , ma ad una realizzazione che sarebbe stata da 10 e lode, rende il filmato superiore ai veri "Guinea pig" (che troppo spesso sono noiosissimi e senza significato se non il tentare di sconvolgere gli adolescenti; oppure pigiano su una pretesa ironia che diventa stucchevole).

Le prove a carico di una superiorità sono molte: qui c'è dell'involontaria ironia che raggiunge parossismi da capolavoro nella serie di visioni (forse?) con l'infermiera che succhia l'occhio fuori dalle orbite della paziente, mentre il medico compare davanti alla macchina da presa come un muppet; o durante l'intervento al cervello in cui il medico si fa fare una fellatio dall'infermiera e nell'acme del piacere si mangia uno scarafaggio che passeggiava sul cervello della signora.
Inoltre c'è una scena finale che sarebbe sicuramente piaciuta a Cocteau: la paziente operata al cervello si  sveglia con una ferita al fianco, cammina per la sala operatoria dove vede delle interiora uscire da un forno a microonde, viene quindi aggredita a suon di bisturi da una bella donna con dei fiori tra i capelli come al primavera di Botticelli (è l'infermiera/sorella di prima) e che mangia yogurt per poi fuggire nel corridoio dove incontrerà un temibile uomo scatolone che la inseguirà a lungo, intanto la bella donna si impegna in un possibile atto di autoerotismo. Questa sequenza non può essere liquidata solo come "scema", questo non è surrealismo, questo è dadaismo gore.
Comunque è fuori discussione che se un giorno qualcuno mi chiederà perché penso che i giapponesi abbiano un problema, gli mostrerò questo film.

PS: a essere onesti bisogna ammettere che anche se dura a mala pena un'ora è già troppo lungo.

mercoledì 18 gennaio 2017

Bab el hadid - Youssef Chahine (1958)

(Id. AKA Cairo station)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Se dovessi raccontarla velocemente la trama direi che è una storia di un amore tormentato (tormentato perché lei non ci sta ed è pure stronza) fra un facchino e una venditrice ambulante presso la stazione. Il finale porterà a un rapido twist della situazione e del tono del film.

Un ambiente norealista con una storia con violenza, follia, pulsioni erotiche, un filo di politica e un accenno ironico alla religione... tutto quello che in un film egiziano del 1958 non mi aspetterei mai.
Invece c'è tutto questo e anche di più, almeno una storia nella storia accennata solo in tre momenti, ma che riesce ad avere uno sviluppo. Il tutto unito a una fotografia in bianco e nero davvero bellissima.
Lo stile della regia sarebbe stato bene sia in un film espressionista tedesco, sia in un film di Welles; con l'uso della profondità di campo per creare scene su più piani, un'abbondanza caotica di carrelli, inquadrature spesso ravvicinate, molte oblique (o leggermente rialzate o ribassate rispetto ai personaggi) e nel finale anche una serie di giochi d'ombre noireschi.
Una serie di stilemi che sembra essere la summa del meglio (per me) prodotto dal cinema fino a quel momento; messi insieme per mostrare un film che sembra partire con il tono del racconto di riscatto o romantico, per poi deragliare verso il thriller e la follia. Un'opera magnifica e originalissima.

lunedì 16 gennaio 2017

Good morning, Vietnam - Barry Levinson (1987)

(Id.)

Visto in VHS.

In Vietnam arriva un nuovo dj per la radio dei militari americani. Il nuovo arrivato è un comico nato, irriverente e irrispettoso delle gerarchie da anche notizie che dovrebbero essere tenute top secret (niente di abissale, semplicemente che c'è una guerra vera la fuori); a questo si aggiunge un suo coinvolgimento indiretto in un attentato. Sarà ovviamente avversato dai superiori, ma amato dai commilitoni.

Sicuramente va premiata l'idea di base di parlare di argomenti drammatici in un contesto scanzonato, però l'effetto finale mi è sembrato piuttosto scialbo. Una regia funzionale, ma inesistente; la comicità del primo Robin Williams (sicuramente ammazzata dal doppiaggio) non mi ha mai entusiasmata protesa fra l'irritante e il non comprensibile (devo ammettere che non mi ha mai divertito neanche per sbaglio); una fotografia quasi inesistente.
Di fatto un film originale sul Vietnam (e meno male), che mostra la guerra in maniera talmente obliqua da non sembrare un film di genere, ma che riesce comunque a cadere in tutti i cliché che avrebbe potuto evitare con facilità. La cornice regge, ma è irritante se non irrilevante.
Un film invecchiato utile solo a mostrare l'istrionismo del protagonista.

venerdì 13 gennaio 2017

Alcool - Augusto Tretti (1980)

(Id.)

Visto qui.

Un ragazzo veneto, padre di famiglia, è un'alcolista misconosciuto da una società che gli al pari. Tutti bevono in ogni contesto sociale, l'ubriachezza è tollerata, il vino un cibo, un medicinale e mezzo di socialità e viene utilizzato da tutti, bambini compresi. Il giovane, rendendosi conto del problema cercherà di porvi rimedio, ma il contesto sociale lavorerà contro di lui fino alle estreme conseguenze.

L'outsider totale da ogni classificazione, Tretti, venne contattato dalla provincia di Milano per fare un film a scopo sociale sull'alcolismo. Inutile dire che l'effetto finale è una lunga e laboriosa pubblicità progresso; più estrema di un film a tesi, più petulante e con una trama a sequenze distinte che mostrano la diffusione e la tolleranza nei confronti dell'alcol.

Il lavoro di Tretti però non cade nel vuoto. Ambienta la vicenda nel suo Veneto, e costruisce una galleria di personaggi di provincia grotteschi e senza speranza che sembrano creati da un Fellini con le coliche renali. L'effetto straniante (dovuto anche dagli attori, tutti non professionisti) sarebbe anche utile e calzante in un film migliore.
Ottime le sequenze della casalinga (un piccolo gioiello di montaggio che rende interessante eventi di una banalità sconcertante) o la realizzazione del delirium tremens nel finale.

Peccato per la gabbia imposta dal committenti che affossa un film potenzialmente interessante e certamente coraggioso (in anni in cui l'alcolismo endemico della zona era anche più misconosciuto di oggi).

mercoledì 11 gennaio 2017

Alba rossa - John Milius (1984)

(Red dawn)

Visto in Dvx.

L'URSS finalmente si decide a invadre gli USA. Lo fa con una manovra a sorpresa, interagendo con i cubani, sfruttando molta strategie e nessuna arma nucleare. Un gruppo di regazzini di una scuola superiore del profondo ovest ripara sulla montagne, vive alla giornata e decide di organizzare una resistenza strutturata. Questo è tutto il film.

Si, questo è un film fascista, o almeno un film guerrafondaio. Ma John Milius (che almeno guerrafondaio lo è) non si lascia etichettare buono buono.
Questo è un film dove degli adolescenti sparano e uccidono, dove nelle prime scene si mostra un ragazzo con un buco in fronte e dove le armi preferite sono fucili, pistole e coltelli, niente missili lanciati da chilomtri pigiando un bottone. Questo è un film patriottico, dove gli states vengono invasi, ma il popolo si organizza a costo di morire e di gravi privazioni, ma resiste.
Eppure non è tutto li. I comunisti invasori non sono solo animali cattivi senza volontà; c'è un capo cubano cavalleresco che da la caccia alla resistenza pur sentendosi a loro vicini (visto che anche lui ne fece parte); ci sono soldati russi che si chiedono il motivo di attentati anche contro persone sostanzialmente inermi e ci si chiede anche se non valga la pena andarsene visto l'odio della popolazione. E poi Milius è uno a cui i nativi americani son sempre stati simpatici; e cosa c'è di più ironico che non mettere gli statunitensi nei panni degli indiani? (i ragazzi bevono il sangue di un cervo ucciso, dei soldati russi discutono del massacro indiano avvenuto in quelle zone ecc...) e vista in quest'ottica, la voglia di sopravvivenza, la sete di vendetta cieca, tutte queste cose brutte, siamo sicuri di non comprenderle? (non voglio dire che saremmo addirittura disposti ad accettarle eh, non sia mai?).
Infine, (e questo Milius non so se possa averlo percepito, ma non mi stupirebbe) in una nazione, come l'Italia, dove la retorica della resistenza come un gruppo di cavalieri senza macchia che cvompivano anche azioni efferate, ma per un bene superiore, qui da noi, le azioni di quei ragazzi, non sono comprensibili e giustificabili? (se fossero gli italiani contro i nazi-fascisti, lo considereremmo duro, ma buono) L'unica cosa che cambia è che per una volta nella resistenza ci sono gli arroganti americani e questo infastidisce.

Di fatto un film su commissione che entra perfettamente nelle corde di Milius, in cui il regista ci sguazza a piene mani. Quello che ne vien fuori è un solidissimo film di guerra con molte scene d'azione (quasi tutte ben realizzate, tutte piuttosto verosimili), sentimentalismo (anche se l'empatia nelle scene drammatica latita troppo), agnizioni, e patriottismo a piene mani; un film che nella lunga mitopoiesi americani regala l'ultima figura che mancava, quella già citata della resistenza. Per farlo mette delle armi da fuoco in mano a degli adolescenti inaugurando il PG13!
Va inoltre fatto un'applauso alla concisione. Milius vuole parlare di resistenza, non gliene frega niente dei preamboli; quindi l'incipit sono una manciata di cartelli che spiegano lo stato (e quindi le motivazioni) dell'URSS, poi un minuto di lezione su Gengis Kahn, quindi una bellissima pioggia di apracadutisti sovietici, l'ammazzamento di un professore, una mitragliata contro la scuola, l'inquadratura dei morti, la fuga. Un incipit essenziale e perfetto che da il taglio a tutto il film, due minuti di chiacchere e poi gi con l’azione.

Ovviamente un film inadatto a chi non apprezza il genere, per gli altri ci sono solo alcuni momenti di stanca dove Milius vorrebbe creare quel sentimentalismo con le parole anziché farlo con le azioni (parte dove invece vince a piene mani).

Infine un appunto; a mio avviso il film rende un altro servizio. Di fatto i protagonisti hanno la stessa età di molti soldati della prima guerra mondiale, solo che se guardo (o leggo) "Niente di nuovo sulfronte occidentale" non riesco a capirne l’impatto generazionale e non ne vengo del tutto coinvolto, qui invece il gioco di coinvolgere riesce, Milius ce la fa ad attualizzare un'idea che oramai risulta stantia se mostrata sempre nelle stesso modo.




lunedì 9 gennaio 2017

Il danno - Louis Malle (1992)

(Damage)

Visto a un cineforum.

Un ministro inglese conosce la nuova ragazza del figlio, rimangono ognuno ammaliato dall'altro; diverranno amanti. Quando il figlio annuncerà l'imminente matrimonio il rapporto fra i due non si interromperà (anzi, lei ammetterà di aver accettato di sposarsi per stare più vicina possibile all'amante); l'uomo tenterà di rendere le cose accettabili (lasciare la moglie e stare in maniera ufficiale con la giovane), ma sarà la ragazza a non accettare. Il dramma è dietro l'angolo.

...ma quanto sesso c’era al cinema nella prima metà degli anni ’90? Ma quanto si è divertito Irons nella prima metà degli anni '90 a fare la parte del perfetto british con una perversione in più?                   
Malle da vita a un film algido, ma abbastanza coinvolgente nella prima parte in cui il rapporto dei due si mostra come una necessità, arida, ma implacabile; il distacco però non aiuta nelle scene di sesso (frequenti) che comunque riescono a essere efficaci nonostante tutto.

Credo sia Mereghetti che l'ha definito un film loseyano, personalmente lo trovo un dramma borghese pruriginoso in salsa inglese, ma senza il vago senso di perversione strutturale dei film di Losey e senza il suo evidente senso di disprezzo per la divisione in classi.

In definitiva un film lungo e autoindulgente, ti porta a un finale estremamente bello (tutto quello che c'è dallo showdown in poi), ma te lo fa pagare caro per una regia che fa di tutto per tenerti a distanza. A suo vantaggio ci sono una Canonero che aggiunge un 95% di classe in più e una coppia di protagonisti (Irons e la Binoche) che a me piacerebbero, ognuno per conto suo, anche se vendessero bibbie porta a porta alle 6 del mattino.

venerdì 6 gennaio 2017

Joshû sasori: Dai-41 zakkyo-bô - Shunya Itô (1972)

(Id. AKA Female Convict Scorpion: Jailhouse 41)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

La nostra Sasori è sempre in isolamento, ma le altre carcerate organizzano una rivolta che viene sedata rapidamente con terribili conseguenze per tutte... soprattutto Sasori. Mentre vengono riportate in carcere riescono a fuggire, ma tra le detenute in fuga ci saranno ovvi malumori (odiano sempre tutti la povera Sasori); arriveranno a rapire un autobus di turisti.

Grazie al successo del primo capitolo di questa serie, venne realizzato immediatamente dopo il precedente. Innegabile che la storia sia quello che sia; già nell'altro non era proprio il punto di forza, qui la trama è ripetitiva e noiosetta... ma meno dell'altro, il ritmo, spesso, c'è e funziona... si insomma ancora una volta non spicca e non sarà il motivo principale di interesse. In meno rispetto al precedente c'è da sottolineare una gravissima mancanza di tette.

Quello che, per fortuna, viene riconfermata, è la coppia Kaji/Itô. L'attrice e cantante riesce a mantenere la presenza scenica di sempre. Mentre Itô ritorna a giocare con la regia come un bambino: inquadrature da prospettive estreme, giochi di luci, macchina a mano, panoramiche circolari e attori che ruotano sulla scena... e tutto già nella prima mezzora (anzi 15 minuti). in più ci sono degli inserti favolistici (come la vecchia pazza con il coltello, l'intermezzo con la canzone e la morte con le foglie autunnali) o la scena sull'autobus che fa il paio alla scena del flashback nel primo film.

Si insomma, ha più o meno gli stessi difetti e lo stesso stile del precedente, ma ancora ci si diverte.

mercoledì 4 gennaio 2017

May - Lucky McKee (2002)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una ragazza un poco sociopatica che lavora per un veterinario (e dunque abituata a scene crudeli), nel suo passato una famiglia castrante, nel suo presente grandi difficoltà di socializzazione. Si innamora di un ragazzo un poco weirdo, ma non tanto quanto lei vorrebbe e dopo aver ecceduto nelle effusioni lui se ne va senza spiegazioni. Tradita anche dalla collega la sua fragile mente deraglierà del tutto e comincerà un sano massacro con dovizia di idee creepy.

Il film parte da un'idea non nuovissima, ma abbastanza originale. La storia di un massacro che parte da prima, la storia di una killer da horror classico che ne racconta il background e i motivi. Al contrario di molti altri su questo genere, la via che viene percorsa per passare da un relativo equilibrio mentale alla follia non viene relegata ai primi 10 minuti, ma a oltre un'ora, una storia che si dipana lentamente e che arriva al finale con la rincorsa giusta senza per questo annoiare.

I lati positivi sono evidenti fin da subito nella costruzione delle sequenze che è piuttosto interessante, con alcuni picchi estetici magnifici (gli oggetti che volteggiano nell'aria su fondo nero; o la scena dei vetri rotti alla scuola per ciechi che è una versione surrealista di "Carrie, lo sguardo di Satana").

Il vero problema è che l'idea di partenza è gradevolmente semi-nuova, tuttavia viene violentata da un didascalismo imbarazzante (le ossessioni della protagonista sono urlate fin da subito) e da un'atteggiamento sopra le righe generalizzato che lo rende qui e la sciocco e generalmente poco empatico. Il finale poi è un florilegio di eccessi con scarse giustificazioni...

Per quanto sia un tantino eccessiva, Angela Bettis, mi è parsa in parte... tutto sommato se tutto il film è esagitato lei non poteva giocare stando sottotono (ammetto che la Bettis generalmente mi piace a prescindere).

PS: viene spesso sottolineato il femminismo della regista McKee (che ho già visto in "The woman"), personalmente vedo che questi due film si contraddistinguono per due donne messe all'angolo dalla società e abusate largamente, due donne che si ribellano in quanto messe alle strette. E in entrambi i casi, la donna che davvero è la vittima è sempre interpretata dalla Bettis...

lunedì 2 gennaio 2017

L'uomo in nero - Georges Franju (1963)

(Judex)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un uomo misterioso, che si fa chimare Judex, minaccia un banchiere di fare giustizia dei suoi furti legalizzati la sera della festa per l'anniversario. Durante la festa però il banchiere muore e Judex viene sospettato; il vendicatore però, non solo non è colpevole, ma cerca di salvare l'innocente figlia del finanziere dalle macchinazioni che la vorrebbero morta anche lei.

Prima del citazionismo di Tarantino, ma anche prima dei film fatti per aggregazioni di idee e stili del passato di Coppola, Franju tenta un'operazione simile. Prende spunto da un omonimo serial cinematografico degli anni '10 diretto da Feuillade, e lo declina in nella sua chiave surreale. Ne ruba l'idea di fondo, la trama sbilenca e alcune tecniche del decennio passato (iris, mascherine e cartelli, usati in maniera creativa, oltre che una musica decisamente enfatica e i costumi retrò utilizzati in maniera espressionista con un pizzico di Sandeman...).
Quello che aggiunge è una regia  modernissima ancora oggi e quel gusto surreale che gli diede il plauso degli artisti dell'epoca. Da antologia la scena della festa che inizia con il piano sequenza all'uomo con la testa da pennuto che mi ha ricordato, non tanto il successivo "Eyes wide shut" (come ho letto in diversi luoghi dell'internet), quanto i quadri di Ernst.

Peccato per gli attori non ottimali, soprattutto il protagonista, un prestigiatore voluto per rendere perfettamente le scene di magia... che però, purtroppo, non recita neanche per sbaglio.
L'effetto finale è comunque interessante e straniante, come per il precedente "Occhi senza volto".