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venerdì 15 novembre 2019

Iron man - Jon Favreau (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Il primo capitolo della nuova vita della Marvel cinematografica è una delle operazioni meglio riuscite di sempre e uno dei film di supereroi più belli dell'epoca (a parte alcuni Batman).

Il film è una classicissima origin story e deve portare a casa il risultato presentando un personaggio sconosciuto a più, raccontarlo nel dettaglio prima, mostrare come c'è arrivato e poi farlo scontrare con il villain del caso.
Il metodo scelto per farlo è vincente.
Il film si concentra tantissimo sul personaggio, lo manipola rendendolo cool e divertente e lo mette in mano a Robert Downey Jr (il personaggio è proprio ritagliato su di lui). Mai una scelta di casting fu più azzeccata. Oggi nessuno avrebbe dubbi ad affidare a Downey Jr le chiavi di casa, ma all'epoca l'attore (con tutti i suoi problemi) arrivava da una serie di film imbarazzanti, alcuni ottimi film che abbiamo visto in due, e altri film dove semplicemente non lo si poteva riconoscere (e comunque li abbiamo visti in due). Questo personaggio invece gli permette di gigioneggiare al meglio e dare sfoggio di una gamma di possibilità attoriali (esagerate) che gli verranno buone e lo rilanceranno.
Il film si poggia integralmente sul suo attore/personaggio e gira intorno distruggendo quello che era l'archetipo supereroistico sopravvissuto fino a quegli anni (quello anni 80-90 di Batman) con un personaggio principale triste e esolitario e prieno di problemi e un supoerpotere visto con fatica o con responasibilità; qui si vira il tutto verso l'edonismo.
Il tutto condito da una fotografia ottimale, molto illuminata e tendente ai colori caldi.

L'altra grande scommessa è quella di creare un film con un antagonista quasi inesistente; certo il villain arriva, ma molto tardi, dall'interno e quasi per sbaglio, dando vita a una delle (estremamente efficace) sequenze action di un fil m d'azione povero d'azione.

Un film non scontato che diventerà seminale che azzecca tutto, dall'estetica al tono al ritmo fondando una nuova linea di supereroi.

venerdì 2 agosto 2019

The strangers - Bryan Bertino (2008)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una coppia in (recente) crisi, va nella casa delle vacanze dopo una festa di matrimonio. Durante la notte 3 persone incomberanno su di loro, rubando i cellulari, mettendo fuori uso la macchina e minacciandoli senza alcuna speigazione.

Per me questo è l'inizio dell'home invasion come noi lo conosciamo. Si, i padri nobili del genere vanno da "Cane di paglia" ad "Arancia meccanica" o un più recente "Funny game", ma a conti fatti sono film con altri intenti, altre strutture, altri toni in cui interoccorono sequenze (a volte neppure lunghissime) con home invasion. Questo è il primo slasher classico che si concentra sul gioco del gatto con il topo di alcuni individui che invadono l'abitazione dei protagonisti (si, ok, siamo onesti, il primo è "Them", ma è stato meno seminale di "The strangers"... e poi l'ho scoperto solo molto di recente e non l'ho ancora visto).

Il film però sembra fare il paio con il contemporaneo "Vacancy" e, purtroppo per Bertino, quello era un film realizzato da dio. Entrambi inseriscono una coppia in crisi in une vento drammatico ed entrambi vorrebbero fornire un arco narrativo alla crisi, in entrambi i casi la coppia viene braccata e in entrambi i casi i motivi sono assenti (in "Vacancy" ci sono, ma sono esterni alla coppia). Peccato che "Vacancy" sia un film curatissimo sulla scrittura dei personaggi, sulla fotografia e la gestione degli spazi oltre che essere estremamente inquietante.
Bertino dal canto suo scrive una storia in cui il family drama è pretestuoso e mal utilizzato, idealmente utile a empatizzare, ma di fatto porta via minutaggio senza aggiungere niente di che; l'arco narrativo della coppia in crisi è tagliato con l'accetta e passa da "coppia che si lascia" a "coppia ancora innamorata" senza una vera evoluzione.
I villain del film sono piuttosto ridicoli, giocano troppo nella prima parte senza fare nulla di concreto, concedendo ampio spazio a un climax di tensione notevole, ma che si disperde nell'insistere sulla mancanza di sangue (dopo un pò che i cattivi non arrivano al dunque il pericolo percepito per la coppia scema e non mi interesso più all'incappucciato con l'accetta, tanto non li ammazza).
La fotografia è dozzinale, mentre la regia riesce a sfruttare un paio delle buone idee messe nella sceneggiatura.
E tutto questo è un peccato ancora maggiore, perché un paio di basi buone ci sono. I villain sulla carta sono perfetti, spietati, immtivati, incappucciati. Peccato perché il climax di cui dicevo nella prima mezzora (nonostante il family drama) riesce a creare uno stato di tensione costante che diventa intollerabile appena si vede il primo dei cappucci.
Nonostante il successo e la presenza di Liv Tyler (che hanno portato a un inspiegabile seguito 10 anni dopo!) è più un'occasione persa che non un film riuscito a metà.

mercoledì 10 ottobre 2018

Tsumiki no ie - Kunio Kato (2008)

(Id. AKA La Maison en Petits Cubes)

Visto qui.

Vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio animato nel 2008, il breve film di Kato mostra un mondo allagato dove le acque continuano a salire e dove le persone risolvono il problema costruendo una nuova stanza sopra la precedente. Un anziano perde la pipa nella botola che lo collega alle sue, molte, case sommerse, comprerà dell'attrezzatura da sub per recuperarla, così facendo ripercorrerà a ritroso tutta la sua vita.

Delicato dramma senile, ben realizzato, ma, a conti fatti, non molto originale.
L'ambito in cui il corto di Kato vince a mani basse è la realizzazione tecnica. A fronte di un'animazione semplicemente impeccabile, il tratto è estremamente lontano da quanto ci si potrebbe aspettare da un autore giapponese. A vedere i disegni del film si potrebbe pensare che l'autore sia europeo, chiaramente figlio di Chomet, con i suoi tratti caricaturali, i colori terrei e il disegno "sporco"; il tutto con un tocco di Shaun Tan per la tridimensionalità dei corpi e il senso di lieve disagio pur nella normalità del soggetto rappresentato.
L'effetto finale è affascinante e, pur di fronte a una certa banalità dell'idea (come si è detto), il viaggio fisico di questo buffo personaggio dentro la sua memoria rimane affascinante.

PS: di Kato, su youtube, si può trovare anche gran parte della serie su "Tortov Roddle" che presenta una trama decisamente più surreale, un'animazione peggiore, ma una suggestione che si avvicina (solo avvicina eh?!) al Codex Seraphinianus senza perdere le parentele con gli autori già citati.

lunedì 19 febbraio 2018

The chaser - Na Hong Jin (2008)

(Chugyeogja)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una prostituta finisce nel covo di un serial killer che cerca di ucciderla. Per fortuna il suo protettore si accorge di qualcosa di strano e cerca di rintracciarla; non troverà lei, ma il killer e inizierà un inseguimento che li porterà entrambi dalla polizia. Il protettore verrà creduto, ma le prove saranno inconsistenti e il killer dovrà essere rilasciato.

Thriller sudcoreano estremamente interessante per come sviluppa una storia potenzialmente banalissima. Invece i canoni vengono stravolti, l'identità dell'assassino è rapidamente svelata grazie a un minimo di intelligenza e una serie di eventi fortuiti; a quel punto il film si sviluppa sull'inseguimento. Una volta fermati entrambi dalla polizia la tensione circa la fine della vittima scema e invece si crea l'hype sull'arresto che, per incompetenza e mancanza di prove, sfuggirà. Di nuovo il film torna sull'inseguimento (un pedinamento) e solo dopo oltre un'ora e mezza si ricomincia con le minacce alla vittima.
Tutti in questo film sanno chi farà cosa, ma non sanno dove e non possono fermarlo.
Di fronte a una struttura del genere la lotta finale fra il protettore e l'assassino è catartica e orchestrata benissimo (inquadrata peggio purtroppo) con due uomini digiuni di lotta che combattono con quello che hanno a disposizione per sopravvivere, con inevitabili colpi a vuoto, stanchezza e cadute.

Da encomiare anche la fotografia, un misto di realismo e luci sature in ambienti bui; assolutamente adatta e parte integrante della riuscita dell'opera.

Quello che però deraglia è tutto nell'inizio. Il finale, come si è detto, è estremo e perfetto per il modo e i motivi per cui ci si arriva; ma l'incipit (almeno i primi 45 minuti), sono in bilico fra l'horror alla "Saw" e il macchiettistico con risvolti da commedia. L'insieme non funziona e fa perdere forza anche al primo inseguimento.

venerdì 15 dicembre 2017

Il matrimonio di Lorna - Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne (2008)

(Le silence de Lorna)

Visto in Dvx.

Una immigrata albanese si è sposata con un tossicodipendente belga per avere la cittadinanza. Alla fine dei mesi minimi di matrimonio divorzieranno, lei lo pagherà profumatamente e metterà in vendita la propria cittadinanza a altri immigrati, si sposerà a sua volta a pagamento. Il tutto diretto da un'organizzazione ben oliata. Quello che non ci si aspettava è che il tossicodipendente vede in questo matrimonio di convenienza una sorta di motivazione per cambiare la propria vita; quello che però non sa è che è stato scelto per essere ucciso alla fine del periodo facendola passare per overdose e non pagare né lui né per il divorzio. Le sue belle speranza faranno ricredere la dura Lorna che cercherà di aiutarlo.

I personaggi dei film dei fratelli Dardenne sono da sempre sfaccettati e scarsamente omologabili. Sono tutti stoici nelle scelte che vengono fatte, ma nei primi film erano decisamente dei buoni (certo, anche Rosetta tradisce il suo unico amico, ma è un atto di cattiveria dettato dalla necessità, che fa particolarmente impressione proprio perché lei è buona). Nel film precedente, viene per la prima volta presentato un personaggio negativo, ma solo per stupidità, non per volontà e, durante lo svolgimento della vicenda crescerà e diventerà il classico personaggio dei Dardenne. In questo, per la prima volta c'è per protagonista un personaggio apertamente negativo; dura, glaciale, sfrutta gli altri esseri umani per i suoi scopi. Per tornare sul tracciato dei film precedenti dovrà esserci una vera redenzione; diventerà solo a quel punto lo stoico e combattuto personaggio da Dardenne.

Anche stilisticamente le differenze (seppure non enormi) ci sono. La macchina a mano viene abbondantemente accantonata in favore di inquadrature più fisse e più pulite (con qualche maggior concessione all'emotività che nei precedenti veniva negata; si pensi alla scena dei due coniugi nudi uno di fronte all'altra), aumentano i dialoghi, ma con un mood generale e un ritmo che mantiene questo film perfettamente in linea con i precedenti. La cosa sorprendente è che in ogni film dei registi belgi c'è sempre qualche piccola evoluzione pur mantenendo uno dei più evidenti marchi di fabbrica di sempre.

PS: camei dei soliti noti.

mercoledì 19 aprile 2017

Come un uomo sulla terra - Andrea Segre, Dagmawi Yimer (2008)

(Id.)

Visto in DVD.

Il documentario si muove attraverso i racconti di alcuni richiedenti asilo a Roma. Attraverso i loro racconti viene delineato il loro arrivo in Italia concentrandosi sul buco nero rappresentato dalla Libia. Quel pezzo del viaggio spesso negletto, la compravendita di persone tra trafficanti e forze dell'ordine libiche, lo stazionamento in carceri nel deserto, le privazioni e le violenze.

Il documentario ha un doppio pregio; racconta un sistema sconosciuto ai più (e alle responsabilità più o meno dirette di Italia e UE) e lo fa senza troppi pietismo (vengono raccontate alcune violenze, ma sempre senza voler calcare la mano sull'orrore per rendere la materia più empatica).
Altra nota interessante è la presenza, come coregista e come soggetto centrale del documentario (è la voce narrante, ma anche l'intervistatore, ma anche personaggio della vicenda), dell'etiope Yimer, richiedente asilo approdato alla regia, già conosciuto (per me) per un cortometraggio sulla strage di Lampedusa (anche se è successivo a questo film, sua opera prima).
I lati negativi sono essenzialmente due. Lo scarso interesse per le immagini mostrate che lo rendono un discreto prodotto televisivo, ma un pessimo prodotto cinematografico (nell'epoca post-Moore, ma anche prima onestamente, non è più accettabile che un documentario cinematografico viva solo di contenuto); l'altro dettaglio negativo è il fatto che le vicende storiche hanno superato il documentario, se il suo pregio era mostrare una vicenda enorme e sconosciuta, guardandolo c'è da chiedersi quanto ci sia di ancora attuale dopo la caduta del regime libico; un dettaglio solitamente secondario, ma per un documentario che punta tutto sullo svelare un lato oscuro ignorato, questo dettaglio è determinante.

venerdì 23 dicembre 2016

Gigantic - Matt Aselton (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Un tizio che lavora in una ditta di materassi e vuole adottare a tutti i costi un bambino cinese (?!) incontra un uomo (che vuole comprare un materasso), poi ne incontra la figlia, fanno del sesso fuori contesto, si piacciono, storiella d'amore con problema e risoluzione perché in fondo ci si vuol bene.

Il Sundance ha fatto molto per gli USA dando spazio ad autori, idee e possibilità come non succedeva dall'epoca della new Hollywood... purtroppo ad un certo punto è scoppiato qualcosa nella testa degli americani indie e il Sundance ha creato l'idea che per fare un film intellettualmente figo bastasse creare una storia con un personaggio normale (un pò sfigatino) con un tic eccentrico. Ecco questo film ha quello, un personaggio normale, trattato in tono realistico, con il tic (idiota e folle) che vuole adottare un cinese...
Che dire, colori freddi, tono distaccato, un Paul Dano irritantemente in parte (nella parte dello sfigatello impassibile), una Zooey Deschanel che bissa il personaggio di "500 giorni insieme", e l'ennesimo John Goodman sprecato. La trama che si muove banalissima con un finale scaldacuore... Non so immaginare niente di più inutile.

venerdì 4 novembre 2016

Love exposure - Sion Sono (2008)

(Ai no mukidashi)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Giappone, il figlio di un pastore cristiano vive una vita religiosa e felice. Orfano di madre ha da sempre un ottimo rapporto con il padre; le cose cambiano quando una donna entra nella loro vita, seduce il padre e lo abbandona. Da gioioso compagnone, il padre, diventa un apocalittico predicatore totalmente apatico nei confronti del figlio, il quale, per attirare l'attenzione, comincia a cercare peccati da confessare. Le confessioni di peccati sempre più importanti causano reazioni violente nel padre e il ragazzo recepisce queste reazioni come interesse provandone piacere. Nel cercare nuovi peccati da compiere entra in una gang di voyeur che passano il tempo a fare fotografie sotto le gonne delle ragazze. Neanche da dire che la passione per il peccato del ragazzo lo trasformerà presto in un Guru. Per un gioco il ragazzo deve travestirsi da donna e girare per la città; a parte che sceglierà il vestito borghese di Sasori (e ne copierà il nome); ma lungo la strada incontrerà una ragazza insidiata da un gruppo di uomini. La aiuterà a eliminarli a colpi di kung fu. Ovviamente i due si innamoreranno, ma mentre il ragazzo si innamorerà della ragazza, quest'ultima si innamorerà di Sasori. Bon mi fermo qua, ma non è ancora tutto, perché al di la del gioco degli equivoci di questo innamoramento, tornerà sulla scena la donna che sedusse il pastore a inizio film ed entrerà a gamba tesa una nuova setta. La vicenda finirà a colpi di katana.

Film fiume di Sion Sono della durata di 4 ore, dalla trama articolata (con continue commistioni fra sesso, religione e disturbi sociali), dai personaggi che se ne vanno dalla vicenda solo per tornare più tardi e dal tono incredibilmente positivo. Ecco, la prima cosa che colpisce di questo film è il passo da commedia, in certi momenti di farsa, in altri da commedia romantica. Crea situazioni impossibili (la ricerca del peccato da parte del figlio) e le risolve in momenti di grottesco entusiasmo (i voyeur che si allenano a fotografare le donne come se si allenassero in un film di kung fu; addirittura con delle macchine fotografiche attaccate a dei nunchaku) e codifica la commedia romantica attraverso visioni di per se ironiche o alternative all'usuale (il ragazzo capisce di aver trovato la donna della sua vita per le poderose erezioni cartoonesche che gli provoca la sola vista della ragazza; o ancora la storia d'amore a tre con la ragazza che si innamora di un amore lesbico). Solo nel finale il tono cambia per diventare una sorta di revenge movie classico (con lo stesso piglio rapido e la stessa violenza dentro al palazzo supercontrollato che c'è proprio nel finale di "Female prisoner 701"), ma questo lascia presto il posto a un nuovo finale scanzonato.

La regia dinamicissima sembra anche lei un tributo ai film anni '70 giapponesi (con l'aggiunto di alcune scene costruite con il gusto per la costruzione di vere e proprie icone; si veda l'immagine della croce qui sotto come esempio) e riesce perfettamente a dare ritmo a una vicenda lunga e ridondante. Ecco, se dovessi dire il maggior pregio del film è quello di andare avanti per 4 ore con una serie di storie paradossali e non pesare mai troppo; Sono si dimostra capace di creare una narrazione fluida e svelta nonostante i gravi problemi della trama.
Il neo ovviamente è già detto, è proprio la storia. La magnifica premessa iniziale del religioso che cerca il peccato è bellissima, ma conduce a una serie di rivoli talmente numerosi da non poter essere seguiti tutti; mentre Sono sembra dell'idea di doverne seguire il maggior numero possibile. Quindi il film si riempie di personaggi che escono o entrano in scena continuamente; di vicende che si ripetono; di un continuo ritornare a un apparente punto iniziale. Non pesa mai troppo, proprio per la regia fluida, ma indubbiamente affossa la godibilità del film (e ne ipertrofizza il minutaggio).

In ogni caso per me rimane una delle prove migliori di Sono dopo "Cold fish".


sabato 11 giugno 2016

Il divo: la spettacolare vita di Giulio Andreotti - Paolo Sorrentino (2008)

(Id.)

Visto in tv.

La vita di Andreotti dalla crisi di governo d'inizi anni 90, alle elezioni a presidente della repubblica di Cossiga.

Di fatto questo è l'ennesimo film di Sorrentino che non ha una trama vera e propria, ma è solo un girare attorno ad un personaggio per descriverne l'incomunicabilità, mostrarne il contesto, metterlo brevemente nei guai, vedere come si dibatte. Tutto questo con un gran personaggio.
Anche su questo punto c'è da dire che Sorrentino fa il suo solito lavoro; prende il solito freak asociale che ama dipingere, lo mette nella solita posizione di comando instabile e vede come si muove. Non stupisce quindi che sia avvincente un film che parla di politica italiana, DC e presidenze della repubblica.
Il primo colpo di genio è aver scelto quel freak grandioso che fu Andreotti; mette in bocca a tutti citazioni autentiche trasformando i dialoghi in one line evocative di un modo di pensare, descrive personaggi reali con macchiette o brevi flash per chiarire la situazione, poi mette tutto sulle spalle del protagonista (rendendolo in questo modo ancora più grande).

Infine Sorrentino fa il suo solito lavoro di regia; fantastici piani sequenza (quello della festa dove Andreotti riceve la fila di persone), macchina da presa mobilissima (si guardi la breve intervista del finale in cui la macchina da presa continua ad oscillare), rapidi carrelli in avanti, uso fantastico delle musiche, ma anche dei suoni (basta un fischio, e un paio di facce ben scelte, per presentare i personaggi della corrente andreottiana della DC), dialoghi diretti in camera (il breve monologo del finale sotto luce diretta), immagini evocative (basta solo quella iniziale con un Andreotti cenobita o l'uso insistito dello skateboard per rappresentare la strage di Capaci). Tutto questo è un pò il Sorrentino standard, ma qui ogni scena è talmente pervasa da scelte enormi di regia che ogni fotogramma ha un peso specifico enorme.
A questo si deve aggiungere il grande lavoro di arredamento e la solita fotografia impeccabilmente nel mood giusto del solito genio di Bigazzi.

Ecco; tutti questi motivi rendono questo film, a mio avviso, il migliore di Sorrentino realizzato finora (compreso quel capolavoro di "La grande bellezza").

venerdì 23 ottobre 2015

Strafumati - David Gordon Green (2008)

(Pineapple express)

Visto in Dvx.

Un ragazzo (?) assiste per caso ad un omicidio, si rifugia nella casa del suo pusher... purtroppo gli assassini l'hanno notato e hanno notato la cicca di canna lasciata cadere per terra riconoscono da dove viene. Si metteranno all'inseguimento dell'uomo e del pusher.

Film sceneggiato dal solito Apatow e, per la prima volta insieme (credo), con la coppia Rogen/Franco. Ovviamente è un film in linea con gli altri del suo sceneggiatore. Un bromance in piena regola con la storia d'amore/amicizia virile che nasce tra due sconosciuti, si interrompe per un'incomprensione, si ricostruisce con il sacrificio di uno dei due. Poi ovviamente c'è la comicità, dal ritmo e dal tono a cui siamo stati abituati.... tuttavia stavolta mi è sembrata meno efficace (il film è una commedia sempre su di giri, ma non un vero e proprio film comico) e più tesa a mantenere un ritmo più che a far esplodere dalle risate (tranne nel personaggio di McBride che è la perfetta spalla comica).
Quello che però vince è la costruzione di una commedia degna di questo nome; ma soprattutto la perfetta embricatura fra commedia demenziale e action. E qui c'è la vera idea geniale, non si gioca sul comico, ma sull'azione raggiungendo livelli perfetti degni di de la Iglesias (con tanti soldi).

PS: inoltre è davvero bravissimo James Franco, impeccabile nella veste del fattone.

lunedì 4 maggio 2015

Idiots and Angels - Bill Plympton (2008)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un uomo cattivissimo vive una vita solitaria e astiosa. All'improvviso cominciano a crescergli due ali; all'inizio cercherà di toglierle, ma non riuscirà a evitarne lo sviluppo. Le ali però hanno una loro volontà e lo costringeranno a fare una serie di buone azioni. Quando tutti lo verranno a sapere verrà aggredito, ucciso e gli verranno tolte le ali per riutilizzarle. Il dramma però è solo all'inizio e Nemesi ci vede benissimo.

Plympton ha un tratto tondeggiante e deformante, ombroso e naif, deve piacere perché non ha niente di pulito, ma è all'apparenza dolce anche se le storie che racconta non lo sono affatto.
La storia è come il disegno, naif. I cattivi sono cattivissimi e le conversioni sono improvvise e immotivate; se si riesce ad accettare queste accelerazioni improvvise nella storia è fatta. Poi c'è una certa tortuosita nello sviluppo della trama e un buttare un pò troppi elementi nella seconda parte, ma direi che è la questione meno importante.
Al di là della qualità del disegno quello che vince su tutto è la sua capacità di giocare con le inquadrature e di sfruttare fino in fondo il mezzo dell'animazione; deformazioni eccessive, punti di vista impossibili (l'interno bocca che beve l'alcolico mentre si vede anche l'arcata dentaria inferiore), ma soprattutto i raccordi fra scene distinte che sono dei veri capolavori pindarici (si veda il primo risveglio del protagonista). Altro valore aggiunto la capacità visionaria complessiva che permette che un angelo muoia tra le fiamme e che fa partorire un uomo dall'ombelico (un'idea che sarebbe stata perfettamente in un film di Cronenberg degli anni '80), grottesco ed estremo, ma perfettamente calato e reso più accettabile dal tratto.
Al di là della trama, invece, quello che abbatte un poco il film è una certa lentezza nello svolgimento e una cura nell'animazione inferiore a quella del disegno (soprattutto all'inizio i personaggi sembrano muoversi a scatti).
Non un film bellissimo, ma un'opera interessante.

PS: colonna sonora minimal da urlo, con partecipazioni calzanti di Waits e St James infirmary.

lunedì 29 dicembre 2014

Maradona di Kusturica - Emir Kusturica (2008)

(Maradona by Kusturica)

Visto in tv.

Maradona intervistato da un Kusturica fan estremista. Quello che ne viene fuori è un mix tra il genio e l'idiota, tra il trascinatore del popolo (anche politicamente) e il tizio che si è perso l'infanzia delle figlie per la droga; il tutto con una serie di sequenze dei suoi gol migliori, interviste dirette, sequenze dei precedenti film di kusturica, animazioni, scene documentaristiche della grottesca chiesa di Maradona.

La question è che questo "documentario" ha tutto già nel titolo; non è un film su Maradona, ma è prima di tutto un film di Kusturica. Il regista ama il calciatore ed il personaggio e cerca di paragonarlo ai suoi personaggi, ma questo solo per paragonare sé stesso all'Argentino (la sequenza iniziale è addirittura sfacciata, con Kusturica sul palco che suona e viene introdotto come "il Maradona del cinema").
In una parola, il regista crea l'ennesimo film sull'ennesimo suo personaggio; un personaggio che è un furbo profittatore e un arrogante, ma è anche un vincente, un duro con grandi sentimentalismi, un buono con molta pervicacia e che, nonostante pregi e difetti, ama ed è amato.
La regia caotica che confonde i generi (ho trovato orribili gli inserti animati), eccede in populismo, mete dentro canzoni, crea situazioni paradossali (costruite ad arte), dà ritmo vertiginoso e regala sentimenti prima ancora di capire cosa sta succedendo e perché, ecco questa regia è quella solita di Kusturica, la sua solita regia quando gli riesce bene.

Kusturica loda sé stesso (perché ritiene di essere lui il protagonista di ogni suo film) e qui dirige un falso documentario sul suo ennesimo personaggio balcanico.

venerdì 14 novembre 2014

Teza - Haile Gerima (2008)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso).

1991, un etiope torna a trovare i parenti sul Lago Tana dopo anni di emigrazione in Germania. Tornato dovrà affrontare l'astio del fratello rimasto, lo stato di tensione generalizzata in cui è caduta l'Etiopia per la guerra e la dittatura, i rapporti con una donna ripudiata, ma soprattutto i ricordi del passato (il periodo tedesco, il suo ritorno in Etiopia senza avvertire la famiglia, la fuga di nuovo in Germania).
La trama è un pò tutta qua, ma è anche molto di più, il film è complesso mischiando insieme seuqenze disgiunte, momenti onirici e flashback ai fatti principali. Per tutta la prima parte non racconta quasi nulla, ma mostra il ritorno di quest'uomo e una sequenza di scene di quello che succede, senza soluzione di continuità; non c'è una trama, ma un accumulo di immagini, una serie di fatti che danno una sensazione più che raccontare qualcosa, e questa parte gli riesce benissimo. Nella seconda parte quando i flashback prendono il sopravvento la storia acquista struttura e perde i poesia.

Le immagini non sono patinate, ma la fotografia è evidentemente ragionata date le differenze di stile fra le sequenze ambientate in ambienti e periodi diversi; c'è una cura dell'immagine soprattutto nelle ampie scene in esterni in Etiopia; c'è anche un pò di gestione espressionistica delle luci con il viraggio in rosso in alcuni momenti (per lo più di profondo stress, ma non solo).
A questo si somma una regia decisamente buona, con inquadrature molto variegate per le stesse sequenze e un uso del montaggio che è il vero fiore all'occhiello del film: ci sono montaggi secchi e scarni per dare velocità; c'è del montaggio rapido per dare ritmo (le domande che incalzano il protagonista durante la festa per il suo ritorno); c'è il montaggio delle attrazioni (l'omicidio dell'amico montato con l'abbattimento di una mucca); c'è la sostituzione/sovrapposizione, tramite stacchi rapidissimi (sostituzione/sovrapposizione di un ragazzo in fuga con il protagonista bambino o dell'amico morto con suo figlio).

In più c'è una serie di intenti e di significati piuttosto variegato. Forse l'argomento principale è sul concetto di identità; il protagonista torna per cercare una propria identità che gli viene continuamente negata dal fratello, quando torna nell'Etiopia degli anni '80 gli viene contestata la sua identità di comunista, quando torna in Germania subisce un'aggressione a causa della sua identità di nero; il discorso di identità e appartenenza è quello che segna la moglie tedesca ed il figlio dell'amico, ecc...
Ma c'è molto di più.
Inoltre nei lunghi flashback si riesce a mostrare un pezzo della storia recente dell'Etiopia senza scadere troppo nel classico film storiografico.

Il minutaggio è importante (circa due ore e venti) e il ritmo è altalenante, ma se ci si lascia prendere la noia non arriva mai.

Da sottolineare l'incipit che, come sempre nei film di Gerima, mostra un pezzo d'arte (in questo caso dei dipinti) con una voce fuori campo che declama.
Questo è un film che ha vinto a Venezia (ma ha vinto pure al FESPACO), quindi si può trovare pure in DVD. Un peccato che siano difficilissimi da recuperare gli altri film di questo autore.

PS: il titolo significa rugiada o rugiada del mattino, perché la rugiada è qualcosa di estremamente labile, ma anche pervicace e per quanto scompaia velocemente il giorno dopo torna sempre.

martedì 1 luglio 2014

Synecdoche, New York - Charlie Kaufman (2008)

(Id.)

Visto al cinema.

Per prima cosa va detto: finalmente questo film è uscito pure da noi; considerando anche le enormi difficoltà che ho avuto per riuscire a vederlo per vie alternative...

Un regista teatrale (Hoffman) impegnato nella messa in scena de "Morte di un commesso viaggiatore" in cui sostituisce i personaggi anziani con dei giovani per scelta stilistica si ritrova ad avere una serie di sintomi sempre più inquietanti, il senso della malattia in avanzamento e della morte imminente cominciano a prenderlo. nel mentre la moglie pittrice sembra allontanarsi da lui, fino alla fuga in Germania con la figlia per una personale, non farà più ritorno.
Il protagonista vincerà un importante premio teatrale e deciderà di utilizzare il guadagno per la messa in scena di un lavoro originale che imiti il più possibile la vita; farà ricostruire una New York a grandezza naturale dentro ad un'enorme capannone, al cui interno ci sarà anche la copia del capannone stesso con un'altra New York in miniatura. sostituirà tutti i personaggi da lui incontrati con degli attori che li interpretino (l'idea è mettere in scena una giornata reale); a loro volta però questi personaggi sono interpretati da persone autentiche che prenderanno scelte autonome e dovranno pertanto divenire personaggi a loro volta; le sostituzioni verranno fatte in maniera sempre più spirituale (se mi si passa il termine) e meno realistica, sostituendo uomini con donne e viceversa. Nel frattempo il tempo stesso subisce variazioni, il protagonista non percepirò il fluire del tempo in maniera corretta e l'invecchiamento dei personaggi sarò a velocità diverse. Infine, la morte, sempre presente si farà sempre più addosso al protagonista, prima come idea (ossessione o volontà di rappresentazione), poi come reale decesso delle persone a lui vicine.

Film complessissimo di cui si può dire subito un paio di cose.
Regia inutile, non fa scelte eclatanti, non sottolinea in maniera impeccabile uno script enorme come era successo con i precedenti scritti di Kaufman. Purtroppo l'unico difetto da sottolineare è il ritmo a volte col freno a mano, che un regista migliore avrebbe, probabilmente, evitato.
Il cast è perfetto, tutti sono al loro meglio, credibili in ogni sequenza.

Detto ciò c'è da affrontare la storia. Perché Kaufman è un regista mediocre (viaggia nel mezzo senza enfasi), ma è uno scrittore titanico.
La storia è un continuo sostituire, personaggi, età, identità, gusti sessuali, parole e significati. Gli esempi sono innumerevoli e pervadono l'intero film; nonostante il tema inquietante e deprimente (perfetto il mood dell'incipit del film in cui la tensione, la paura della morte e della malattia sono di una densità palpabile) si trovano molti momenti ironici veramente divertenti.
La vera questione è: il film di cosa parla esattamente? Perché pur funzionando in maniera ottimale come veicolo di emozioni il senso ultimo del film sfugge. (apro una parentesi, il senso di un film a mio avviso non è necessario, come Lynch ci insegna, molto più utile è l'empatia che il film offre [la capacità di veicolare emozioni] e la fluidità di narrazione; tuttavia in un film del genere, dove gli stimoli sono multipli e molto particolareggiati, dove il film stesso si interroga sul senso di quello che viene fatto e, in cui l'autore è un noto scrittore di opere surreali, ma con un profondo senso dichiarato, ecco, in un film del genere, il fatto che ci sia un senso unico che racchiuda tutto questo è per me quasi una certezza).
Almeno quattro sono le ipotesi fattibili; che ordino qui dalla meno verosimile (per me), alla più realistica.
(ci sono alcuni spoiler, ma per la natura del film credo che non facciano perdere nulla del gusto della prima visione)

1- Si parla del solito (per Kaufman) viaggio nella mente di un personaggio, o del solito (per il cinema americano) viaggio all'interno di un sogno. Questo è la prima sensazione che il film mi ha dato. I continui lavori di sostituzione di persone, confusioni sul sesso e sulla sessualità dei protagonisti, i giochi di parole che rappresentano anch'essi delle sostituzioni di senso, la cronologia alterata, singoli dettagli simbolici senza alcuna spiegazione (su tutti l'appartamento in fiamme della Morton) sembrano propendere verso questa spiegazione e, di fatto, motiverebbero ogni evento con un meccanismo mentale di difesa della psiche umana che cerca di confondere le acque dei propri ricordi (di fatto il protagonista si trova in analisi).

2- Simile al precedente, ma con sostanziali differenze; sempre un viaggio nella mente di una persona, ma più esattamente un viaggio nella sua malattia. Il protagonista si chiama Cotard come l'omonima sindrome psichiatrica (chi ne è affetto può ritenere di essere già morto), così come l'evidente ipocondria della prima parte del film ed il riferimento alla psicosi (e la figlia del protagonista che gli chiede se lui può averla). La presenza della terapeuta con i riferimenti al suicidio, la tendenza a sostituire le persone con altre fittizie, la tendenza al controllo e quegli stessi meccanismi mentali che possono valere per il sogno (quindi il simbolismo e le sostituzioni) possono essere riportati anche in questa teoria. Non la storia di una psiche, ma le dinamiche tortuose di una malattia psichiatrica.

3- La storia della morte del protagonista. Che sia l'intera vita che passa di fronte agli occhi del moribondo (piuttosto confusa, ma di fatto devono essere concentrati molti anni nel breve periodo di un decesso) piuttosto che un limbo dove un uomo tira le somme di quanto accaduto la cosa impronta poco. I riferimenti alla morte sono continui, la paura del protagonista che lo contagia fin dall'inizio, la domanda diretta della psicoanalista (parlando di un suicidio gli chiede "e tu perché lo hai fatto?"), la morte come presenza inquietante (l'articolo del Nobel a Pinter viene per prima cosa interpretato come un coccodrillo; al protagonista vengono consegnate riviste mediche; le malattie da consunzione che sembrano affliggere un Hoffman sempre più anziano e consunto, la stessa consunzione che sembra affrotnare la città), infine l'incoraggiamento/indicazione finale a Hoffman stesso di morire data da una persona irreale, ma onnisciente dopo che per più di due ore il protagonista sembra aver ripercorso la sua esistenza e sembra essere sceso a patti con le proprie scelte del passato.

4- Che sia una storia surreale che tenti di veicolare un mood e basta (condizione che ho escluso all'inziio) o che parli della antura umana senza un'indirizzo più specifico... beh c'è sempre la possibilità. I riferimenti alle opere di Pinter e Kafka, le simbologie dense, ma poco correlate ad un'idea più definita, il gioco ad incastri nel finale, l'andamento tortuoso... la possibilità c'è e non la si può escludere.

5- La sineddoche è la figura retorica che indica la parte per intendere il tutto, è quindi logico che un film che parla del tentativo di un'opera d'arte di rappresentare la vita con tutti i dolori, le assurdità e le difficoltà (ma anche con i dettagli da poco, le tortuosità e con le storielle inutile) parli effettivamente della vita cercando di rappresentarla con tutti i dolori, le assurdità e le difficoltà (ma anche con i dettagli da poco, le tortuosità e con le storielle inutile).

PS: consiglio questo ottimo articolo sul film, non spiega molto di più, ma accumula ancora più dettagli.

venerdì 25 ottobre 2013

Cash, Fate il vostro gioco - Éric Besnard (2008)

(Ca$h)

Visto in tv.

Un truffatore viene ucciso durante un colpo venuto male. Il fratello cerca vendetta e per farlo si unsice sempre a più persone nel tentativo di beccare l'assassino; e tutto parte da 50€ falsi...

Di fatto il solito Heist movie, decisamente sulla scia di Ocean’s eleven (di cui condivide il sottotitolo italiano), sia per la struttura in se, sia per i personaggi che continuano ad aumentare ogni dieci minuti. Non inventa nulla, gestisce bene diverse situazioni, presenta benissimo il twist finale, ci mette pure una sequenza di split screen (che a me piace quasi sempre) davvero ben fatta, ci fa vedere tutti gli attori che più ci piacciono… ma tutto finisce li.

Niente di nuovo, niente di fondamentale; ma intrattiene benissimo e poi c’è una Golino in una parte diversa dal solito.

lunedì 5 agosto 2013

Chocolate - Prachya Pinkaew (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Una ragazza autistica ed il fratello devono trovare i soldi per la madre malata, per farlo vanno a ritirare i crediti poco chiari che al madre aveva con personaggi loschi, nel farlo prenderanno qualche pacca, finchè la sorellina problematica non si mostrerà una fan di Bruce Lee, ma una fan geniale che assimila rapidamente quanto vede dai film e lo replica. Una piccola e gracile arma mortale. Don’t fuck with Asperger!

Film di Pinkaew che decide di fare a meno di Tony Jaa. Inutile dirlo, il film regge benissimo, mostra abbastanza scene di pacche per essere considerato un kung fu movie, sono girate benissimo, in maniera chiara e con coreografie sempre all'altezza. Inoltre Pinkaew aggiunge qualcuno dei suoi tocchi, nel primo combattimento la ragazza si comporta e urla come nei film di kung fu classico perché è da li che ha imparato a picchiare, così che in una scena meta cinematografica mi vengono giustificati i gridolini buffi di Bruce Lee; poi beh, c’è la scena finale sulla facciata del palazzo, una sequenza lunghissima in cui la protagonista lotta contro una marea di nemici che sbucano ovunque muovendosi sui vari livelli del caseggiato, il miglior uso di una tecnica dei videogiochi mai fatto al cinema (che mi sta in seconda posizione solo rispetto allo scroll roll di Old boy).

Se il film è buono, tuttavia si sene che manca qualcosa, le sequenze sono belle, ma manca del mordente, dopo un po l’interesse scema. Non so se è un difetto del film o è un problema di chi guarda (mio quindi), può essere che avendo in mente i numeri fatti da Tony Jaa (e paragonandoli inevitabilmente) quello che si vede in questo film risulta appiattito. 

venerdì 19 aprile 2013

Giù al nord - Dany Boon (2008)

(Bienvenue chez les Ch'tis)

Visto in tv.

Un dipendente delle poste cerca di farsi trasferire sulla costa azzurra, ma ingannando i superiore riesce solo a fasi spostare nel profondo nord, luogo demonizzato dai francesi dove una civiltà diversa, con una lingua loro, vive in un ambiente freddo. Ovviamente quasi nulla dei preconcetti si rivelerà vero.

Commediola francese buonista e prevedibile a cui non avrei dato un soldo… dopo averla vista direi che avevo ragione.
Si conferma una commediola buonista e prevedibile che fa a pezzi i luoghi comuni mostrando come ci si vuol bene lo stesso. Ma in realtà questo non è un problema, sono pronto alla demagogia se in cambio posso ridere, possibilmente molto. Il problema è che la parte più divertente si perde dopo i primi dieci minuti (simpatici i tentativi di trasferimento o  primi viaggi verso il nord) ed il resto è sbobba.

Quel che è peggio poi è che il 60% delle gag successive sono tutte giocate sulla lingua del luogo che viene tradotta in italiano con un accento folle che in primo luogo non è incomprensibile come doveva essere nelle intenzioni (vanificando alcune scene) e per il resto del tempo sembra un linguaggio da ritardati, il che rende il fallimento più irritante.
Do il beneficio del dubbio alla versione in lingua originale che con tutta probabilità non è minimamente rappresentata da quella italiana.

Devo ammettere comunque che sulla carta l’idea di trasferire la vicenda in Italia sembra vincente… anzi quasi doverosa. 

lunedì 11 marzo 2013

Martyrs - Pascal Laugier (2008)

(Id.)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Difficile raccontare la trama del film senza spoilerare, dato il colpo di scena (anzi il cambio di film) a metà si rischia di confondere più che di chiarire. In realtà più che la trama credo che valga la pena sottolineare il genere del film, che certo è tendenzialmente splatter, ma cambia diverse volte durante lo svolgimento. Parte con il finale di un torture movie di cui si vedono solo pochi accenni, a quel punto diventa rapidamente un dramma sulla sofferenza di una sopravvissuta; nel giro di poco si trasforma in un revenge movie estremamente rapido, ma condito con del dramma personale e psicologico; poi avviene il vero cambiamento, il film torna, improvvisamente ad essere un torture porn, decisamente buono, girato meglio di qualunque “Hostel” e (sempre nell'assurdità dell’assunto iniziale del film) incredibilmente verosimile; poi, nel finale, si modifica ancora in qualcosa d’altro, difficile da definire…

Escludendo completamente l’hype che all'epoca della sua uscita lo voleva come il peggio film mai realizzato (sono d’accordo che chi non sopporta i torture movie è meglio che se ne astenga, ma per chi li conosce, o almeno apprezza l’horror, non rischia lo svenimento) il film è assolutamente un buon film. Girato in maniera realistica entro le possibilità, con una secchezza degli ambienti ed una compostezza di regia (ma con un buon modo di far procedere la storia) il film riesce a non annoiare anche nella ripetitività del finale. Ecco secondo me è un buon film, il difetto è tutto nella trama. I cambiamenti di genere sono un’idea interessante che m’impone di rendere ancora più merito al regista, però il twist plot, quello grosso, è difficile da accettare. Se si riesce a mandarlo giù credo che questo film sia uno delle opere di horror/metafisco (per non dire per l’ennesima volta torture porn) mai realizzate. Se non si riesce ad accettare il colpo di scena diventa un solido film buttato in vacca.
Personalmente l’ho apprezzato nonostante il twist non mi abbia convinto del tutto.

mercoledì 13 febbraio 2013

Dream - Kim Ki Duk (2008)

(Bi-mong)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo si sveglia dopo aver sognato di un incidente d'auto, mettendosi in macchina scopre che il sogno è realmente avvenuto, ma a guidare era una donna con una diagnosi di sonnambulismo. L'evento si ripete ed i due saranno costretti a provvedere insieme a questa unione che avviene in sogno.

Dream è ormai nella seconda carriera di Kim Ki Duk, un film estetizzante al massimo che si concede con favore verso l’esotismo da festival con slanci di indubbia poesia e ha perso la gran parte della sua cattiveria iniziale. La cosa può piacere o meno di per se (personalmente la apprezzo abbastanza), ma in questo caso è proprio usata male.

La storia punta sulla poesia del legame spirituale, ma lo fa in maniera goffa, semplicistica e francamente oltre l’accettabile (voto questo film come il salto dello squalo di Kim Ki Duk) con la condivisione del sogno che porta alla morte. E persa la credibilità della componente poetica (o peggio rendendo ridicola la poesia che doveva condurre tutto il film) è perso tutto. L’estetica è splendida, ma se non è utile a supportare qualcos'altro rimane une esercizio di stile vuoto.
Un film gradevole… gradevolmente inutile.

lunedì 28 gennaio 2013

Donkey punch - Oliver Blackburn (2008)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Dicesi Donkey Punch la pratica sessuale per cui alla donna, presa da recto, si applica un grattone a livello cervicale nel momento dell’acme del rapporto, affinchè la possente pacca faccia perdere conoscenza alla partner causando una contrazione del pavimento pelvico che aumenti il piacere dell’uomo… non si sa bene se faccia piacere anche alla donna, ma tant'è.
Da una base così profonda le possibilità di vedere un gran film non erano esattamente ai massimi livelli. Eppure…
Tre ragazze inglesi in libera uscita in Spagna incontrano quattro ragazzi inglesi che le ospitano sullo yacht che utilizzano; li la droga la farà da padrona, così come il sesso e dunque l’inevitabile applicazione del titolo. C’è bisogno di dire che il donkey punch avrà conseguenze estreme? Non credo. Ciò che ne vien fuori dopo è un gioco al massacro fra i componenti del gruppo, ognuno più o meno normale, ognuno con la propria buona ragione per comportarsi in quel modo, ognuno che reagisce al panico in maniera diversa.

Quello che bisogna dire subito è che il film vira verso il thriller splatter fin da subito. Detto ciò voglio aggiungere che in questa nicchia è un grande film. Nel cinema assoluto è invece un film buono. La tensione è decisamente ottimale, l’inquietante si palesa fin dall'inizio, ma niente viene concesso per almeno mezzora, il film si prepara lentamente mostrando le personalità dei protagonisti solo per disattendere le aspettative poco dopo. Una volta che il casino si compie invece non ce n’è più per nessuno e si scatena un homo homini lupus straordinario, preciso, fantasioso nel mischiare continuamente le carte e nei modi di finir male. Per gli amanti del genere sarà uno spasso.

Per chi non ama il genere posso rimettermi giacca e cravatta e commentare positivamente una fotografia ragionata ed esteticamente bella; posso sottolineare l’ottima regia considerando gli spazi angusti offerti dalla barca; ma soprattutto un applauso per l’uso dell’ambiente che avrebbe soddisfatto anche Hitchcock, senza esagerare lo yacht diventa parte integrante della storia rappresentando di volta in volta, una prigione, una via di fuga, un mezzo per chiedere aiuto, uno strumento di morte, tutto viene usato dalla sala motori, al gommone di salvataggio (a conti fatti è proprio questo che Hitchcock considerava come l’uso drammatico dell’ambiente).
Si insomma complessivamente un (inaspettato) ottimo film di genere.