venerdì 28 settembre 2018

Loro 1 - Paolo Sorrentino (2018)

(Id.)

Visto al cinema.

La vita di Berlusconi ai suoi minimi storici, siamo nel 2006, il Cavaliere è senza presidente con una fauna politica che gli si muove intorno ienescamente valtuando se abbandonare la barca che affonda o mantenersi a galla con l'ex capo; a livello privato la relazione con la Lario non è mess amolto meglio. Ancora più esternamente un mondo di soldi facili tramite la pornocrazia sembra essere il vero leit motiv del lobbing all'italiana.

Il film, diviso in due parti, inizia con un lunghissimo intro; si potrebbe dire che fin oltre la metà il film presenta solo l'incipit dove viene descritto il mondo più satellite alla politica di quel priodo: piccoli imprenditori e magnaccia, droga e sesso ai luoghi di comando al loro apice.
L'incipit è puro stile Sorrentino (primo periodo), uno stile che (preso da Scorsese) fa con la velocità e il montaggio il ritmo, ma anche il tono e parte della narrazione; una gratifacante goduria per gli occhi. Il difetto, in questo caso, è la pretestuosità. Il lungo intro è troppo lungo, gran parte di ciò che viene mostrato è ridondante o non molto significativo sul resto del film (almeno per ora) e rischia di scollare parte dlel'attenzione.

L'arrivo sulla scena di Berlusconi cambia le carte in tavola. Lo stile rallenta e si avvicina al racconto dei soliti (bellisimi) freaks di cui è costellato l'universo sorrentiniano; simpatico guascone e famelico squalo nello stesso tempo il protagonista risalta e sposta l'itnera attenzione della vicenda nel bisogno di affetto che gli viene negato.

Film fiume che poteva essere notevolmente asciugato, ma che riesce, con due tempi quasi in contrpaposizione, a intrattenere con interesse e freschezza (molto distante la fossa delle Marianne rappresentata da "Youth"), ma che essendo solo la prima non autoconclusiva (come poteva essere invece, parzialmente, "Kill Bill") risulta claudicante e dir poco.

mercoledì 26 settembre 2018

Stromboli (terra di Dio) - Roberto Rossellini (1950)

(Id.)

Visto in Dvx.

Finita la guerra una ragazza lituana si sposa con un militare italiano; innamorata lo segue fino al paese natale di Stromboli. In questa isola fuori dal tempo dovrà scendere a patti con la solitudine, un mondo selvaggio e scostante e una natura inquietante.

A metà tra un film in cui la natura modifica l'animo degli uomini e uno di disagio sociale, Rossellini firma il primo capitolo della sua, ideale, trilogia della solitudine.
Il film è, giustamente famoso, più per le vicissitudini produttive che per l'opera in sé (ho conosciute molte persone che lo conoscono, ma, per ora, nessuno fra questi lo ha visto). Il film doveva essere girato con Anna Magnani protagonista, con cui aveva una relazione, che venne eliminata all'ultimo momento in favore della Bergman. La Magnani si vendicò girando "Vulcano", ma la Bergman conquistò l'amore di Rossellini. A conti fatti la fisicità della Magnani avrebbe reso molto di più in questo film (come, infatti, rende moltissimo in "Vulcano"), ma come si fa a resistere alla Begman se si propone con una lettera come questa?

Caro Signor Rosssellini,
ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo. Se ha bisogno di un'attrice scedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo "ti amo", sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei.

Il film venne girato senza sceneggiatura e improvvisato giorno per giorno dal regista e, questa mancanza di un obiettivo chiaro si vede moltissimo, ma ancora di più è evidente la totale indipendenza di molte scene che vanno dal documentaristico (la pesca dei tonni) all'espressionista (il finale sul vulcano) passando per diversi momenti di banale dramma da camera, le une senza alcuna connessione con le altre.
Al di là della Bergman fuori posto che con il suo italiano buono, ma zoppicante, fa tenerezza e vince nonostante tutto, è proprio la totale mancanza di un'idea di fondo univoca che, a mio avviso, ammazza il film, rendendolo un tentativo fallito. Se poi lo si paragona al suo gemello, "Vulcano", questa variazione sullo stesso tema, risulta decisamente più banale, ma molto più efficace, riuscita e avvincente.

lunedì 24 settembre 2018

Charlie, anche i cani vanno in apradiso - Don Bluth, Gary Goldman, Dan Kuenster (1989)

(All dogs go to Heaven)

Visto in tv.

Un cane viene fregato dal suo socio in affari (scommesse e bische clandestine) che lo fa uccidere; per un sotterfugio riesce a fuggire dal paradiso e tornare sulla terra dove rapisce una bambina (che sa parlare con gli animali e che il suo socio teneva segregata per sapere in anticipo chi avrebbe vinto nelle gare fra topi) e cerca di rifarsi il budget. Le aspettative della bambina e il suo amico di sempre lo riporteranno sulla retta via.

Film anti-disney realizzato dall'esperto migrante (dalla compagnia di Walt) Don Bluth. Dei film di Bluth ha tutte le caratteristiche fondamentali; un disegno classico e ricco di depressione (giuro, mi basta vedere qualche scena di un suo film per entrare in un mood di tristezza duraturo), una storia oscura, personaggi vessati o ambigui, temi adulti trattati con disinvoltura.
Di fatto i film di Bluth sono importanti per fare da contraltare a un industria dell'animazione americana che all'epoca era quasi totalmente appiattita verso le aspettative più infantili e aderente alla Disney più classica. Curiosamente Bluth, proprio per tornare a un preteso classicismo si staccò dalla ditta di Walt e cominciò a produrre i suoi lavori.
L'effetto finale, dunque, è sempre interessante e in questo caso non è da meno. Con semplicità e e una certa dose di sfrontatezza riesce a mettere in un film per bambini (con i modi giusti e un mood incredibilmente tetro) la morte, le attività illecite della malavita, rapimenti e sfruttamento.
Quello che però manca è una sua decisa sterzata dal canone dineyano; non riesce ad avere canzoni accettabili, ma le vuole mettere lo stesso, non riesce ad avere un immaginario indipendente, non riesce (soprattutto) a creare una storia complessa mantenendo il ritmo, ma decide di andare comunque avanti per la propria strada. Inevitabile, quindi, la noia.
Comunque qui si rimane sempre fan di Bluth.

venerdì 21 settembre 2018

Mission: Impossible. Fallout - Christopher McQuarrie (2018)

(Id.)

Visto al cinema.

Ho mollato la saga di "Mission: Impossible" al numero 2, un pò per inerzia un pò su consiglio di amici che tuttora sostengono che dal 3 in poi siano tutti inguardabili. Torno al sesto capitolo senza avere nessuna competenza, duqnue, ma quello che porto a casa è qualcosa di magnifico.

Le aspettative alte, ma non altissime, sono stato pienamente soddisfatte da un film ritagliato su un protagonista, Tom Cruise, che superati i 50 anni mena e corre come un 20enne, si da agli stunt anima e corpo (soprattutto caviglie) senza pensare al domani. Ecco dunque che si riesce a realizzare alcune sequenze incredibili come il salto dall'aereo su Parigi che raggiungi i picchi di ansia per tutto il film (lo showdown finale con le bombhe atomiche non riuscirà a fare altrettanto).
Il resto è un action perfetto calibrato per stupire sotto ogni punto di vista, colleziona alcune sequenze che avrebbero fatto invidia a John Woo (la collutazione nei bagni che probabilmente è la parte mgiliore del film) e alcuni isneguimenti orchestrati da Dio (il doppio inseguimento in macchine poi in moto per Parigi che sono riusciti a togliere il fiato anche al pubblico). Di fatto un film che è la spiegazione del perché l'action (quando ben realizzato) è il genere più cinematografico in assoluto. 

Nella seconda parte invece è la trama a prendere il posto del movimento rallentando il film, ma dandogli più gusto (non ho molto apprezzato l'inqeguimento in elicottero) realizzando una aprabola umana, quella di Hunt; che inizia a diventare più umano. Invecchiato e stanco, spesso senza piani e preda di sogni disturbanti nelle frequenti pennichelle, non è mai stato così provato; senza eccedere in enfasi, nel finale si riesce a percepire lo scoramento di un uomo rinchiuso nel suo personaggio senza possibilità di uscita (molto più di quanto ci si potesse apsettare).
Il resto della storia con spy vs spy, tradimenti e inganni è la salsa perfetta per chi apprezza gli intrighi di palazzo, non inventa niente, ma porta avanti con dignità un genere.

mercoledì 19 settembre 2018

Chavez, L'ultimo comandante - Oliver Stone (2009)

(South of the border AKA A sud del confine)

Visto in Dvx.


Il documentario parte dal presentare il personaggio di Hugo Chavez, come viene mostrato dai media americani e poi come dovrebbe essere realmente. Da Chavez parte poi un breve excursus sui leader sudamericani dell'epoca, per lo più non allineati con le politiche statunitensi di Bush.

Documentario di Oliver Stone creato con intenti totalmente politici. La cosa va sottolineata poiché è il contenuto l'unico interesse del regista, la forma, la regia, sono totalmente insignificanti; non c'è una cura particolare in nulla, non c'è un'idea, almeno di montaggio, particolare; non sembra per nulla un film di Oliver Stone.
Il regista americano sembra soffrire della medesima malattia di Ken Loach, quando buttano tutto in politica, in una tesi, dimenticano il cinema.

Tolto questo dettaglio il documentario è ben ritmato e piuttosto interessante, solo troppo caotico. Nella prima parte viene brevemente tratteggiata la figura di Chavez in maniera tutt'altro che approfondita, ma abbastanza per farsi un'idea del punto di vista del regista, la seconda poi deraglia volendo mostrare una sorta di zeitgeist antimperialistico senza soluzione di continuità, diversi leader sudamericani che parlano molto brevemente senza aggiungere granché all'idea di fondo.
Carino, godibile, ma molto limitato.

lunedì 17 settembre 2018

La donna del giorno - Jack Conway (1936)

(Libeled lady)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un giornale diffama "accidentalmente" la figlia di un ricco americano che è deciso a fargli una causa milionaria. Il giornale si affida a un loro ex dipendente, perché seduca la giovane ragazza e faccia fare loro un falso scoop contro la famiglia. Ovviamente i due si innamoreranno davvero, ma di mezzo ci finisce pure un'altra donna.

Spigliata commedia upper class dai ritmi sostenuti e dalla trama tra l'implausibile e il magnificamente stupido, che però regge perfettamente.
Senza guizzi di regia particolare, il meccanismo funziona appoggiandosi totalmente sulla forza die suoi interpreti, soprattutto sull'ottimo Powell (scelta ovvia per quella parte) che, nonostante qualche momento svogliato, si porta a casa un lavoro ben fatto; Tracy invece, dopo un incipit tutto suo, passa in un deciso secondo piano dove viene piuttosto svilito; le due comprimarie femminili (la Harlow e, in misura minore, la Loy) rimangono anch'esse sullo sfondo come pezzi utili alla vicenda senza avere però un vero e proprio spazio personale.

Senza mai picchi eccezionali, ma con qualche risata strappata nonostante l'età che ha, questa è la classica commedia degli equivoci della Hollywood dell'epoca d'ora.

venerdì 14 settembre 2018

Creepshow - George Romero (1982)

(Id.)

Visto in Dvx.

Cinque storie distinte, ognuna di orrore o fantascienza.
Nella prima l'anziano padre ucciso pochi anni prima torna in vita per pretendere la sua torta per il giorno del papà.
Nel secondo un redneck americano trova un meteorite che lo contagia con un tipo di pianta aliena che lo porterà al suicidio.
Nel terzo un uomo tradito decide di uccidere la moglie e l'amante in maniera creativa, ma anche qui gli zombie avranno la meglio.
Nel quarto, una cassa antica contiene una creatura sanguinaria che sarà sfruttata per questioni personali.
Nel quinto, un milionario ossessionato dagli scarafaggi rimane vittima (in senso letterale) della sua monomania.
In più un prologo introduce l'idea di storie tratte dai fumetti anni '50 della EC Comics e l'epilogo conclude la storiella iniziale.

Si, questo è un film horror a episodi; ma per chi si aspetta di essere realmente inquietato rimarrà decisamente deluso. L'idea di partenza è sfruttare il fumetto originale, caratterizzato da una vena di humor nero che determina il vero mood (quindi non suspense, ma ironia) e un target molto giovane. In poche parole non è un horror per chi vuole essere spaventato come in "REC", ma neppure quello affascinante, ma intellettuale come "La notte dei morti viventi"; questo è un horror per regazzini, che li introduca nell'affascinante mondo dei film de paura in maniera più o meno soft.

In tutto questo c'è una cura particolare negli effetti speciali artigianali (che artigianali sono e rimangono, con un certo gusto nel mostrarne la falsità) e nella fotografia molto anni '80, che per una volta risulta funzionale a creare un mondo (letteralmente) da fumetto.
Inoltre ci si può gustare almeno una storia davvero buona (la quinta, quella degli scarafaggi), un Leslie Nielsen nella parte dello stronzo e uno Stephen King imbarazzante nella parte del redneck.

mercoledì 12 settembre 2018

La mano sulla culla - Curtis Hanson (1992)

(The hand that rocks the cradle)

Visto in Dvx.

Una donna incinta denuncia il proprio ginecologo di molestie, lui a causa dello scandalo si suicida, la moglie di lui (anche lei incinta) perde il figlio. Passano otto mesi, la moglie del medico cerca vendetta e si fa assumere in casa della donna che ha causato tutto; lentamente si insinuerà nella sua vita sabotandola, allontanandola da amici e parenti e cercando di portare dalla sua i figli e il marito.

Thriller anni '90 che ricordo di aver cercato abbastanza tempo, ma, ora che lo vedo, non ne ricordo proprio il motivo. Inoltre vedendone la qualità finale mi rendo conto che avrei potuto non impegnarmi troppo nel trovarlo.
Nonostante la presenza di Hanson alla regia (che di lì a pochi anni avrebbe realizzato alcuni film davvero buoni) questo film è imbarazzante. Qualitativamente è un film per la tv anni '90 fatto e finito: fotografia insipida, regia assente, sceneggiatura facile facile e attori belli con le facce da schiaffi.
Non c'è niente di completamente sbagliato e il film si può vedere facilmente; alcune idee della trama sono carine, ma la tensione ( e questo dovrebbe essere un thriller) è sempre assente e alla fine della visione si dimentica tutto a una velocità incredibile.

Imperdonabile il doppiaggio italiano per aver ammazzato la performance della Moore (anche se gli altri attori ne hanno invece beneficiato).

lunedì 10 settembre 2018

Berberian sound studio - Peter Strickland (2012)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un direttore del suono inglese viene assunto da una casa di produzione cinematografica italiana nell'epoca d'oro dei film di genere nostrani. A sua insaputa (povero babbeo) dovrà gestire il sonoro di un film horror particolarmente realistico che, assieme a colleghi che vanno dallo scemo, all'irritante, passando per l'inquietante.

Un film perfetto, dall'idea che rasenta il geniale che però fallisce in maniera tanto fastidiosa quanto noiosa.

Un film perfetto per il ricreare un ambiente anni '70 per interni, vestiti e anche per i colori della fotografia (ma non per la qualità della fotografia che, al contrario di quella usata 40anni fa, è magnifica). Un film perfetto anche per la qualità del prodotto in sé, la fotografia come si è detto è ottima, il cast buono (con un Toby Jones perfetto per la parte e che non sbaglia un'espressione basita o uno sguardo stanco), ma sopratutto una gestione dei suoni superba (cosa scontata dato il tema, tuttavia la possibilità di fallire proprio lì era comunque grande).

Un'idea quasi geniale perché creare un thriller che utilizzasse i suoni per inquietare (e giustificare la follia dei personaggi) anziché le immagini è un'intuizione tanto bella quanto difficile. L'ambientazione pensata, i personaggi creati, sono tutti funzionali a rendere realizzabile questa idea impressionante. Ma quello che più colpisce è che, almeno all'inizio funziona. Il mood del film è chiaro fin da subito, i suoni (che sono le lingue, i doppiaggi, i suoni silenziati, grida e persone che gridano senza essere sentite, persone che doppiano mostri facendo versi e mugolii, ecc...) sono usati in maniera dilatata ed emotiva come mai avrei sperato.

A fronte di uno sforzo così grande e così efficace il film crolla rovinosamente dove, forse, era più facile riuscire; nella trama. Perché questo film di atmosfera questo è e questo rimane, solo atmosfera; come spettatore sono stato in attesa di qualcosa (bravi a creare suspense) che non è mai arrivato... e forse anche questo sarebbe stato accettabile se, nell'ultima mezzora, avendo finito le idee per girare attorno al vuoto di sceneggiatura, il film non si arrotolasse su sé stesso e, anziché scegliere il thriller vero e proprio, l'horror o il dramma personale, decide che vuole essere un'opera d'arte pura, riuscendo a essere solo radical chic e fastidiosissimo.

venerdì 7 settembre 2018

La notte brava del soldato Johnatan - Don Siegel (1971)

(The beguiled)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Durante la guerra di secessione americana, un soldato nordista rimane ferito da qualche parte nel sud e trova rifugio in un collegio femminile. Per non essere denunciato fin da subito e tentare la fuga appena possibile seduce a una a una tutte le adulte (e non solo) creando odi, dissapori e violenze eseguite con una calma invidiabile.

Il titolo italiano è un'idiozia che, credo, sia stata pensata per solleticare pensieri pruriginosi che, nel film, non ci sono. Quello che c'è invece è un dramma psicologico gestito in maniera molto fisica.
Lo scontro è quello delle emozioni, dei desideri e delle insoddisfazioni trattenute in un gruppo isolato, mutualmente interdipendente e tarpato per scelte personali.
La messa in scena, però, è tutto fuorché psicologica, le scelte e le tensioni dei personaggi s mostrano con i loro corpi; con offerte sessuali e amplessi, con ferite e amputazioni, con armi da fuoco e cibo, con vestiti che si aprono e capelli che si sciolgono. La psicologia raffinatissima gestita da Don Siegel è fatta di pensieri e di carne.

Ottimo l'uso della location con la creazione di una prigione dorata i cui esterni sono anche più inquietanti, ampi e castranti degli interni (con la vegetazione tipica della Louisiana che fa bella mostra di sé come fossimo in un "Southern comfort" appena fuori dalla palude).

Cast magnifico per efficacia e credibilità dove la parte del leone la fa la Page (tutta rabbia esposta, ma non esplosa e macchinazioni), ma in cui anche Eastwood (fisico perfetto per la parte) recita in maniera impeccabile eliminando, con un unico film, anni di prese in giro sulla sua incapacità di cambiare espressione.

Infine la regia; devo ammettere di non conoscere ampiamente l'opera di Siegel, ma questo film è il suo più dinamico fra quelli visti; un uso dei movimenti di macchina da presa barocco, che crea movimenti ampi che riescono a dare ritmo a scene estremamente statiche, costruisce in maniera magnifica con la luce di una candela, inquadrature azzardate, volti lasciati soli a descrivere intere vicende; un'esperienza da provare.

mercoledì 5 settembre 2018

Tragedia a Santa Monica - André De Toth (1948)

(Pitfall)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un dipendente di un azienda di assicurazioni ingaggia un detective privato per scoprire dove sono i soldi rubati da un carcerato, li scoprono nella casa della donna del detenuto. Il detective però si innamora della donna (non corrisposto), mentre l'assicuratore (ok, non è un assicuratore) se ne innamora ricambiato. Il detective comincerà un stalkeraggio di entrambi e un'accurata distruzione delle loro vite.

Noir originale (e molto sussurrato) per la trama comprensiva di una femme fatale involontaria e vittima innocente lei per prima, ma anche per come i protagonisti siano eroi in senso positivo, ma che si macchiano di un peccato (alla fine vengono puniti in quanto complici di un doppio tradimento che viene "espiato" del tutto dopo il perdono della moglie del protagonista). Interessante la figura psicotica di Burr e di come si muova con grazia e sulla distanza distruggendo tutto ciò che incontra (peccato per un eccesso di straniamento nella recitazione).
L'effetto finale però è deludente. Non tanto per il finale tanto consolatorio e tanto rapido da essere stato, sicuramente, la gioia di Hays, ma per la totale assenza di ritmo che affossa il film fin dalla seconda scena, che si dilunga troppo nel sentimentalismo per tentare il colpo al cuore, ma che ottiene solo un deragliare dell'attenzione dello spettatore.
Peccato, perché da un film di serie B ci si poteva aspettare più coraggio e con le premesse che c'erano l'effetto finale poteva essere potente.

lunedì 3 settembre 2018

La settima musa - Jaume Balagueró (2017)

(Muse)

Visto al cinema.

Io ho un grande rispetto (direi solo rispetto senza aggettivazione, ma senza quel "grande" mi da la percezione che non si dia la giusta dose di stima) per Balagueró; durante il boom degli zombie movie si è inserito con personalità e, senza inventare nulla, ha maneggiato alcuni generi di quegli anni tirando fuori un film magnifico dal ritmo serrato e dalle possibilità seminali infinite; poi ha portato sullo schermo un thriller da camera cattivissimo e coeso che non può non colpire. Poi questo...

Tornato all'horror, però, il regista spagnolo, sembra aver dimenticato tutto su come si fa un film. Incredibile la sciatteria generale di "La settima musa" che parte da una scrittura ridicola. La trama è complicata per poter inserire l'idea di queste 7 muse malvagie legate all'umanità, ma non sarebbe il primo horror metafisico a essere arzigogolato. Il problema di scrittura è più profondo, è nell'incapacità di mettere in fila 3 linee di dialogo sensate, di mettere un solo personaggio che non sia fastidioso o di generare un'idea che abbia un minimo di concretezza o che sia almeno utile alla trama senza zavorrarla. La storia si muove con la solita ricerca di qualcosa, ma lo fa con salti tali e una tale mancanza di significato da rendere tutto noioso e pedante, fino all'inutile colpo di scena di finale (che vorrebbe essere pieno di emotività). Non cito neanche la pretestuosità esibita delle poesia e il name dropping di poeti che vorrebbero far sembrare più intelligente un film che non sa di cosa sta parlando.
La regia è inutile, crea un ambiente gloomy senza inventiva e riutilizza decine di idee vecchie senza dargli nuova vita (cosa invece che era il punto di forza delle opere precedenti), quelle poche idee carine (le punizioni della quinta musa) sono utilizzate male e assolutamente non sfruttate. Il corredo iconografico (a partire da come sono rappresentate le muse), anche se abusato, avrebbe potuto dare qualche risultato, ma, Balagueró, decide di non utilizzarlo se non come soprammobile. Su tutto comunque è la sostanziale incapacità di creare tensione che, a partire da metà, sembr aessere una precisa scelta.

Un film terribile, talmente mal realizzato che sbrodola pretenziosità senza riuscire mai in nessuno degli intenti, neppure i minimi. Sia stata la volontà a tutti i costi della co-produzione internazionale o il reale disinteresse del regista, questo rimane uno dei più brutti film che abbia visto quest'anno.