domenica 31 gennaio 2021

La lunga strada verso casa - Richard Pearce (1990)

 (The long walk home)

Visto su Mubi, in lingua orignale sottotitolato.


A montgomery, nel 1955 la vita di una domestica di colore verrà stravolta dal boicottaggio dei mezzi pubblici (dopo l'episodio di Rosa Parks). Aderirà anche lei a quello sciopero, con gravi ripercussioni personali, ma il suo gesto (pacato e dimesso) farà maturare una coscienza anche nella padrona di casa bianca.

Film sui diritti civile, buono e buonista come molti che arriva dove arrivano un pò tutti i film di questo genere (scene madri con prese di posizione morali che fanno stringere i rapporti umani e scaldano il cuore dello spettatore).

Condotto con una regia pacata quanto la sua protagonista è un filmetto che non aggiunge e non toglie nulla, ma ha la dote di mostrare il solito genere (1quello dei diritti civile ha alcuni stilemi a sé negli USA) da punti di vista lievemente differenti.

Il pregio maggiore è il presentare dei fatti storici epocali dall'esterno, mostrando gli effetti sulle ultime ruote del carro anziché sui protagonisti più eroici. 

Ha l'intelligenza di evitare alcune delle scene madri che potrebbe avere (purtroppo se inanella alcune evitabilissime) e si appoggia su un tono pacato e sussurrato che è un piacere. Non si legga questo come un rallentamento del ritmo, ma si tratta proprio di un portare avanti la trama in punta di piedi che rassicura e appaga molto.

Rimane nei fatti un film ovvio, ma che si lascia guardare con tranquillità.

PS: le due protagoniste sono splendide, la Spacek completamente in parte, la Goldberg ancora esperta della recitazione dimessa da il meglio di sè.

mercoledì 27 gennaio 2021

Aspettando il re - Tom Tykwer (2016)

 (A hologram for the king)

Visto su Netflix.


Uomo in crisi di mezza età viene mandato in Arabia Saudita (una arabia felix senza contraddizioni sociali o scontri di civiltà) per guadagnarsi l'appalto per forniture informatiche in una new town avveniristica.

Dopo il successo di "Cloud Atlas" Tykwer sembra diventare più appetibile e una coproduzione internazionale (compresi gli USA) gli mette in mano un soggetto di Eggers con Hanks come protagonista. Non si può parlare di grande occasione (il regista tedesco ha già portato in scena "Profumo" con uno sforzo produttivo europeo non da poco e lo stesso "Cloud Atlas" era si un film indipendente, ma delle Wachowski con standard elevatissimi), ma sicuramente l'ennesimo tentativo di rilancio internazionale; non si capisce altrimenti che cosa può aver visto in un progetto del genere un regista dinamico e dai personaggi difficoltosi come Tykwer.

Il film è una gradevole commedia leggera di un uomo in crisi che, messo in un contesto per lui alieno lo porta a ritrovarsi e ritrovare un senso nella vita... gradevole, ma piuttosto piatta, senza guizzi, con i soliti inserti di personaggi buffi (il tassita) situazioni paradossali e l'anima gemella che porta il protagonista sulla via della guarigione spirituale.

Tykwer ci prova a sfruttare gli ampi spazi, a costruire immagini sul tema buzzatiano di spaesamento, ma lo fa con poca convinzione e con colori pastello, si spinge a qualche buona costruzione di montaggi nella prima parte del film, ma presto si spegne tutto per diluirsi ulteriormente in un happy ending tanto perfetto e pulito, quanto posticcio. Film evitabile.

domenica 24 gennaio 2021

Arirang - Kim Ki Duk (2011)

 (Id.)

Visto qui, in lingua originale sottotitolato in inglese (con sottotitoli spesso fuori sincro).


Durante le riprese di "Dream" un incidente fa rischiare la vita alla protagonista; Kim Ki Duk ne rimane sconvolto si isola dal mondo e (lui che scrive e dirige quasi un film all'anno) smette di produrre per 3 anni, nel 2011 se ne esce con questo documentario/mockumentary per poi ricominciare con la solita frenesia produttiva.

A un mese circa dalla morte ho voluto recuperare questo film perché è proprio qui che io e il regista coreano ci siamo lasciati. A fronte di opere enormi con il picco che pongo personalmente con il suo "Ferro 3", Ki Duk ha via via sbragato, andando a perdere prima il mordente, poi l'asciuttezza in favore di un sentimentalismo ai limiti del sopportabile. Personalmente ho visto tutti i suoi film dal 2000 al 2008 (tornando al cinema per l'arrivo improvviso de "Il prigioniero coreano") partendo come giannizzero del regista per arrivare in fondo a quel decennio stanco di un uomo con più idee che talento per realizzarle. 

Vedendo questo film l'idea non cambia, ma sarà il distacco o la recente scomparsa non mi sento di fustigarlo in eccesso.

Il documentario mostra la vita quotidiana di Kim Ki Duk nel suo eremo, la sua quotidianità fatta di cibi cotti nella stufa, notti passate in una tenda e l'assenza di un bagno, oltre che la costruzione di una macchina per farsi l'espresso. In mezzo a tutto questo Ki Duk si confessa realizzando un documentario in cui si mette a dialogare con sé stesso, con la sua ombra, sente un continuo bussare alla porta e nel finale aumenta l'irrealtà con una serie di gesti estremi. Siamo di fronte a una sorta di "Real fiction". Anche le confessioni fatte sono lunghe geremiadi a metà fra l'autocompiacimento e il tentativo di farsi del male da solo, un pò onestà e un pò vittimismo che danno l'impressione di essere messe lì apposta (Ki Duk stesso dice che piange per aumentare la drammaticità). 

L'effetto finale è piuttosto deludente per il ritmo assente, anche i dialoghi non lo sono mai davvero, ma sono lunghi soliloqui ripetitivi, ma l'idea di fondo è affascinante. Tanto più affascinante per l'impossibilità di capire dove sia il limite fra il reale e l'artificiale e, in questo unico senso, è uno dei suoi film più efficaci. Consigliato solo per completisti.

mercoledì 20 gennaio 2021

Il caso Spotlight - Tom McCarthy (2015)

 (Spotlight)

Visto su Netflix.


la ricostruzione dello scoop giornalistico sul caso della pedofilia coperta dalla curia di Boston è inserita nel sottogenere (tutto made in USA) del journalist movie drammatico.

Pur se ben accolto, l'ho avvicinato con molti dubbi.

Ovviamente si tratta di una produzione splendidamente limata fin dalla sceneggiatura, costruita con esperienza che sorprende per la grazia e la compostezza. Un film su un tema delicatissimo (e su cui non fa sconti) che decide di evitare ogni scena madre (c'è giusto uno scontro con Ruffalo nel suo momento sopra le righe), pur avendone molte possibilità, e lasciare il cuore emotivo del racconto al racconto stesso. Sarà il dipanarsi degli eventi, i fili che collegano tutti e che faranno cadere ad uno ad uno i vari notabili della città a costituire il cliffhanger; è lo svolgersi stesso degli eventi a mantenere l'interesse. Una scelta molto elegante, ma non scontata, che può esitare in una freddezza superficiale, ma che guadagna molto in rispetto per i fatti reali e per lo spettatore.

Ovviamente per mettere in piedi un progetto del genere ci vuole una sceneggiatura a prova di bomba. Molti eventi condensati in un minutaggio limitato, ma mostrati con estrema chiarezza sostenuti da una regia che si mette in secondo piano per favorire il flow. ottima anche il world building (utile per chiarire la vicenda, ma formalmente non necessario) in cui si mostra la società bostoniana come un blocco unitario in cui la chiesa è presenza pervasiva e in cui tutti sono condizionati, anche inconsapevolmente, tutti, pure i buoni (sarà quindi un estraneo a dover dare l'abbrivio).

Ottimo il cast che gioca una sfida all'autocontrollo in una serie di performance perfette quanto trattenute (erano anni che non si vedeva un Keaton così composto).

domenica 17 gennaio 2021

L'incredibile storia dell'isola delle rose - Sidney Sibilia (2020)

 (Id.)

Visto su Netflix.


La storia dell'isola delle Rose (incredibile sia il primo film che si basi su quegli eventi) è lo spunto per raccontare gli ideali del '68 con il giusto distacco.

Non so se fosse quello l'intento di Sibilia, ma l'effetto è proprio quello. Distaccandosi completamente dal filone ideologico oriundo degli anni '70, questo film riesce a rendere l'afflato libertario senza costruire un'opera a tesi (ed è già molto), ma pure senza ideologia, né drammi; anzi sfruttando la commedia e utilizzando le migliori dinamiche di contrapposizione con un antagonista immergendolo nel senso italiano per la farsa.

Alla sua seconda prova quindi (se prendiamo in un blocco solo "Smetto quando voglio"), Sibilia si trova a dirigere una commedia efficace, rimescolare il genere ideologico, costruire una mitopoiesi dello stato italiano come antagonista che è nuova (nella nostra filmografia), ma assolutamente immersa nel punto di vista storico di prendere nulla sul serio.

Ci sono dei momenti intensi, alcuni emotivi piuttosto scontati, ma glieli si passa per come riesce a gestire tutto il resto del minutaggio.

Solito encomio per la gestione degli attori tutti utilizzati al meglio e per la cura della fotografia (non più aspra come nei film precedenti del regista, ma a colori pastello patinati).

mercoledì 13 gennaio 2021

Devil - John Erick Dowdle (2010)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Quattro persone si trovano intrappolate in un ascensore, ci sarebbe solo da aspettare i soccorsi se non ci fosse... il diavolo (lo spoiler alert erad aisnerire nel titolo).

Scritto da Shyamalan, ma diretto da un semi parvenu fattosi notare per il remake identico all'originale di REC. Ecco qui è subito partito il mio razzismo. Shyamalan è, a mio avviso, un ottimo regista, ma uno sceneggiatore mediocre a tratti insopportabile. La sua scrittura è stata parte fondamentale del suo oblio negli ultimi anni prima della quasi rinascita con la Blumhose.

Considerando il mio pregiudizio è un film che scorre bene, intrattiene bene e incuriosisce abbastanza da far arrivare alla fine pur rimanendo all'interno di un ascensore per almeno metà del minutaggio. Operazione comunque rischiosa.

Il problema è che a parte una godibili superficiale non c'è nient'altro. Potrebbe essere un horror (vorrebbe esserlo), ma non inquieta mai, potrebbe essere un thriller (forse vorrebbe esserlo), ma non da mai suspense. Se entrambi questi difetti sono sicuramente da imputare (anche) alla regia insipida, la sceneggiatura non è una buona base; non graffia mai con la cattiveria che sbandiera (i cattivi tutti chiusi insieme non sono mai davvero cattivi), chiude con un finale buonista, ma soprattutto raggiunge vette di ridicolo che smorzerebbero qualunque film (lo spiegane fatto dal personaggio esotico che scopre e dimostra la presenza del maligno con il fatto che il pane cade sempre dalla parte imburrata!!!).

Come si diceva un film che incuriosisce e che si fa finire volentieri, ma niente di più.

domenica 10 gennaio 2021

El bar - Alex de la Iglesia (2017)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Un gruppo di persona si trova ostaggio in un bar, fuori un cecchino sembra sparare a chiunque si muova. All'arrivo dell'esercito la situazione degenererà.

LA quasi ultima fatica di De la Iglesia è un ritorno in grande stile alla sua idea di commedia nera action (se ne era mai allontanato veramente?). Il film inizia con il passo del thriller (un nemico invisibile sconosciuto dalle intenzioni ignote) che diventa a tinte quasi horror quando la situazione interna al bar scadrà in un tutti contro tutti, nel lungo finale nella fogne l'atmosfera horror non verrà mai eliminata, ma si passerà all'azione vera e propria. E come sempre nei film del regista spagnolo il thriller e l'azione sono parte integrante della trama, portano avanti o sviluppano i personaggi e i rapporti fra di loro quanto i dialoghi, senza mai perdere l'afflato ironico che in questo film si fa fra i più neri e grotteschi di sempre.

Di fatto niente di nuovo, ma qui De la Iglesia da sfogo all'altra sua grande passione, il volto e i corpi. I cast è tutto i aficionados del regista, tute facce già viste per chi lo conosce, tutte da freak (borghesi o meno) fatto salvo per la coppia di giovani bellissimi; ma tutti verranno tormentati fisicamente, martoriati, portato allo stremo sul paino più epidermico possibile. Perché alla fine De la Iglesia è un regista che maltratta i suoi personaggi quanto Haneke (letteralmente in ogni suo film) e ne vive la fisicità (da plasmare e formare) quanto un Cronenberg (si veda la trasformazione dei protagonisti di "Balada triste"), solo che è più divertente. Ecco allora che la coppia bellissima dovrà gettarsi nei liquami, cospargersi di olio, strizzarsi per passare in pertugi minuscoli, lottare, prendere botte e sanguinare quanto tutti gli altri. Perché per De la Iglesias tutti sono orribili (e lo mostra nei dialoghi) e tutti meritano il martirio a cui li sottopone.

mercoledì 6 gennaio 2021

Lazzaro felice - Alice Rohrwacher (2018)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Un gruppo di mezzadri d'altri tempi lavora per una nobildonna che va a trovarli periodicamente. La fuga del figlio della signora porterà la modernità nel microcosmo e si scoprirà che i contandini erano sfruttati ai limiti della schiavitù. tornati alla "modernità" dovranno ricominciare da capo, ma non saranno aiutati.

Intriso di un realismo magico di campagna con il protagonista un "semplice" dostoevskiano il film sembra prendere a piene mani dal naturalismo norditaliano alla Olmi. Il tono lieve nonostante tutto ciò che di abietto succede, la dolcezza dei rapporti umani e un passo continuo seppure senza una meta chiara riesce a rendere il film scorrevole e interessante fino alla fine.

Non vengono risparmiate allegorie urlate o ingenuità dimenticabili (su tutte, la musica che esce di chiesa... un poco didascalico direi) e non è chiaro neppure il concetto di fondo (se c'è), ma forse è solo un muovere i personaggi ai limiti di ogni società e farli mantenere in piedi grazie ai rapporti umani. Semplice, ma non semplicistico,l ben condotto e con un cast all'altezza (c'è pure una irriconoscibile Nicoletta Braschi che rimane incapace di recitare, ma è l'unico neo ed è quasi voluto per la parte più inutilmente enfatica).

Buona prova imperfetta che lascia sul fuoco molto materiale che potrebbe essere sviluppato, ma che gioca con le aspettative in maniera vincente (se non si conosce la storia si rimane interdetti nella prima parte) e che con un ritmo lento non annoia mai.

domenica 3 gennaio 2021

Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze (2009)

(Where the wild things are)

Visto su Netflix.

Un bambino ha crisi in famiglia, fugge di sera e approda in un mondo di fantasia con creature inquietanti e buffe che lo incoronano loro re.
Inutile dire che in quel gruppo di creature troverà rispecchiati gli stessi sentimenti di rabbia e frustrazione del suo menage familiare, scenderà a patti e sarà pronto a tornare a casa.
Tratto da un libro illustrato di pochissime pagine senza una trama specifica, il film si prende ogni libertà possibile e affidato a Jonze riesce a rendere perfettamente il realismo delle scene iniziali (magnifiche ed essenziali per rendere il tono crepuscolare e la dignità delle piccole lotte e difficoltà dell'infanzia), tanto quanto la gestione fiabesca del corpo centrale. Tutte le sequenze del paese delle creature sono in ampissimi esterni in una perenne luce crepuscolare che danno un senso di sospensione onirica perfetta; aiutata dalla fotografia, le reazioni dei personaggi e il loro aspetto, Jonze gioca tantissimo con un vago senso di inquietudine e di instabilità nel mondo fantastico che è estremamente adulto (e che rappresenta l'unico pregio effettivo del lungo e noioso film).
Il tono del film ha però rappresentano il motivo della sfiducia nei confronti del regista stesso e ampi problemi di produzione che ne hanno ritardato l'uscita e rimaneggiato momenti. Che sia da incolpare questa incostanza o una sceneggiatura già claudicante è difficile dirlo, ma il film non funzione. A fronte dei pregi l storia è lenta, noiosa, svogliata e ridondante; dopo le prime scene realistiche piuttosto dinamiche e il fantastico arrivo nella terre selvagge il film muore in una palude di noia.