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lunedì 21 gennaio 2019

Capitani coraggiosi - Victor Fleming (1937)

(Captains Courageous)

Visto inDvx.

 Lo spocchioso figlio di un miliardario americano è un ragazzino che crede di poter ottenere tutto con i soldi del padre e senza sforzo... ora, siamo ancora in una Hollywood ideale, quindi, dopo essere stato accusato di aver tentato di corrompere un professore il padre decide di passare più tempo con lui (suggerimento pedagogico del preside); purtroppo durante la traversata oceanica di riappacificazione padre e figlio, cade in mare, salvato da una nave di pescatori dovrà collaborare con loro perché portare ospiti porta fortuna, portare un regazzino stipendiato per l'aiuto che da no.

Personalmente sopporto male le storie di mare e non sopporto i film di formazione classici; tuttavia questo film è il perfetto esempio del perché la Hollywood classica fosse grandiosa. Ha tutte le caratteristiche per farsi odiare, sulla carta, ha uno svolgimento piuttosto banale (scaldacuore, anche se non totalmente consolatorio), ma il progetto iniziale, messo in mano a un serie di professionisti, riesce a diventare qualcosa di ottimo. Non c'è un intervento determinante che rende il film un capolavoro, ma una serie di lavoratori, ognuno esperto nel proprio ambito che danno vita a un film godibilissimo e dalla realizzazione quasi impeccabile. La sceneggiatura riesce a non edulcorare quello che può esserci di più forte e riesce a rendere godibile anche le parti che potevano essere più zuccherose, con un ritmo sempre presente e tempi perfetti; la fotografia è sempre di livello nella parte iniziale diventa bellissima con le ombre della nave; regia invisibile, ma sempre presente per essere funzionale alla vicenda più che protagonista della scene; in ultimo un cast ottimale con Barrymore (che adoro sempre, qui perfetto), un giustamente rinomato Tracy (vincitore dell'Oscar per questa perfomance), un Bartholomew a cui va dato atto di non essere stato troppo fastidioso, un Carradine in secondo piano e un Douglas che fa il suo. Unico vero neo, il montaggio che, incredibilmente, commetti sbagli e distrazioni immotivate.


lunedì 2 luglio 2018

Scipione l'africano - Carmine Gallone (1937)

(Id.)

Visto in Dvx.

Kolossal fortemente voluto dal fascismo per dare spessore mitico alla, già mitica, storia romana in una guerra vittoriosa nelle terre del nord Africa... l'intento politico è così ingenuamente sfacciato che non ha bisogno di sottolineature.

L'intento politico evidente e l'ancora più evidente sostegno fascista si notano anche nei ripetuti saluti romani e alle inquadrature insistite dell'ascia dentro alla fascina di legno e all'aquila romana.
Al netto dei dettami del regime quello che ne viene fuori è un vero e proprio kolossal.
Un enorme dispiego di comparse, di costumi dettagliati, di scenografie massicce e... pure di elefanti. Ma ancora di più viene fuori l'enorme capacità di Gallone di gestire tutto questo dando il meglio di sé nelle messe in scene di massa e raggiungendo picchi insperati nelle sequenze di battaglia (quella finale con gli elefanti è una delle migliori scene action del cinema degli anni '30 assieme a quelle finali di "Capitan Blood"). Meno interessanti, ma ben gestite le lunghe chicchierate fra una battaglia e l'altra che alternano battibecchi al senato (gestiti come scontri personali), altisonanti dimostrazioni di romanità e relief scene con due personaggi comici messi lì giusto per rendere il tutto più digeribile.
A fronte della modernità delle scene d'azione, invece, risultano invecchiate malissimo le scelte di casting (oggigiorno mai sarebbero stati scelti protagonisti di mezza età dai fisici così strabordanti), ma soprattutto una recitazione teatrale che declama tutto senza quasi mai recitare davvero.

lunedì 25 dicembre 2017

Angelo - Ernst Lubitsch (1937)

(Angel)

Visto in Dvx.

Una donna è sposata con l'uomo che ama, ma viene trascurata (per ottimi motivi internazionali); lasciata da sola, annoiata, decide di andare a Parigi. Li incontrerà un uomo con cui flirterà duro, pur senza mai dire il proprio nome. Tornata a casa riprenderà la vita di sempre finché il marito non diventerà amico proprio dell'uomo di cui si era invaghita. Si imporrà un gioco di equilibrismo e una scelta.

Misconosciuto (almeno da me) film di Lubitsch con una Dietrich in una delle passerelle più eleganti e stilose di sempre (mai come in questo film la ricordo per classe e presenza).
Il film, nonostante la scarsa fama, non è soltanto una tipica opera di Lubitsch, ma è uno dei suoi capolavori del non detto e del suggerito con una serie di spunti inventivi che valgono da soli la visione. Gli esempi possono essere molti: la notte d'amore a Vienna suggerita dalla descrizione dell'albergo; il pranzo con tutti e tre i protagonisti della vicenda che viene raccontato dalla servitù nella stanza a fianco (forse la scena migliore del film); la discussione sugli argomenti per un litigio fra coniugi in cui lei confessa tutto; l'arrivo a casa di notte del marito che cambia completamente le carte in tavola e il genere del film (iniziato come un film romantico standard).

Quello che ne viene fuori è un film incredibilmente equilibrato; un melodrammo con spalle comiche ben usate (anche se il povero Horton qui è proprio messo in disparte) che lo rendono ancora oggi godibilissimo. Campione di scrittura anche per la realizzazione di uno dei triangoli amorosi più atipici di quegli anni (anche se estremamente reazionario).

PS: e comunque adoro le commedie upper class dove una signora nullafacente decide di andare a Parigi solo per comprarsi qualche vestito.

lunedì 5 settembre 2016

Emilio Zola - William Dieterle (1937) Gale Sondergaard

(The life of Emile Zola)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

La vita di Zola; nella prima mezzora gli anni della fame, i primi scritti e l'amicizia con Gauguin, brevemente l'impegno civile fino ai successi letterari. Nella seconda parte (circa 3/4 del film) la vecchiaia con lo scoppio, l'impegno e la risoluzione de l'affare Dreyfuss.

Film molto scorrevole e tutto sommato godibile, ma decisamente male organizzato.
Intendiamoci, siamo nel periodo d'oro di Hollywood e le regole auree della sceneggiatura sono rispettate, non si troverà un meccanismo male oliato, ma è proprio l'idea di base che latita di senso.
Questo è un film ruffiano con pretese da biopic serio; è evidentemente tutto incentrato sull'affare Dreyfuss (o meglio, su Zola come combattente per la libertà nel caso Dreyfuss), ma si sente in colpa nel mostrare solo quell'episodio (o forse teme che mancando un background il pubblico si senta spaesato), quindi decide di attaccarci almeno 30 minuti buoni di gioventù del protagonista assolutamente inutili, privi di senso, troppo rapidi nello svolgersi, con scarse ripercussioni su quanto avverrà dopo (c'è solo il flebile legame con Gauguin che poteva facilmente risolvere in altro modo); solo un modo per mondarsi la coscienza.
L'affare Dreyfuss è poi trattato con tutti i crismi di un enfatico film di lotta Hollywoodiano, dove la vittima è messa rapidamente in disparte dall'ingombrante figura del protagonista.
Il film fa declamare molti scritti originali di Zola (tra cui il famoso J'accuse), ne mostra le titubanze e la forza; ma non riesce mai a trasmettere davvero, né i motivi della grandezza del personaggio reale, né la forza morale (se non la superficie patinata della stessa).
Se avessero realizzato un film totalmente di finzione basato sull'affare Dreyfuss il film non ne sarebbe diminuito, eliminato Zola non sarebbe cambiato nulla.

Muni si impegna, ruffianeggia teatralmente per gran parte del film, regge bene gli sforzi richiesti, ma risulta sempre piuttosto finto. Direi che l'Oscar l'ha meritato di più per altri film.

Non un brutto film, tutt'altro, ma è solo un contenitore vuoto.

lunedì 28 marzo 2016

Palcoscenico - Gregory La Cava (1937)

(Stage door)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese

Pensionato femminile dove abitano aspiranti attrici; al gruppo già consolidato si somma una nuova ragazza; buone maniere, famiglia ricca, personalità accattivante, il gruppo si spezza fra chi la ama e chi la odia. La ricerca di nuove attrici per un dramma teatrale di nuova produzione provocherà ulteriori tafferugli nel gruppi, fino all'estremo gesto di una ragazza; le amiche rimaste le renderanno omaggio.

Una commedia sul mondo del teatro molto ben scritta, nella scena iniziale i vari personaggi intrecciano dialoghi, sentimenti, antipatie, psicologie. L'arrivo della Hepburn riesce a mantenere gli stessi standard pur catalizzando l'interesse. Nella seconda parte la commedia si vena di dramma trasformandosi in un melodramma sentimentale in maniera indicibile (splendida la scena prima del suicidio).

Di fatto un film non enorme, che si può dimenticare con una certa velocità; rimane comunque un ottimo esempio di scrittura (i dialoghi serratissimi dell'inizio sono esemplari) e un esempio ancora migliore di recitazione (c'è bisogno di dire quanto sa brava la Hepburn? circondata però da comprimarie che le rendono giustizia).

lunedì 5 ottobre 2015

Strada sbarrata - William Wyler (1937)

(Dead end)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

La storia di un gruppo di abitanti di un quartiere di New York in cui i ricchi si sono avvicinati ai bassifondi per la bellezza del fiume che passa li vicino. In questo gruppo c'è una gang di ragazzini; una ragazza sorella di uno della gang e innamorata di un uomo del quartiere; c'è un gangster affermato che, dopo aver cambiato i connotati, torna per rivedere la madre e la vecchia fiamma; e poi ci sono un gruppo di ricchi che odiano, amano, vorrebbero mischiarsi con i poveri.

C'è una storia d'amore, c'è il ritorno a casa di un gangster interpretato da un ingombrante Bogart; ma questo film rimane originalissimo per essere soprattutto un film corale dove i veri protagonisti sono dei ragazzi (che sono quasi tutti credibilissimi); inoltre il film è anche (e vuole fortemente essere) un film sociale.
Dietro la macchina da presa il solito Wyler si impegna molto con piccoli (la scena dell’incontro fra Bogart e la sua vecchia fiamma con Bogart che fa un passo indietro uscendo dal fuoco e la macchina da presa gli si stringe in un primissimo piano di nuovo a fuoco... applausi) e sfruttando l'eterno Toland (l'accoppiata fra i due si vede soprattutto negli interni tetri, nei vicoli di mattoni, nei cupi giroscale e nelle inquadrature verticali o molto oblique). Vi sono anche momenti costruiti da dio anche solo a livello estetico (l'inseguimento sui tetti).
Quello che però più colpisce è che l'intero quartiere, come sempre in quegli anni, è stato completamente ricostruito in uno studio creando un ambiente impeccabile, ma dal vago retrogusto di finzione che ne potenzia l'effetto emblematico e ne migliora l'estetica senza perdere in verosimiglianza.

PS: versione italiana iniziata e poi interrotta brutalmente; non è per le scene tagliate, né per le piccole modifiche ai dialoghi (che cambiano qualche senso, addolciscono i toni e tolgono ogni ammiccamento a questioni troppo delicate come la prostituzione), ma soprattutto c'è un doppiaggio talmente sciatto da togliere ogni enfasi possibile. Da evitare assolutamente.

venerdì 14 agosto 2015

Il Signor Max - Mario Camerini (1937)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un giornalaio di Milano una volta all'anno fa una crociera dove si immerge nel mondo della ricca nobiltà italiana; lo fa per il gusto di sentirsi un signore e lo fa con i propri risparmi. Li incontra una donna di cui si innamora e, conoscendola, viene scambiato per un ricco rampollo piuttosto sfuggente. Le cose prenderanno pieghe imprevedibili quando i nuovi "amici" lo porteranno a vivere una vita al di sopra delle proprie possibilità e, soprattutto, quando si accorgerà che la giovane cameriera della nobildonna è molta più interessante della vuota riccastra.

All'ennesima collaborazione fra Camerini e De Sica viene girato quello che sarà il film simbolo della coppia (il film più ricordato e quello con più remake...inguardabili).
Se alla regia Camerini sembra meno impegnato a dare un'impronta personale innovativa (come avvenne nei suoi film precedenti che sono riuscito a vedere; "Darò un milione" e "Gli uomini... che mascalzoni") sembra però molto più impegnato a dare più solidità a una trama tra le meglio scritte dell'epoca. La base è quella di una commedia degli equivoci tinta in rosa, ma il capolavoro che viene costruito da Camerini sta tutto nella leggerezza del racconto (la leggerezza è, forse, il vero marchio di fabbrica del regista) che rimane godibilissimo anche 80 anni dopo e nel sentimentalismo ben utilizzato. Se la parte della commedia dà agilità alla vicenda (senza mai scadere nel comico ottuso o nel macchiettistico come, purtroppo, verrà fatto nei remake successivi), la parte romantica riesce a non essere indigesta, anzi dona un'empatia altrimenti impossibile ai personaggi e credo possa essere ancora commovente nella sa semplicità.
De Sica poi si rivela veramente in parte quando recita la parte del bravo ragazzo del popolo.

venerdì 17 aprile 2015

L'orribile verità - Leo McCarey (1937)

(The awful truth)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una coppia sposata sospetta un tradimento, o meglio, ognuno sospetta l'altro di averlo tradito. Litigano e divorziano; entrambi cercheranno di rifarsi una vita. Lei conoscerà un uomo che però l'ex marito gli farà lasciare, sarà poi lui a conoscere una donna che sarà lasciata a causa dell'intervento dell'ex moglie. Ovvio che i due siano ancora innamorati.

Commediola dei sessi molto romantica e molto schematica. Si muove su un canovaccio ovvio fin dall'inizio che non devia di una virgola dal prevedibile. Cerca di utilizzare l'ironia per tenere viva l'attenzione però, pur avendo qualche bella battuta, non riesce minimamente a mettersi ad un livello simile a quello delle screwball comedy del periodo (a cui sembra voler fare l'occhiolino molto spesso).

Se la scelta degli attori è una buona notizia (c'è un Cary Grant che finalmente non mi irrita) e se alcune sequenze sono ben congegnate (il lungo finale con le camere comunicanti tutto sommato ha un pò di idee messe bene), tuttavia il film non mi convince affatto, banale come film romantico, piatto come commedia, McCarey (che non brilla mai per originalità) si limita a fare presenza.
So che da molti è considerato un pezzo fondamentale del cinema del periodo; personalmente mi sono fermato dopo i primi venti minuti e l'ho recuperato solo dopo alcuni mesi.

lunedì 2 febbraio 2015

Amore sublime - King Vidor (1937)

(Stella Dallas)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ragazza del proletariato industriale statunitense si innamora (ricambiata) del loro capo; si sposa e avrà un figlio, ma presto vorrà tornare alla sua vita di prima, con feste, balli e amici sgradevoli. Il marito preferirà trovarsi un lavoro nella distante New York e i due si ricostruiranno una vita indipendentemente. La figlia crescendo rimarrà legata ad entrambi, ma la madre si renderà conto che le possibilità per lei saranno maggiori s eandrà a vivere col padre e la sua nuova compagna; sceglierà quindi di inscenare la gioia per l'assenza della figlia.

Filmon strappalacrime anni '30 praticamente perfetto; melodramma dai sentimenti purissimi ed esposti che però risulta efficace. Vidor si conferma capace di gestire le emozioni e nel finalone (SPOILER) con la madre che spia il matrimonio della figlia dalla finestra e viene allontanata da un poliziotto e lei se ne va con il sorriso sulle labbra (FINE SPOILER) si raggiunge un picco di sentimenti contrastanti bellissimo.

Il film poi si regge egregiamente sulle capaci spalle della Stanwyck (un'attrice dal taglio degli occhi e della bocca che bastano ad illuminare una stanza) che passa con capacità dalle vesti di una ragazzina fastidiosa, a quella di madre con troppi grilli per la testa, da quelli di matrona kitsch, a quelli di una perdente dolente, ma felice.

lunedì 12 gennaio 2015

Cupo tramonto - Leo McCarey (1937)

(Make way fot tomorrow)

Visto in Dvx.

Una coppia di anziani invita i 4 figli (in realtà sono 5, ma una non verrà causa la distanza, vive in California) per porgli un problema; hanno perso la causa per l'impossibilità di pagare il mutuo, hanno avuto 6 mesi di tempo, ma per non doverlo ammettere pubblicamente hanno aspettato fino agli ultimi giorni; ora c'è da decidere il da farsi. L'unica soluzione che riescono a escogitare i figli è dividere i genitori e farli vivere a casa di due di loro, mentre la terza (sposata con un riccastro) si preoccuperà di far posto a entrambi nella sua grande casa di li a tre mesi. malvolentieri i coniugi decidono di separarsi.
La convivenza forzata nelle due case porterà presto a motivi di attrito, ma mentre il padre non riuscirà ad adattarsi dentro casa e cercherà fuori la soluzione ai problemi (si cercherà un lavoro e intreccerà un'amicizia con uno scorbuto negoziante); la madre subirà senza opporsi, accettando di buon grado anche le soluzioni per lei più angoscianti.
Alla fine dei tre mesi di convivenza però la soluzione dei problemi sembra ancora lontana e si sceglie una soluzione più drastica.

Film sulla vecchiaia, che oggi sarebbe quasi di moda (anche se il piglio pessimista non sarebbe accettato), ma che all'epoca era una novità assoluta. La trama è ovvia, ma correttamente ovvia, sono i singoli episodi, i motivi degli attriti, le reazioni dei personaggi che, in diverse occasioni, mostrano più stupidità che altro (figlie di una scrittura superficiale o, come nella sequenza della visita del dottore, macchiettistica). La prima parte soffre molto di questi difetti; nella seconda invece il tono cambia, dalla farsa malinconica si passa al sentimentalismo puro e al melodramma. L'incontro tra i due coniugi dopo mesi di separazione è qualcosa di semplicissimo, di tenero e accomodante come neanche la Disney avrebbe potuto fare meglio, ma funziona perfettamente e, nell'ottica del finale, acquisisce un sapore amaro incredibile. La scena finale potrebbe essere la scena madre di ogni melodramma se i melodrammi avessero la decenza di mostrare i sentimenti in modo contenuto e personale.

PS: titolo originale amaramente ironico, titolo italiano angosciante.

sabato 7 maggio 2011

Orizzonte perduto - Frank Capra (1937)

(Lost horizon)

Visto in DVD.

Questo è il primo film su Shangri-la che vedo, non pensavo esistessero davvero… già perché questo film parla proprio di Shangri-la, una comunità paradisiaca e gandhiana che vive nascosta da qualche parte nell’Himalaya a fare la bella vita in attesa che il mondo si distrugga da solo per poterlo poi rifondare. Poi rapisce un po di gente, dapprima incattiviti col mondo, ma che poi si integrano, tranne qualcuno che proprio non ci sta, tenta la fuga…ecc…

Non è proprio originalissimo, eppure questa paradisiaca commedia di Capra è proprio come tutte le commedie di Capra, stucchevole nell’idea originale, ma trattata nel modo giusto riuscendo a renderlo godibile e non troppo ridicolo (il vecchio monaco fondatore è atroce lo ammetto). Detto in altre parole? Se qualunque altro regista l’avesse preso in mano, questo film sarebbe inguardabile ed invece non stanca. Per dirla tutta il film fece storcere il naso all’epoca per quel retrogusto amaro (l’attesa della fine del mondo civilizzato per poi ricrearlo in meglio) atipico nelle commedie ricche di sentimenti positivi del regista americano. Dovendo scegliere però meglio guardare altre opere di Capra.

Il film è stato ampiamente rimaneggiato nei decenni successivi alla sua uscita e solo un’imponente opera di restauro lo ha, oggigiorno, restituito alla sua integrità… anche se in realtà un totale di 7 minuti non è stato ritrovato, se non nel formato audio, e pertanto è stato reintegrato in quest’ultima versione, con foto di scena e fotogrammi fissi.

PS: è evidentissimo che Colman è stato scelto come fac-simile di Clark Gable.

domenica 27 marzo 2011

Sono innocente - Fritz Lang (1937)

(You only live once)

Visto in DVD.
Un ladro (Fonda) esce di carcere dopo 3 anni di reclusione, pare aver cambiato vita grazie ad un prete comprensivo, ma soprattutto ad una ragazza che ancora lo aspetta (Sidney)… o almeno, il ragazzo vorrebbe cambiare vita, ma il suo pessimo carattere e una sfortunata serie di eventi lo riporteranno nell’orbita del crimine; ora però ha una moglie al suo fianco.

Dramma d’amore e morte estremo e dal finale obbligato sin dalle prime scene (chi, dopo l’evidente paragone con le rane, potrebbe scommettere su un happy ending?) che, ancora una volta, rientra in pieno nell’idea langhiana di lotta contro il proprio destino. Decisamente originale il tema dell’amore portato all’estremo (ma è proprio dagli anni 30 che questa idea si annida definitivamente nel cinema, almeno in quello americano) che permette una delle scene finali più dolorose ed eroiche di sempre.

Dalla sua il film ha anche una costante ambiguità che rende la trama decisamente più interessante… Fonda si trova licenziato con un mutuo da pagare perché è effettivamente un perditempo, ed un perditempo proprio per via di questo amore totale (arriva con più d’un ora e mezza di ritardo per poter mostrare la casa nuova alla sua ragazza). Inoltre il titolo si riferisce al fatto che Fonda si professa estraneo alla rapina, ma Lang non da elementi che lo scagionino allo spettatore, anzi, le prove risultano essere tutte contro di lui.

Nell’insieme non lo considero il miglior Lang di sempre, ma decisamente un ottimo film.

martedì 4 maggio 2010

E' nata una stella - William Augustus Wellman (1937)

(A star is born)

Visto in DVD.

Classico film sul sogno americano, sull'ostinazione e l'impegno (più l'ostinazione in questo caso) per avere successo nel lavoro e nella vita; buoni sentimenti che veleggiano anche sopra le tempeste peggiori... poi si passa alla seconda metà del film...
La storia è quella di una ragazzotta di provincia che vuole diventare una stella del cinema e grazie ai soldi di sua nonna riesce ad arrivare a Hollywood, dove verrà notata da un noto attore dedito all'alcool che si innamorerà di lei, la sposerà, la renderà celebre... poi si passa alla seconda metà del film, lui non attira più il pubblico, nonostante la vicinanza e l'aiuto della moglie e degli amici produttori (ebbene si, non c'è quasi nessuno che lo ostacoli se non le leggi del mercato e un pubblicitario) ricomincia a bere, maltratta e fa soffrire la compagna (splendida la scena dello schiaffo involontario alla consegna degli Oscar), finchè non si rende conto di essere per lei un peso.
Il film si innalza sopra tutte le banalità di cui è infarcito, riuscendo perfettamente nella costruzione di un melodramma spietato (anche se pieno di speranza ovviamente).
Il film rappresenta anche uno di quegli splendidi esempi di cinema americano che osserva se stesso, rivelandone i retroscena, prendendone in giro i vizi e mostrando il vero volto di personaggi superuranici; il tutto con un gusto per l'ironia che il cinema europeo, sullo stesso argomento, non ha, preferendo mantenere un senso di sacralità.

Il film, curiosamente è il remake di un film di Cukor ("A che prezzo Hollywood?" del 1932); ed inoltre sarà riutilizzato dallo stesso Cukor per realizzare l'omonimo film del 1954.