mercoledì 30 dicembre 2020

The founder - John Lee Hancock (2016)

 (Id)

Visto su Netflix.


la storia del fondatore di McDonalds, di come scopre il metodo degli omonimi fratelli, di come li convince ad esportarlo e di come riesce a sfruttarlo per creare un impero economico a scapito degli altri.

L'epopea capitalistica di un personaggio furbo, ma senza troppa empatia è ormai un genere quasi a sé standardizzato da quello che ne rimane l'apice, cioè "The social network".

"The founder" non ha l'innovazione, né le pretese di essere all'altezza del precedente, ma costruisce un lavoro ordinato fotografato bene e con il giusto ritmo (alla regia c'è il Lee Hancock che è maestro di compitiini ben confezionati che non possono deludere l'aspetto tecnico), crea un ambiente in cui muovere un personaggio non originalissimo, ma ben fatto e, il vero colpo di genio, fa le scelte di casting perfette.

Perché la presenza il vero punto di forza di questo film è Michael Keaton.  sono perfetti i corpi da punching ball di Carrol Lynch e Offerman; ma senza Keaton come protagonista ambiguo tutto il film si sgonfierebbe dopo un minuto. Keaton costruisce un personaggio che passa da sfigato a furbo imprenditore con una smorfia della bocca, che passa da simpatico intrallazzatore a stronzo figlio di puttana con un sopracciglio inarcato; ed è semplicemente perfetto e racchiude tutte le dicotomie in poche mosse senza andare (quasi mai) sopra le righe. Mette, invece, tristezza vedere Laura Dern relegata ad una parte che poteva anche essere eliminata.

domenica 27 dicembre 2020

Jallikattu - Lijo Jose Pellissery (2019)

 (Id.)

Visto su amazon prime.


Un bufalo scappa dal macello, era destinato al banchetto di nozze di un riccastro locale. Al macellaio si associano sempre più persone alla ricerca del bufalo, tutti sperano che, prendendolo, possano ricevere una parte della carne come ringraziamento per l'aiuto. La situazione sfuggirà presto di mano, con centinai do persone (l'intero villaggio) che darà la caccia al bovino in un parossismo di follia e violenza, con la coppia di (pseudo) protagonisti che arriveranno allo scontro diretto per concludere con un finale iperbolico fuori da ogni logica.

Film sorprendente dove la fuga di un docile ruminante viene da subito gestita come le scene di tensione de lo squalo, con l'animale che compare all'improvviso come una tempesta e altrettanto rapidamente scompare, con gli umani che partono ragionevoli per divenire sempre più estremi, bestiali, sporchi e numerosi. Con l'arrivo delle scene in notturna la qualità della regia aumenta (l'arrivo con le torce è bellissimo, il recupero nel pozzo è gestito magnificamente e poi c'è la montagna del finale) mentre la trama si fa sempre meno importante  e sempre più pretestuosa mentre porta avanti un discorso fatto di azione e di corpi disgiunto dal motivo iniziale. Il già citato finale, assurdo eccessivo ed estetizzante è ragionevole per la piega presa dalle cose. I dialogo sono inversamente proporzionale al caos sottolineando la disumanizzazione dei personaggi.

Film atipico nella vasta cinematografia indiana (anche per il minutaggio contenuto) che spicca per qualità di scrittura e di regia (cioè, sul serio, scrivere scene come quelle rimanendo seri e farle venire fuori bene è un mezzo miracolo).

mercoledì 23 dicembre 2020

L'abisso - Urban Gad (1910)

(Afgrunden)

Visto qui. 


Il regista, Urban Gad era già uomo fatto quando ebbe l'arroganza e la determinazione che spinse 50anni dopo la Nouvelle vague, dare una svecchiata al cinema che, secondo lui, stava languendo (anche se era stato inventato poco più di un decennio prima).

Per farlo recupera attori di seconda fila e amici d'infanzia dal teatro dove lavorava, si fa finanziare da conoscenti e ingaggia qualche mestierante noto (Alfred Lind che non apprezzerà l'ambiente di lavoro).

Fu uno dei primi film di due rulli (ad avere quindi una lunghezza superiore ai 15-20 minuti), fu il secondo film della futura vamp Asta Nielsen e il primo del sodalizio fra l'attrice e il regista che frutterà 30 film e un matrimonio fra i due. Ma su tutti il film all'epoca fece scalpore per la scena da ballo ritenuta eccessivamente esplicita; bisogna ammettere che è una scena sensuale ancora oggi con una sorta di lap dance (piuttosto contenuta) dove un uomo funge da palo.

A parte il gossip l'opera è un film completo, con un linguaggio cinematografico già adulto; mancano alcuni elementi della grammatica base che verranno inventati/esaltati da Griffith; ma qui i fondamentali ci sono già tutti, e viene abbandonato il cinema statico di stampo teatrale. C'è di tutto, riprese in esterni (magnifica l'apertura sul tram), c'è un moltiplicarsi di location, punti di vista inconsueti (il palco visto di lato), utilizzo massimo delle comparse; a livello di regia c'è già tutto ed è molto gustoso. 

A livello di sceneggiatura invece è un poco claudicante; la storia è una romance torbida il giusto per incontrare il gusto dell'epoca e anche quello attuale, ma lo svolgimento è frettoloso e un poco raffazzonato (facilmente per colpa del minutaggio) che rende a tratti poco godibile il film.

Meriterebbe un restauro se non è già stato effettuato negli ultimi anni.

domenica 20 dicembre 2020

Mank - David Fincher (2020)

 (Id.)

Visto su Netlfix.


La storia dello spunto e la realizzazione della sceneggiatura di "Quarto potere" da parte del Mankiewicz meno famoso (almeno oggigiorno) è la scusa per Fincher di entrare nel territorio del cinema che parla della produzione cinematografica che potrebbe diventare un genere a sé negli stati uniti, ma ovviamente c'è anche molto di più.

Fincher è un signore della regia, sa come si costruiscono le immagini, le scene e le sequenze, sa come mettere in armonia macchina da presa, fotografia e montaggio, sa come e cosa chiedere agli attori. Lo fa dagli anni '90 almeno, figuriamoci dopo 30anni d'attività. "Mank", quindi è bellissimo.

Esteticamente siamo dalle parti della maggior qualità possibile con una bianco e nero d'epoca e un utilizzo delle luci anni '40 gustosissimo che diventa passione nerd quando ci sia accorge che anche le tecniche di dissolvenza sono prese a piene mani da quelle dell'epoca raccontata. Questo è l'idea di fondo vincente, raccontare la genesi di un film d'epoca con gli stilemi dell'epoca. ovviamente ogni giochetto nerd rischia sempre di esplodere in faccia a chi lo costruisce e anche Fincher ci arriva vicinissimo citando abbondantemente soluzioni e inquadrature direttamente da "Quarto potere" che, quando diventano troppo sfacciate ed evidenti sono stucchevoli. Al ,limite in certi momenti, ma Fincher riesce a fare tutto senza opprimere.

L'intento però, sembra quello di parlare di un mondo attraverso un suo personaggio, mostrare la collegialità dei film dell'epoca d'oro di Hollywood con i suoi intrighi di palazzo e le sue piccolezze, mentre, con l'altra mano, si cerca di decostruire il mito intoccabile di Welles e del suo primo film. Anche qui un rischio di risultare arroganti enorme che viene mitigato da una vis entusiasmante e da un'ironia continua.

Quello che latita però è l'efficacia, del film. Tutto funziona bene, ma tutto insieme è eccessivo, lungo, laborioso e con un'obiettivo fumoso, un gigioneggiare nelle sue sequenze buffe e ben scritte senza affondare mai, senza andare mai al punto. Nella carriera di chiunque sarebbe un mezzo capolavoro, ma in quella di Fincher costellata di capolavori veri e film ottimi questo rimane nella sfera dei secondi, anzi, diventa un'occasione mancata.

mercoledì 16 dicembre 2020

L'ufficiale e la spia - Roman Polanski (2019)

 (J'accuse)

Visto su NowTv.


La storia del caso Dreyfuss trattata da Polanski. La sinossi è tutta qui. Il punto di vista è quella dell'ufficiale che fece parte della commissione giudicante, ma che in seconda battuta scoprì che le prove a carico di D. erano costruite e il colpevole di tradimento ancora a piede libero.

Per stessa ammissione del regista il punto di vista è lontanissimo da quello del condannato perchè era un personaggio... noioso. Pochi interessi, personalità normale, niente di cinematograficamente utile (beh e poi c'è un'esilio sull'isola del diavolo piuttosto lungo). 

Polanski quindi si concentra sui dettagli fisici dell'indagine successiva alla condanna, costruisce una sorta di giallo tutto fatto da pezzi di carta, documenti, faldoni e lacci da sciogliere (senza metafore, proprio i lacci che chiudono i porta documenti) in una pornografia della fisicità che non aiuta la suspense, ma la verosimiglianza di un film in costume che diventa totalmente reale, quasi sinestesico.

Il film funziona perfettamente per tutta la parte dell'indagine, si rimane attaccati allo schermo non per scoprire cosa succederà e quale svolta prenderà la vicenda (è un fatto abbastanza noto anche da noi, salvo i dettagli, l'esito si conosce già), ma per sapere come verrà provata l'innocenza, quali q quante prove o indizi saranno necessari. Nell'ultima parte con i nuovi processi si perde un po d'interesse (anche la sceneggiatura si fa più enfatica), ma la cura impeccabile per la fotografia riesce a mantenere alta la qualità.

Per la prima volta Polanski mette in piedi un films torico reale e realistico senza perdere quella sua attitudine sempre svolta nei suoi drammi da camera, con vicende chiuse fra quattro pareti dove personaggi su fronti opposti si si scontrano, si studiano o cercano di eliminarsi (anche fisicamente); e il risultato è il migliore fra i suoi film in costume.

Cast magnifico, tutti all'altezza con un Dujardin che gioca di sottrazione (ma in maniera più calda rispetto ai colleghi americani) e fa da mattatore, una Seigner messa lì perché Polanski la mette dappertutto e un Garrel rabbioso messo u po in disparte (ah c'è pure Barbareschi in una particina).

domenica 13 dicembre 2020

Il quarto uomo - Phil Karlson (1952)

 (Kansas city confidential)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


Un gruppo di sconosciuti fanno una rapina organizzata da un capo che li incontra solo mascherato. Dovranno incontrarsi dopo diversi mesi in Messico per dividere il bottino con calma. Nel frattempo viene indagato un corriere in realtà innocente. Dopo aver perso tutto si mette alla ricerca dei veri colpevoli per vendicarsi. Trovato uno e sostituitosi a lui andrà all'incontro messicano.

Film noir di serie B è, come spesso in questi casi, un insieme di idee e di ingenuità in pari misura; in questo caso condotto dall'ottimo artigiano Karlson.

L'incipit con il reclutamento dei complici con il capo mascherato è perfetto, crea un clima torbido e inquietante in cui far muovere gli antagonisti. Buona la rapina anche se con pochi lazzi e ottimo l'incontro fra il sospettato e il primo dei colpevoli con lo showdown all'aeroporto perfetto per la drammaticità un po meno per la tensione (la gag del poliziotto che va al telefono è piuttosto elementare e mal condotta).

La parte centrale della vicenda è meno interessante vittima della sceneggiatura che svela tutto fin dalla prima inquadratura e non lascia adito a dubbi.

La trama però (ripeto, zavorrata da ingenuità di scrittura evitabili) è un continuo cambio di registro (film di rapine, poliziesco classico, film di vendetta, thriller con infiltrato, ecc) encomiabile per lo sforzo e per i risultati in termini di godibilità e interesse, la parte della suspense è meno efficace e il cast troppo imbalsamato in stereotipi per spiccare pur con una riuscita media buona (van Cleef è già un caratterista pronto per film più impegnativi).

mercoledì 9 dicembre 2020

The arrival- Desin Villeneuve (2016)

 (Id.)

Visto su Amazon prime.


Gli alieni arrivano sulla terra. Più che pacifici sono silenziosi, se ne stanno sulle loro (inquietanti) astronavi e aspettano. Gli esseri umani tentano di comunicare, ma manca un linguaggio comune che andrà trovato.

Un film di fantascienza con gli alieni che diventa una sorta di thriller linguistico per concludersi con un colpo di scena sul significato della vita che rimette in gioco tutte le immagini viste finora.

Preso da un racconto (fantastico) di Ted Chiang il film ne rielabora la parte concettualmente più impegnativa e meno quella filologica in senso stretto ed è un peccato, ma veniale (odio chi giudica un film per le differenze dal libro, ma con Chiang non sono riuscito a non pensarci tutto il tempo).

Trampolino di lancio per il Villeneuve fantascientifico a cui (sinceramente) non avrei dato due lire, invece il canadese ci sguazza da dio, costruisce tutto il mood sulle immagini ieratiche dai colori cerulei curiosamente degne delle copertine Urania (quelle più serie non quelle cazzare) con venature alla Magritte che dettano il tono di tutto il film e se lo portano sulle spalle anche più della brava e pacata Amy Adams.

Se l'intero film si poggia sul comparto visivo che sostiene il gelido thriller compreso fra linguistica e geopolitca il family drama così come il twist finale riescono a dare ulteriore profondità alla sceneggiatura dando qualcosa che ci si può portare dietro oltre la fine del film. Non ci sarà azione o alieni completamente visibili, ma più di così cosa si può volere?

lunedì 7 dicembre 2020

Strasbourg 1518 - Jonathan Glazer (2020)

 (Id.)

Visto su Mubi.


Altro corto realizzato durante il lockdown. Glazer opta per una serie di ballerini in varie parti d'Europa (il titolo fa riferimento al più noto caso di isteria danzereccia del medioevo (successo, appunto, a Strasburgo nel 1518).

Glazer si libera delle velleità narrative dei suoi lungometraggi e torna alle origini dei videoclip in senso buono (immagini che vivono delle relazioni con la musica) e dei cortometraggi utili a creare un ambiente, un tono e non una storia vera e propria.

Considerate le limitazioni tecniche Glazer fa miracoli. Moltiplica i punti di ripresa nelle singole case e gioca tutto sul montaggio delle scene affiancando il ritmo musicale a quello delle immagini fatto tutto di tagli e della luce naturale che si modifica. Ovviamente siamo di fronte più a un'opera d'arte visuale che un film in senso stretto, ma è questo che lui sa fare meglio ed è questo che dovrebbe continuare a fare.

In my room - Mati Diop (2020)

 (Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


A Diop viene chiesto di girare un cortometraggio durante il lockdown; è evidente la scarsità di idee, ma alla fine mette insieme le registrazioni audio della nonna morta da poco (per lo più in preda all'ansia dell'età avanzata, delle persone che non ci sono più, il senso di solitudine e di abbandono, ecc...) e le unisce alle riprese dal suo appartamento di una Parigi periferica e vuota con riempitivi fatti personalmente da abiti indossati (c'è un motivo) a inquadrature della sceneggiatura (per poter portare avanti sequenze non realizzabili, come l'arrivo di un corriere).

L'effetto finale è il tipico corto su commissione, un'idea pallida per lo più autoriferita che riempia il vuoto. Noiosetto, ma sopportabile. Quello che però viene fuori prepotentemente, è la capacità delle Diop di inquafrare (e fotografare) anche il dettaglio più comune in maniera gustosa: degli abiti appesi, dei palazzi, l'interno di casa vuoto (quasi mai si vedono esseri umani), tutto è bellissimo, sfruttando le diverse luci del giorno vengono fuori impressioni diverse dello stesso scorcio (usualmente banale). Non salva il cortometraggio, ma sottolinea le capacità della regista.

domenica 6 dicembre 2020

Atlantique - Mati Diop (2019)

 (Id. AKA Atlantics)

Visto su Netflix.


Una ragazza senegalese che sta per sposarsi flirt con un altro uomo. Il loro ultimo incontro finisce velocemente, lui non ha il tempo per dirle che sta per tentare di raggiungere l'Europa in barca. Avverrà un incendio inspiegabile e l'altro uomo sarà accusato, qualcuno l'ha visto in giro. Intanto delle donne minacciano un ricco imprenditore con informazioni ricevute dai mariti partiti in barca.

Un film dalla doppia via, un romance sovrannaturale e un'indagine sempre nello stesso settore. L'idea di fonda è confusa, o meglio, chiara nell'intento, poco precisa nell'esecuzione. Il film deragli nella lentezza nella primissima parte, ma dopo l'incendio ha un incedere più deciso che permette di passarsi via le piccole incongruenze o le parti un po posticce (il discorso delle donne possedute è riscatto sociale all'acqua di rose che non aggiunga molto se non un paio di belle scene) con facilità.

Non siamo davanti a un'opera impeccabile, ma la mano sicura dietro la macchina da presa, l'occhio empatico nei confronti di tutti i suoi protagonisti, una fotografia dai colori tenui e freschi (una novità quasi assoluta per un film ambientato nel continente africano, si vede che non è stato realizzato in USA) e l'embricata fra storia normale (romance e attualità) e sovrannaturale lo rendono una visione interessante. Forse eccessivo il premio a Cannes, ma almeno ha dato il là alla distribuzione internazionale.

mercoledì 2 dicembre 2020

Good time - Benny Safdie, Josh Safdie (2017)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Due fratelli fanno una rapina, quello con un lieve ritardo viene arrestato e pestato in carcere. Quello rimasto fuori cercherà di farlo uscire pagando la cauzione, ma una serie di eventi avversi lo costringeranno a scegliere un'altra strada: farlo fuggire dall'ospedale.

Un film con macchina da presa a mano che ha dimostrato di aver ormai digerito il nuovo stile urbano derivato da Refn e i suoi colori fluo, ma portato in un ambiente più sporco, più realistico, più malato.

Un film che prendendo un'estetica decisa, ma realista si immerge con godimento nel lato oscuro della vita. Nella storia di questi fratelli scapestrati (e sfortunati) c'è una sola regola, tutto quello che può andare male ci andrà. Una volta iniziata la rapina inizia un gioco a seviziare i protagonisti facendo succedere ogni possibile evento avverso in una sorta di lunghissima fuga dal destino che dura tutta una notte (a chi venissero in mente di Coen, direi di si, anche con ironia, ma con un nichilismo estremizzato). Non c'è quasi mai una scena action o crime vera e propria, ma la suspense è continua e l'abiezione (o la semplice sensazione di disagio per quanto sta succedendo) è continua. Un lavoro sul lato oscuro che è magnifico e ossessivo.

Pattinson, ormai rivalutato grazie a Nolan, ha il volto perfetto per il trasandato (possibile) tossicodipendente di quartiere, lo sguardo spaventando e i lineamenti tirati adatti per quella che è un'interpretazione impeccabile.