domenica 29 novembre 2020

The walker - Paul Schrader (2007)

 (Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


Harrelson è accompagnatore per signore dell'alta borghesia (politica) di Washington; non vi è nulla di sessuale nelle sue mansioni data la sua omosessualità (e un rapporto complicato con un ex), è una sorta di personal friend. Nel tempo libero lavora in un ditta di rivendita case. Rimane però invischiato in un omicidio in cui l'amica dell'infanzia si da alla macchia e tutte le prove (o meglio la volontà delle indagini) sembrano condurre a lui, nel frattempo sarà vittima di avvenimenti e minacce.

Doveva essere il seguito ideale di "American Gigolò", ma dopo il rifiuto di Gere, Schrader preferì cambiare linea oltre che sponda. 

Il film si fa notare subito per una confezione impeccabile. Movimenti di macchina precisi e ortogonali, vestiti impeccabili, interni ben confezionati e geometrici, una fotografia che esalta il lavoro fatto sull'estetica. Si fa notare anche una tendenza al chiacchiericcio non insolita in Schrader, ma più affettata con frasi taglienti e puntuali che sembrano venire da una versione sboccata di Oscar Wilde (che verrà citato, e tenuto a distanza, nel film stesso).

Il film sguazza in un paio di generi senza prendere una decisione vera e propria. Un'opera che vorrebbe essere un thriller politico (che ravvierebbe nei giochi di palazzo politici fuori dai palazzi politici) con dramma psicologico determinante per lo svolgimento degli eventi (che dovrebbe essere il vero genere di riferimento). Manca però tensione nella parte del thriller che rimane solo un meccanismo utile a far succedere cose, ma non riesce a incuriosire; mentre il dramma è piuttosto patinato, gestito con freddezza e ripetitività.

Il protagonista è la perfetta espressione del film stesso, impeccabile, azzimato, arguto, elegantissimo; ma distaccato, freddo, scarsamente coinvolto anche quando lo dovrebbe apparire di più. Il film è tutto sommato qua. 

Ottimo il cast (e per dire questo mi baso sul fatto che c'è Lauren Bacall, il che rende sempre ottimo il cast qualunque cosa faccia) femminile; fa piacere vedere Harrelson in una parte pulita e pettinata e si vede il tentativo di non scadere nel cliché continuo, ma il lavoro fatto di caratterizzazione rimane piuttosto banale (pochi cliché si, ma quei pochi determinanti per fare il personaggio).

giovedì 26 novembre 2020

Godzilla II. King of the monsters - Michael Dougherty (2019)

 (Godzilla: king of the monsters)

Visto su Amazon prime.


Dopo il giusto successo del precedente Godzilla (il primo grosso successo per un Godzilla americano) si decide di fare il bis e, positivamente, non lo si fa uscire dopo dieci minuti, ma passano ben 5 anni. Ovviamente per realizzare un seguito a Hollywood si decide di aumentare la quantità del fattore vincente del film precedente, quindi Godzilla e e MUTO vengono moltiplicati da una fiorire di Kaiju su cui primeggiano quelli classici della Toho, Rodan, Mothra e su tutti Gidorah. Purtroppo poi, a Hollywood, bisogna sempre mettere la componente umana...

Parte con la dovuta lentezza (non si può partire con mostrino che si spazzano malissimo tutto il tempo), ma quando parte davvero (con lo scongelamento di Gidorah) si da il via a una sequenza titanica, ben condotta, con una qualità della CGI (chiaramente Gidorah è vero) e un gusto per lo scontro che fa piacere tornare nei Blockbuster e questo sfruttando un personaggio che ho sempre disprezzato (Gidorah, insignificante anche nella serie originale giapponese, malfatto e odioso) riuscendo a farmelo apparire un antagonista credibile e godibile. Encomio totale al Monster design generale, che riesce a dare dignità a tutti (si pensi a Rodan, pterodattilo goffo in Giappone, qui uccello di fuoco dall'indubbia potenza).

Il problema non è il voler fare un film di mostri con molti mostri (pure troppi) con Mothra come deus ex machina tanto credibile (come lottatore) quanto efficace (poco), il problema è mischiare la volontà di titanismo con i problemvucoli umani. Ormai non è più un mostro che attacca New York (o Tokyo), ma un dramma planetario che comprende gli esseri umani solo in parte e confondere il tutto con i piccoli drammi personali che dovrebbero essere più empatizzanti dei drammi su ampia scala, ma che nei fatti allunga il brodo in maniera inutile e imbarazzante (la ricerca di Godzilla negli abissi....) quando sarebbe bastata la componente di dramma complessivo. Se a questo si aggiunge un cast estremamente nutrito a cui dare spazio e una scrittura dei personaggi obiettivamente malfatta (che tristezza vedere Watanabe ridotto così male) l'effetto finale è un'agonia per lo spettatore (quanto meno per me).

Tanto è stato folgorante il primo film, tanto è ignominioso questo secondo capitolo. Devo ancora vedere il film su King Kong su cui le aspettative sono ancora alte e rimango in tiepida attesa del seguito dei due.

PS: non sto qui a dare tutta la responsabilità al cambio di regia, nel primo film Edwards, qui Dougherty; perché il primo aveva dimostrato una padronanza dell'azione del contesto invidiabili, quest'altro invece... non lo conosco. I problemi comunque sono evidentemente (anche) nella scrittura che azzoppa la storia...

PPS: ma che cast enorme di ripescaggi dal cestone delle serie tv?! però, fra scelte ovvie perché bankable, altre giuste per carattere, altre no e basta, almeno c'è Vera Farmiga che rende migliori le mie giornate.

domenica 22 novembre 2020

La principessa + il guerriero - Tom Tykwer (2000)

 (Der Krieger und die Kaiserin)

Visto su Mubi, in lingua originale.


Un'infermiera di un reparto psichiatrico rimane vittima di un incidente potenzialmente mortale, viene salvata da un giovane che scompare prima dei soccorsi. Lo cercherà mettendo in piedi una piccola indagine privata. Trovato rimarrà invischiata in una rapina.

Storia d'amore complicata da una trama che non ha chiaro cosa voglia essere. Inizia con due personaggi da noir messi in due storie disgiunte, si fonde con un'indagine privata che è più sul versante della commedia piuttosto che del thriller, passa al film di rapine classico, poi una romance wannabe atipica, ma in realtà piuttosto scontata.

Realizzato dopo l'incredibile esplosione di "Lola corre" si separa dal precedente (tutto basato su una sola idea, un trucco di prestigio di poco conto, ma magnificamente realizzato) per una storia vera e propria, complessa e articolata. Rimane legato a quello (a parte per la Potente) da una sorta di reiterizzazione, qui ci sono luoghi che tornano fino alla catarsi (che si collegano ad eventi della vita precedente), molti dettagli o primissimi piani ravvicinati. Reitera continuamente le fughe, la tranquillità e la fuga di nuovo quasi non riuscendo a separarsi del tutto dalla ripetitività del film precedente (ok, forse sto esagerando in dietrologia). Quello che è evidente è la banalità nella gestione di una trama confusa, l'insistenza in momenti e metafore al limite dell'imbarazzo (ovviamente parlo dello sdoppiamento finale). Quello che però c'è di buono è la tendenza di Tykwer di realizzare sequenze complesse quasi senza farsene accorgere; su tutto regna la macchina d presa circolare che parte da posizioni difficili per poi cercarsi una situazione stazionaria... anche se la sequenza che più colpisce è la ricostruzione dell'incidente, tutta fatta di suoni e di assenze.

Di fatto una commedia romantica with extra step che la diluiscono più che renderla originale.

mercoledì 18 novembre 2020

Long weekend - Colin Eggleston (1978)

 (Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale.


Una coppia in crisi parte per un weekend lungo nel Bush australiano (in realtà vanno al mare, ma in una spiaggia desolata nel mezzo del niente). Durante la permanenza iniziano segni di squilibrio fra loro e fra gli animali e i due umani fino all'ultima notte con un terribile showdown.

Il classico horror/thriller in cui una coppia in crisi deve cementare il loro rapporto per poter sopravvivere... ma ha il vantaggio di non avere un finale scontato.

Meno efficace invece la base, predisposta come una sorta di vendetta della natura a una coppia menefreghista nei confronti di piante e animali (dettagli che vengono disseminati durante tutta la prima parte), un pò troppo dozzinale e semplicistica, anziché gettare il cuore oltre l'ostacolo della matoivaizone realizzare una sorta di "Gli uccelli" di serie B.

L'effetto finale è un poco claudicante, ma efficace. Non c'è mai tensione vera e propria (anche se quel lamantino un pò di inquietudine la dà), ma la costruzione di un ambiente sottilmente ostile che si unisce al disprezzo solo parzialmente nascosto da parte della coppia. I due personaggi, di fatto, si trovano isolati in un habitat che li respinge in compagnia del loro peggior nemico. Il finale è, in questo senso, adatto e perfetto.

Claudicante per quella mancanza di tensione che si diceva oltre che da una scrittura che ha molte idee, ma una certa ripetitività nel mostrarle. La tecnica è base, adeguata per ottenere la sufficienza, ma forse sarebbe stato necessario qualcosa di più.

Complessivamente una bella scoperta, senza eccessi. Ha giustamente meritato un remake piuttosto recente che spero non abbia svilito il tutto.

lunedì 16 novembre 2020

The raid 2. Berandal - Gareth Evans (2014)

(Serbuan maut 2: Berandal)

Visto su Amazon prime.

Dopo il botto di "The raid" il gruppo di Gareth Evans pensa sia giusto sfruttare il nome per il film successivo e decide di riprendere in mano lo script su cui stava lavorando già prima del 2011 e lo manipola per farlo diventare il seguito diretto del suo capolavoro.
L'effetto di questa manipolazione è evidente. Questo nuovo film ha una trama che non può essere riassunta in una riga; il genere cambia e diventa un hard boiled con un occhio a quello asiatico anni '80-'90; ovviamente il potenziale di empatia non può che aumentare (a chi non apprezza l'hard boiled di Hong Kong non so proprio cosa dire)... però l'impatto devastante del primo tutto fatto di purissima azione, velocità e ritmo enorme dall'inizio alla fine viene perduto.
L'azione c'è e in molte situazioni la cura è altissima e porta a dei risultati da applausi (la mia scena preferita è sicuramente a lotta nel fango dell'inizio, piani sequenza, dettagli, idee di coreografia pazzesche e con picchi di violenza inaudita), ma si fa prendere la mano arrivando a un inseguimento in macchina perfetto e sfrutta a piene mani le location delle varie lotte con un uso drammatico che Hitchcock avrebbe apprezzato (le sedie, la piastre e addirittura la zuppa nel ristorante, la scena iniziale nel bagno, ecc..). La mano quindi c'è, non viene persa, ma è diluita.

La storia è sicuramente buona (infiltrato nella mala deve sgominare tutti, a rischio c'è la famiglia e c'è la polizia corrotta), ma si perde spessissimo, si ipertrofizza senza motivo con picchi di inutilità e i dialoghi non so proprio la punta di diamante del film.
Quello che ne viene fuori è un neo-noir ormai un poco datato (che talvolta  si perde nei suoi stessi meandri), con trovate visive prese e rimaneggiate da Refn (che si conferma il regista più seminale per l'action moderno) e con ottime scene d'azione. "The raid" rimane lassù, ad anni luce di distanza.

mercoledì 11 novembre 2020

Lola - Rainer Werner Fassbinder (1981)

 (Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


Il nuovo assessore all'urbanistica è un uomo integerrimo, dovrà vedersela con una città prostrata ai piedi degli intrallazzatori locali (su tutti il proprietario del bordello). Non avrà grossi problemi a farsi ben volere, ma quando incontrerà la favorita del night club ne rimarrà folgorato, se ne innamorerà e tutta la sua integrità verrà meno.

Il film è la chiusura dell'ideale trilogia BRD di Fassbinder, la trilogia sulle donne della Germania post bellica dopo "Maria Braun" e "Veronica Voss".

Più che collegato direttamente a quei drammi intensi, qui siamo sulla scia del Fassbinder più solare. 

Il film ha un andamento quasi gioioso che si poggia quasi interamente sul personaggio interpretato da Mario Adorf; faccendiere sfacciato e volgare, ma abile e amante della vita che più che scontrarsi cerca di portare tutti a vedere il mondo come lo vede lui.

Il film gira troppo intorno alla relazione amorosa e poco sui cambiamenti che causa. Si appoggia sulle dinamiche classiche (innamoramento, ritrosia, relazione, trauma, reazione, ecc...) in maniera estesa, inframezzandole con Adorf mattatore che fa quello che vuole, approfondisce bene il protagonista, ma non lo sfrutta a dovere nella seconda parte; il finale rivelatore su molti punti è l'apice del film, ma non ci si arriva con gradualità.

Ecco il finale è forse il punto più alto che trasforma questa cavalcata morale in un film estremamente nichilista, un'inversione a U impressionante, che si allinea perfettamente all'idea che Fassbinder ha sparpagliato nei film precedenti, ma che, almeno per me, arriva quasi a sorpresa in un film come questo e con una leggerezza e un'ingenuità magnifiche.

Un film tra i più godibili fra quelli del regista tedesco, un Adorf fra i migliori che abbia mai visto, ma nel complesso il film riesce solo a metà.

domenica 8 novembre 2020

Il Jokey della morte - Alfred Lind (1915)

 (Id.)

Visto su la Cineteca di Milano.

Un ricco nobile viene ucciso dal sovrintendente che si libera anche della figlia neonata dandola a dei circensi. Molti anni dopo un nipote del nobile torna e scopre la vicenda, cercherà la cugina perduta e per convincerla della realtà di tutta la vicenda... si farà assumere nel circo per fare una serie di funambolismi pericolosi. I due dovranno fuggire a lungo prima dell'inevitabile happy ending.

Film di riscatto e d'azione (si, ok, pure d'amore, ma rimane decisamente sullo sfondo) tutto indirizzato ad esaltare le scene dinamiche; la trama è tra il ridicolo e il cretino, ma è altrettanto evidente che l'intenzione era altro.

Tolto quindi il lungo preludio alla un pò meno lunga fuga (circa 20-25 minuti su quasi un'ora di film) quello a cui si assiste è una sorta di cortometraggio che fa sfoggio di abilità circensi in ogni contesto possibile: sui tetti, sui ponti, sulle navi, tra i treni, sulle biciclette, ecc... con picchi di fascinoso action d'antan (per me il passaggio dalla chiatta al ponte) e picchi di follia irreale che ad un action puro sono prontissimo a perdonare. Certo, qualche anno dopo Keaton farà molto di più, e poco più di un decennio dopo avremo il suo "The General" (bignami di stunt e sprezzo del pericolo tutt'ora valido), ma considerando la bontà del gesto (tutto figlio delle attrazioni classiche del circo), il luogo (l'Italia nn è terra di grandi film d'azione) e l'anticipo sui tempo, questo è decisamente un grande film.

Come si diceva la sceneggiatura invece è imbarazzante e lo è fin dai primi minuti, viene giustificata dal lungo finale, ma non si può perdonare tanta pigrizia.

Magnifico invece il costume del protagonista che dona una nota di dramma cinematograficamente vincente.

PS: questo è il primo film italiano del danese Lind, emigrante della regia (lavorò anche in Germania) che qui interpreta anche l'agile protagonista.

mercoledì 4 novembre 2020

La legge della tromba - Augusto Tretti (1962)

 (Id.)

Visto sul sito della Cineteca di Milano.

per la trama qui.

Collaboratore di Fellini, Tretti tentò la via indipendente con questa sua opera prima. Data la particolarità dell'intreccio e della realizzazione i finanziatori si tirarono indietro (come descritto nel prologo da Maria Boto), venne quindi finanziato personalmente dal regista (e dalla stessa Boto, motivo per cui venne realizzato la sequenza della Boto film che imita la MGM) in un progetto very low budget. Una volta realizzato in maniera piuttosto fortunosa non trovò mai un distributore e divenne irreperibile per anni (anche in tempi recenti post internet). Ora viene riproposto sia dalla Cineteca di Milano sia su Youtube.

Il film è una lunga satira sul potere che tromba i meno abbienti e di come tutti siano equamente invischiati in un allegro gioco al massacro reciproco (tutti compiono qualche infamia, dagli amici che pugnalano alle spalle, alla morosa che punta ai soldi); tematiche che saranno riprese anche nei due lavori successivi.

Il film è ingenuo e didascalico (e soffre tantissimo della mancanza di fondi in ogni settore), ma vince per una regia ottima e folle; folle della follia dei bambini con idee di messa in scena che sono giochi fumettistici (la Boto che fa 4 parti, uno dei coprotagonisti quasi mai inquadrato in volto perché troppo alto per stare nell'inquadratura, i numeri dei carcerati, ecc..). Ma come si diceva è una regia ottima, ma folle, ottima per la sicurezza nella composizione delle scene (con molti personaggi incastrati nella stessa inquadratura) che va dal dinamismo caotico della fuga alla perfezione ortogonale nelle precedenti scene della prigione.

Su tutto però l'effetto maggiormente straniante è il sonoro. Il film venne registrato muto e ridoppiato dagli attori con la sonorizzazione solo dei rumori che Tretti riteneva utili e spesso realizzati con effetti sonori cartooneschi e dozzinali.

Nell'insieme è un film semplice da guardare, stranissimo e non completamente soddisfacente, che darebbe voglia di vedere altro dell'autore per capire se c'è sostanza o solo ideette. Tretti realizzò solo altri 2 film ed entrambi azzoppati da problemi di budget e cast tecnico, il giudizio, pertanto, non può che essere parziale.

lunedì 2 novembre 2020

Viaggio all'inferno - Fax Bahr, George Hickenlooper, Eleanor Coppola (1991)

(Heart of darkness: a filmmaker's apocalypse)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Durante le riprese di "Apocalypse now" la moglie di Coppola gira il back stage (su indicazione del marito) e registra alcune loro conversazioni su nastro. Da quel materiale origina questo documentario, unitamente a interviste ai diretti interessati e qualche immagine di repertorio. Quello che viene fuori è la descrizione (edulcorata) di uno dei più fortunati fallimenti della storia del cinema.
Viene quindi impresso su pellicola tutte le voci che circondarono il film; i set distrutti dal tifone, gli elicotteri offerti dallo stato filippino che venivano improvvisamente portati via (anche in mezzo alle riprese) per combattere i comunisti da qualche parte, l'attacco di cuore di Martin Sheen, la sceneggiatura improvvisata, il cambio in corsa del protagonista (Keitel verrà fatto fuori dopo un paio di settimane di riprese), parzialmente le sostanze d'abuso e le uccisioni rituali di galline, maiali, ma soprattutto del bufalo.
Personalmente mi ha colpito particolarmente le riprese dell'incipit con uno Sheen fatto come un cotechino, sanguinante e sproloquiante; così come le scene con Brando e Coppola che gira in torno non sapendo cosa fargli fare oltre ai dialoghi con Hopper che, fuori scena, è peggio di Sheen della scena ricordata poco fa.
Anche se forse i documenti migliori sono gli sfoghi, solo audio, di Coppola che preconizza il fallimento e che si chiede perché siano tutti così accomodanti, il film sarà orribile, lui fallirà personalmente, ma tutti i presenti sembrano possibilisti.

Un pò accomodante, taglia molto la parte sulle droghe, che pure vengono nominate, ma glissando (sembra essere noto ad esempio che l'arrivo di Hopper però rappresentò l'arrivo di droga fresca per tutti che portò nuovi disagi aggiuntivi alla produzione); rimane un documentario interessante sul fallimento più di successo di sempre, con dietro le quinte fantastici e che rende giustizia a Coppola che ne esce, più che come visionario, come un santo per aver dovuto sopportare tutto quello e tutte quelle persone (leggasi, come sempre, Hopper e Brando).