Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.
Švankmajer è il genio anni 60-80 della
stop motion. Un creativo i cui cortometraggi hanno il passo dei cartoni
animati, ma la profondità di opere filosofiche (non a caso sono spesso mostrati
nei musei d’arte contemporanea). Qui si cimenta per la prima volta in
un lungometraggio. E come se non bastasse è un film in live action, anzi un mix
fra riprese reali e stop motion classica.
La storia è quella di Alice nel paesedelle meraviglie mostrata in maniera pedissequa rispetto al libro anche con
parti che solitamente non vengono tenute negli adattamenti per bambini (si
pensi al bambino/maiale che piange). Il tutto però declinato alla maniera di Švankmajer.
Il mondo onirico di Alice si colora del
grigiore della vita d’oggi (beh di allora), in luoghi chiusi che mimano gli
esterni (l’unico esterno vero e proprio è il prato iniziale che però inizia da
una camera di casa), in palazzi degradati dove una serie di personaggi buffi ed
inquietanti nello stesso tempo (gli animali chiamati dal coniglio per entrare
in casa sono l’esempio più estremo) si muovono con fretta e furia, seppure
senza mai uno scopo.
Ovviamente in mezzo a questo grigiore
artificiale il genio di Švankmajer coglie una serie di idee fenomenali, il
brucaliffo interpretato da un calzino con dentiera (ma tutta la scena con i
calzini nel pavimento l’ho trovata bellissima); il cambio di dimensioni di
Alice che è mostrato con alice sempre delle stesse dimensioni, ma con gli
oggetti intorno che si rimpiccioliscono o ingrandiscono di volta in volta; il
passaggio nel mondo del sogno entrando in un cassetto pieno di squadre e
righelli (le gambe di Alice che spuntano dal cassetto del tavolino in mezzo al
prato sono un’immagine che vale un film); personaggi viventi per lo più
interpretati da oggetti inanimati rianimati (gli animali che sono scheletri
ricomposti, il bianconiglio che è un coniglio impagliato che perde segatura, il
già citato brucaliffo, le carte della regina di cuori che…beh sono delle carte
da gioco) aumentando il senso di artificiale e l’effetto di straniamento. Tutte
queste idee e l’atmosfera generale voluta dal regista danno un senso di
inquietudine (così come Alice che parla anche per gli altri personaggi, che
risultano quindi essere muti, così come sono muti gli oggetti) che le opere
tratte dallo stesso libro non riescono mai a dare, un senso di oppressione e di
sogno/incubo dove Alice sembra, tutto sommato trovarsi a suo agio, veramente
nuovo (in fondo l’idea c’era anche nel classico Disney, ma un eccesso in quel
senso avrebbe disturbato il pubblico infantile). A questo collabora anche il
comparto sonoro, unico contrappunto uditivo se si escludono i brevi dialoghi
interpretati da Alice; non c’è musica, solo i rumori più importanti che vengono
amplificati fino a diventare l'unico suono esistente.
Il limiti di questo film, che è la noia
e la lentezza, derivano tutti dall'idea di seguire in maniera ossessiva l’opera
originale, che al cinema rende solo per le immagini e non certo per la trama
senza senso.
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