(The salt of the Earth)
Visto al cinema.
Wenders percorre la vita di Salgado, dalla giovinezza in Brasile alla fuga a Parigi, la scoperta della fotografia fino all'ultima mostra, passando per l'impegno ecologista nel rimboschimento della sua terra natale.
Tutto questo viene fatto con pochissime immagini di repertorio, diversi filmati girati dallo stesso Wenders (o per lui dal figlio del fotografo) e con tantissime foto.
Diciamolo subito, il film è un film parlato; un pò perché è un documentario su una persona (per altro ancora viva) e quindi è ovvio che il protagonista sia invitato a spiegare il suo lavoro, localizzare nel tempo e nello spazio le sue foto; ma in parte perché le immagini sono la poesia e le parole la prosa. Secondo me Wenders vince proprio perché riesce a unire le immagini statiche (che follia voler girare un documentario su un fotografo per proiettarlo in un cinema; contemporaneamente figlio e nemesi della fotografia stessa) al volto invecchiato dell'autore e alle sue parole. Le immagini mostrano un concetto, un sentimento, un moto dell'animo, mentre le parole descrivono il contesto e spiegano ciò che forse non si coglierebbe del tutto.
Wenders sceglie, saggiamente, di farsi rapidamente da parte (credo che avrebbe addirittura fatto meglio a non inserirsi direttamente nel film, come invece fa all'inizio) per lasciare spazio alle immagini; quando però decide di riprendere il suo protagonista lo fa con una cura maniacale; dovendo rapportarsi con delle foto magnifiche decide fin da subito di porsi al loro livello; spesso usa il bianco e nero, lavora enormemente sulle luci e (quando può) sulla composizione dell'inquadratura, eseguendo alcuni degli shot esteticamente più appaganti della sua carriera, pur essendo solo immagini di raccordo.
Poi ovviamente ci sono l'impegno civile e umanitario di Salgado, un autore che si è ritrovato in mezzo ai peggiori massacri degli anni '90 e li ha mostrati senza censure, ma si è anche rapportato con civiltà distanti e antiche entrandone in contatto diretto e, infine, si è scontrato con la potenza della natura documentandola in maniera maniacale. Tutto questo suo percorso umano è raccontato magnificamente in turbine di emozioni esposte, ma esposte in maniera talmente empatica che non si può non provare tutto ciò che Salgado racconta.
Infine ci sono le foto. Per chi già apprezza Salgado niente di nuovo; ma per chi, come me, lo conosce poco o nulla sono una vera epifania; alcune delle immagini più belle mai impresse su pellicola, dalla brutalità della morte nel Sahel alla zampa di un'iguana, dal fuoco che si sprigiona da un pozzo di petrolio incendiato ai ritratti di etnie andine fino alla banalità di due pappagalli in volo, tutto è magnificato da una capacità incredibile di giocare con la luce e la messa a fuoco, con un bianco e nero che da spessore e densità a ogni scena.
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