(Id.)
Visto in DVD.
Il documentario si muove attraverso i racconti di alcuni richiedenti asilo a Roma. Attraverso i loro racconti viene delineato il loro arrivo in Italia concentrandosi sul buco nero rappresentato dalla Libia. Quel pezzo del viaggio spesso negletto, la compravendita di persone tra trafficanti e forze dell'ordine libiche, lo stazionamento in carceri nel deserto, le privazioni e le violenze.
Il documentario ha un doppio pregio; racconta un sistema sconosciuto ai più (e alle responsabilità più o meno dirette di Italia e UE) e lo fa senza troppi pietismo (vengono raccontate alcune violenze, ma sempre senza voler calcare la mano sull'orrore per rendere la materia più empatica).
Altra nota interessante è la presenza, come coregista e come soggetto centrale del documentario (è la voce narrante, ma anche l'intervistatore, ma anche personaggio della vicenda), dell'etiope Yimer, richiedente asilo approdato alla regia, già conosciuto (per me) per un cortometraggio sulla strage di Lampedusa (anche se è successivo a questo film, sua opera prima).
I lati negativi sono essenzialmente due. Lo scarso interesse per le immagini mostrate che lo rendono un discreto prodotto televisivo, ma un pessimo prodotto cinematografico (nell'epoca post-Moore, ma anche prima onestamente, non è più accettabile che un documentario cinematografico viva solo di contenuto); l'altro dettaglio negativo è il fatto che le vicende storiche hanno superato il documentario, se il suo pregio era mostrare una vicenda enorme e sconosciuta, guardandolo c'è da chiedersi quanto ci sia di ancora attuale dopo la caduta del regime libico; un dettaglio solitamente secondario, ma per un documentario che punta tutto sullo svelare un lato oscuro ignorato, questo dettaglio è determinante.
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