(The big short)
Visto su Netflix.
La crisi del 2008 è stata causata dall'inadeguatezza del sistema finanziario di capire quanto male stava facendo (oltre che dal disinteresse) era prevenibile e prevedibile. Alcune (poche) persone l'hanno prevista... e ci hanno guadagnato. Questa è la storia di 3 gruppo indipendenti e di come hanno gestito la possibilità su una crisi in un settore che non poteva andare in crisi.
Nel suo primo film senza Ferrell, Adam McKay si butta sulla commedia impegnata, parla di alta finanza e di crisi dei mutui e lo fa con piglio moralista ed educativo prendendo a mani basse dai predecessori.
La grande scommessa è, infatti, un furto continuo a "The wolf of Wall Street" e, in parte, a Michael Moore.
Moore è presente soprattutto all'inizio e nella descrizione di quello che sarebbe dovuto succedere; immagini di repertorio ben utilizzate e molto ritmate, la voce fuori campo, uso enfatico dello schermo nero e molto, molto ricatto emotivo.
Scorsese è invece ovunque. Dalla fotografia, all'uso della musica, dal montaggio alla visione morale della finanza come covo di malvagità che, pertanto, deve essere punita fino alla rottura della quarta parete.
L'effetto finale lungi dall'essere solo un compitino è un ottimo prodotto, un film su un argomento ostico (uno dei meno interessanti di sempre, almeno per me) trattato con la giusta leggerezza e un ritmo invidiabile che punta tutto sullo stupore dei suoi personaggi per quello che scoprono e non tanto sui meccanismi reali che vi hanno portato; un film che funziona.
Ottima prova d'attori che in qualche caso (per esempio tutto Bale) avrebbero dovuto essere trattenuti un poco.
Unico vero e proprio neo le sequenze con personaggi famosi (Robbie, Bourdain, Gomez) che spiegano concetti difficili al pubblico; momenti piuttosto pretestuosi che al di là della simpatia iniziale sembrano una versione moderna e fighetta di Troy McClure.
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