(L'enfant)
Visto in Dvx.
Una ragazza appena uscita dall'ospedale dove ha partorito torna ad abitare con il giocane compagno. Lei lavora, lui se la cava con espedienti illegali; uno di questi lo porta ad aver bisogno di soldi. Essendo sostanzialmente uno stupido decide di vendere il bambino. La reazione della compagna e la denuncia che ne consegue lo spingeranno a recuperarlo, ma ora dovrà trovare molti più soldi per pagare anche il debito con i trafficanti di minori.
Arrivato al loro terzo film (è il quarto lungometraggio realizzato, ma il terzo che vedo dei due registi), lo stile dei fratelli Dardenne è chiaro e chiaramente immodificato, macchina da presa a mano, mossa all'inseguimento del personaggio principale che riempie quasi ogni scena; vite ai margini che vengono esaltate dall'occhio del regista anche nelle cose più minute, molti dialoghi, ancora maggiori i silenzi. Quello che rimane inoltre è la capacità di fare film emotivi ed empatici senza mai essere stucchevoli e azzeccando ogni dettaglio.
Quello che cambia in questo film è la prospettiva. Per la prima volta il protagonista è anche il personaggio negativo della vicenda. Come sempre la parte negativa dei film dei Dardenne è più la società o la vita, i personaggi che si comportano male stanno solo cercando di sopravvivere, ma qui c'è il male perpetrato dal personaggio principale e riesce comunque a permanere l'empatia nei suoi confronti.
Ovviamente la storia è una parabola di colpa e redenzione e, andando oltre, anche un romanzo di formazione dove i due protagonisti sono una coppia adolescenziale dove l'uomo è mentalmente un bambino (il titolo originale infatti sembra indicare sia il neonato, sia il padre) che compie sciocchezze per stupidità e che dovrà divenire adulto alla svelta e prendersi le proprie responsabilità.
Nonostante sia inferiore ai due precedenti, rimane la scia positiva della coppia di registi.
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