Visto in Dvx.
Per l'ennesima volta De la Iglesia torna sul seminato e ci mostra una situazione paradossale in cui il marcio si nasconde in chiunque, qui (come in quasi tutti i film dle regista) l'inferno non sono gli altri: tutti siamo l'inferno. Mette in scena una situazione grottesca in cui il protagonista è sferzato dal destino e sfruttatyo da ogni persona presente decide di sfruttare lui stesso in un gioco al ricatto reciproco che non potrà finire per il meglio. Di contorno, De la Iglesia, monta la vicenda con contrapposizioni e assonanze, il luogo della cultura (il museo), svilito dalla mercificazione della tragedia, l'arena romana che ospita un ultimo spettacolo di sangue. Tutto questo riesce a dare vita alla versione più cinica possibile del già oscuro "L'asso nella manica".
A fronte di tanti sentimenti negativi risulta addirittura fuori posto il colpo di coda finale che rende positivo (o meglio, conferma come positivo) un solo personaggio; questo momento di rettitudine morale non splende, anzi risulta addirittura forzato.
A livello tecnico De la Iglesia se la spassa a giocare con la sua unità di luogo che gli permette virtuosismi tecnici anche in assenza delle scene d'azione a lui così congeniali; il tema, però gli permette qualche picco, anche intellettuale (come non pensare a Satyajiat Ray nella scena attorno alla tenda da campo?!).
A fronte, quindi, di un film decisamente più statico e drammatico del solito, il regista spagnolo può però farsi forza di una sceneggiatura meno claudicante e di un finale che (seppure non completamente in linea) regge il confronto col resto del film dando un'opera più coesa con meno crolli. Un ottimo De la Iglesia.
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