venerdì 17 settembre 2010

L'invitto - Satyajit Ray (1956)

(Aparajito)

Visto in VHS, in lingua originale sottotitolato.

Seguito de "Il lamento sul sentiero" e secondo capitolo della trilogia di Apu...
Il film parte dove il precedente si era interrotto, la famiglia, a seguito della morte della primogenita, si trasferisce a Benares, dove, dopo varie vicissitudine, muore anche il padre; madre e figlio (l'Apu protagonista della trilogia) si trasferiscono nel Bengala dove il giovane Apu acquisisce la passione per lo studio, che lo porterà, da ragazzo, ad andare a Calcutta (??? oddio non ricordo più se è Calcutta... beh in una città grossa) dove si manterrà con un lavoro in tipografia e assottiglierà sempre di più i rapporti con la madre fino alla morte sua morte.
Un film di sentimenti enormi, dell'affetto della madre per un figlio e degli egoismi fisiologici, della madre che vorrebbe il figlio sempre vicino ase, e del figlio che invece per realizzare la propria vita abbandona la madre nella solitudine senza neppure salutarla un'ultima volta prima della morte.
Il film è assolutamente naturalistico; per come guarda la quotidianità partendo dal basso di una famiglia senza molti mezzi e per come non fa sconti sugli accadimenti ricorda molto il neorealismo italiano, con un'attenzione particolare per la costruzione delle inquadrature (che credo sia il marchio di fabbrica di Ray).
Due le scene da sottolineare. Una l'avvicinamento ad un lume acceso fino al dettaglio sulla fiamma realizzato con 3 carrelli in avvicinamento legati insieme da 2 stacchi di montaggio, un sistema ovviamente legato a limiti tecnici che però crea un buon effetto. Il secondo il movimento di macchina che segue Apu quando torna alla casa della madre e non la trova, dapprima lo segue spiandolo dalla porta aperta, poi si muove in una carrellata laterale su un muro per giungere all'uscita laterale da cui passerà Apu, e quindi lo segue nuovamente.
Leone d'oro a Venezia... e per l'epoca, credo sia notevole.

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