venerdì 1 novembre 2019

Non aprite quella porta - Tobe Hooper (1974)

(The Texas chain saw massacre)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici va a in gita nelle profonde campagne texane; il motivo che li spinge è poco attraente: una serie di profanazioni nel cimitero locale spingono due del gruppo a cercare la tomba e la casa del nonno per vedere se sono stati coinvolti. Finiranno tutti nelle mani della peggior famiglia di redneck dedita al cannibalismo.

La storia è nota e il dietro le quinte produttivo pure (un film amatoriale realizzato con studenti e colleghi del professor Hooper) per questo che non si può candidare come il primo slasher della storia per essere stato superato dalla mosca bianca Gordon Lewis, ma si propone come il primo horror extraurbano (quelli di gruppi di persone che si perdono e vengono massacrati da maniaci). Risulta anche essere il primo della new wave horrorifica degli anni '70 che portò uno svecchiamento incredibile nel genere (incancrenito sui film d'atmosfera iniziati negli anni '30 e codificati nei '50) e che fece da base per l'horror come lo conosciamo ancora oggi. Hooper però è lontano anni luce dalla patinata perfezione formale di "Halloween" o dal puritanesimo di fondo di "Venerdì 13"; si trova più vicino al gusto del primo Wes Craven, seppur in anticipo sul collega.

La visione horrorifica di Hooper è piuttosto chiara e semplice; l'orrore deve essere immediato e senza tanti fronzoli: atmosfera creata con immagini che lasciano poco all'immaginazione (cadaveri in decomposizione, ossa, sangue, ecc..), niente abbellimenti cinematografici (anche se la fotografia non modificata o l'assenza di musiche sono motivate pure dal progetto amatoriale) e la violenza che esplode improvvisa, rapida e feroce. il film si concede una fuga e un inseguimento solo con l'ultima vittima, nel resto del film faccia di cuoio salterà fuori ucciderà e tornerà dietro la porta senza attendere o permettere il minimo di suspense; è l'orrore puro, non un film di Hitchcock.

La regia è interessante e mostra che dietro la macchina da presa non c'è un semplice esordiente, ma a vincere è la visione d'insieme, il tocco quasi documentaristico (termine esagerato, me ne rendo conto), la verosimiglianza come unico metro.

Il film comunque mostra tutti i difetti dell'opera artigianale, sia dal punto di vista visivo, sia in quello del ritmo, con un dilungarsi della cena finale che annoia più che aumentarne l'effetto. Ci si trova comunque davanti a un film basilare che diverrà archetipico, un classico che farà scuola.

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