giovedì 24 settembre 2020

Michael - Markus Schleinzer, Kathrin Resetarits (2011)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un uomo piuttosto grigio vive da solo, isolato da tutti gli affetti; ma in compenso tiene prigioniero in uno scantinato un  bambino di 10 anni come schiavo sessuale.
Incredibile quanto siano evidenti le fonti di ispirazione di questo film, da una parte la cronaca austriaca del recente passato, dall'altra il cinema di Haneke.
Un giorno qualcuno dovrà denunciare il fatto che Haneke si sia fagocitato il cinema austriaco (almeno quello di genere che esce dai confini nazionali) appiattendolo sul suo linguaggio anche quando non si è in grado di gestirlo. Se Seidl tutto sommato si è affrancato con una certa personalità, è evidente la presenza hanekiana in "Lourdes" e, meno grezza, in "Goodnight mommy". Tra questo film ci si può infilare anche quest'opera di Schleinzer.
Fra tutti Schleinzer è quello che ha più diritti su Hankee avendo collaborato con lui per anni, ma qui non si fa mancare molto. Una situazione verosimile, ma estrema per contenuti, un ritmo rallentato, pochi dialoghi, una regia (e dei personaggi) gelidi, l'inizio della storia in media res, ecc..
Schleinzer costruisce il suo film sul distacco e l'accanimento sui personaggi, ma lo fa in maniera meccanica. Ha un'idea (quella della trama e della volontà di come mostrarla), ma poi si attacca a stilemi senza riuscire a gestirli del tutto. Se il gelo di Haneke funziona è grazie all'umanità dei suoi personaggi, per lo più tartassati da un'entità incombente (e spesso non chiara), ma sempre ricchi di emozioni.
Qui invece il gelo è ovunque e l'incombente non c'è; quindi l'empatia finisce subito e il film prosegue lento verso un finale aperto (ma indubbiamente positivo).

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