venerdì 1 dicembre 2017

The square - Ruben Östlund (2017)

(Id.)

Visto al cinema.

Il curatore del museo di arte moderna e contemporanea di Stoccolma viene derubato di portafoglio e cellulare. Per cercare di ritornarne in possesso manderà lettere minatorie in un intero palazzo riottenendo la refurtiva, ma scatenando le ire di un ragazzino; nel frattempo riuscirà a prestare meno attenzione alla famiglia (le figlie) e al lavoro (la disastrosa campagna pubblicitaria per la personale di un'artista argentina).

Non conosco il cinema di Östlund, quindi definire una linea generale al di là dell'opera appena uscita è impossibile; ma in questo film ho ritrovato diversi punti di contatto con il cinema del connazionale Andersson: la stessa cura maniacale dell'immagine con una fotografia nitidissima, lo stesso gusto per il paradosso, un umorismo fatto di situazioni (le cose che succedono nel modo in cui succedono sono divertenti, nonostante non ci siano battutte o gag slapstick) e una ricerca del corpo e del viso degli attori per trasmettere il mood del film (in Andersson è lil gusto per il freak, qui invece c'è una bellezza ostentata nell'upper class e una malagrazia diffusa fra gli abitanti di serie B di Stoccolma).
Le congiunture però si chiudono qui e iniziano i punto autonomi.
Östlund cerca la critica sociale attraverso il paradosso e l'ironia grottesca; un divertimento nel mettere in situazioni fastidiose (alcune che infastidiscono il pubblico stesso) i suoi personaggi (escludendo chi viene attaccato, anche accidentalmente, dai protagonisti) che cerchino di svelare l'assurdo e l'ipocrisia non tanto della singola persona, quanto del sistema di accettazione delle convenzioni (non a caso l'intero film viene ambientato nel mondo dell'arte contemporanea che, come detto nell'intervista iniziale, è di fatto una serie di convenzioni silenziosamente accettate).

Una costruzione perfetta, tirata a lucido con una classe incredibile (alcune soluzioni dinamiche della macchina da presa sono da applausi) e alcune sequenze che rasentano il genio (l'happening artistico in cui durante la cena raffinata un uomo si finge un gorilla con esplosioni di bestialità da ambo le parti) dovrebbero supportare una critica sociale ampissima (l'arte contemporanea, l'upper class, il marketing, l'osssessione dle politicamente corretto, la libertà d'espressione, ecc...); ovviamente l'intento non funziona completamente e il film sembra aver girato a vuoto in più di un momento. Con meno tracotanza e un minutaggio più contenuto avrebbe potuto essere un cult scintillante.

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