Visto su Netflix.
Film horror a episodi legati da sequenze in stop motion; raccoglie il lavoro di 5 registe donne (una per ognuno dei 4 episodi più una per le scene di raccordo).
Il lavoro risulta nel complesso molto altalenante (cosa sempre presente nei film a episodi, ma non ha la continuità né nell'estetica né nel mood dei film italiani anni '60 e '70) che va giudicato pezzo a pezzo.
The Box di Jovanka Vuckovic. Un segmento degno di "Twilight zone" per impianto narrativo (un bambino guarda nella scatola di uno sconosciuto in treno reagirà in maniera imprevedibile), presenza del perturbante basato in parte sul sovrannaturale, ma molto sulle reazioni delle persone, ma soprattutto per il sottile intento moraleggiante (in questo caso anti-capitalistico; che a onor del vero è molto strisciante e poco fastidioso). Il mood però è tutt'altro, più dalle parte di un film di Kelly.
Ben condotto, esteticamente inappuntabile, manca molto in grip. Alla fine dell'episodio si ha l'impressione che sia un vuoto esercizio di stile, un'idea interessante senza una trama attorno (il rischio insito nel lateral thinking di "Twilight zone"). Bene, ma attendiamo sulla prova lunga.
The birthday party di St. Vincent, AKA Annie Clark. Opera prima di una musicista è una commedia nera (nerissima, ma senza splatter) sui preparativi di una festa di compleanno per bambini che finiscono male (per una morte improvvisa). Scelta coraggiosa (la commedia nera), godibile e scorrevole, ma obiettivamente poca cosa. Non c'è mai tensione né un divertimento scrosciante. Aiutata dal minutaggio breve la storia intrattiene senza annoiare, ma se fosse dovuta durare più a lungo avrebbe rischiato di far soffrire parecchio.
Don't fall! di Roxanne Benjamin. Qui si gioca sul sicuro, con i soliti quattro amici in mezzo al niente che verranno massacrati (in questo caso da un demone random). Niente di originale, ma un grande classico con regole ben codificate. Nello sviluppo vince qualche inquadratura dal basso del finale e riesce anche un momento di tensione. Il film però ha pochissimo tempo per svilupparsi e la tensione non può essere obbligata in pochi secondi, merita di più per potersi sviluppare. Carino.
la Benjamin è quella di maggior esperienza alla regia (dopo la Kusama), ma non posso negare di non conoscere ancora nient'altro di suo.
Her only living son di Karyn Kusama. Il migliore fra i corti. Un'idea di base interessante (si comincia con problemi di relazione fra una madre sola in un paese nuovo e il figlio quasi 18enne che vorrebbe fuggire/incontrare il padre; ma poi verrà fuori ben altro) che meriterebbe un nfilm suo, ma che sa essere adeguatamente sviluppata anche nel corto. Pochissime ingenuità (che purtroppo ci sono) e un'ottima capacità di conduzione del gioco fino a uno showdown finale che, per mancanz adi soldi, non può far succedere molto, ma riesce comunque efficacissimo come conclusione perfetta per il mood impostato fin dall'inizio.
Qui però devo fare le mie scuse. Kusama non la conosco ancora come regista per pigrizia, sono mesi (o più) che ho a disposizione, almeno "The invitation" e "Jennifer's body"... ma ancora non ho trovato l'abbrivio. Dovrò riparare.
Sofia Carrillo, si occupa delle scene di raccordo in slow motion in una casa fatiscente con oggetti animati. Un mood oscuro e torbido pur senza efferatezze sulla scia dei Fratelli Quay. Sono un giannizzero di questo tipo d'animazione, ma il materiale è troppo poco per poter giudicare.
Nessun commento:
Posta un commento