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Frears costruisce un film sontuoso, esteticamente perfetto tutto improntato nel seguire gli attori, con una continua sequenza di primissimi o primi piani, alcune figure intere quando necessario e rari campi lunghi. Il regista capisce che il fulcro di tutto sono i personaggi ed il modo in cui sono resi e si attacca ai volti e agli sguardi senza mai perderli.
L’idea non è nuova, ma ben fatta
ed il film ne giova tantissimo. In realtà il gioco è delicato, basta un piccolo
errore di casting e tutto è perduto; invece il cast è tutto all’altezza dai
comprimari a i due grandiosi protagonisti.
E qui si arriva al centro del
film John Malkovich e Glenn Close. Malkovich recita come sempre, gigioneggiando
nella parte dello strabico libertino dalla morale propria alla Wilde intriso di
zolfo; ma è tenuto a bada da una regia che sa quello che vuole ottenere, creando
una spalla perfetta per Glenn Close…
Poi c’è lei, l’attrice più brutta
che il cinema abbia mai partorito, ma anche una delle più brave, qui regala la
sua Cappella Sistina. Un personaggio pessimo tutto giocato sull’ambivalenza,
sull’ipocrisia e sulla menzogna che parla in maniera impeccabile con le parole,
ma comunica tutto con gli sguardi obliqui, i ghigni di gioia ed i pochi gesti
stizziti. Tutto è giocato al limite della credibilità, basterebbe un nulla per
andare fuori dalle righe e nel manieristico, ma la Close non sbaglia nulla, e
crea un personaggio vero, trasmesso in maniera totale e con una capacità tale
da riuscire ad essere affascinante… tremo a dirlo, ma Glenn Close non è mai
stata così bella come in questo film, ha il fascino del male.
Un film strepitoso, da vedere
assolutamente.
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