(Id.)
Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.
A Diop viene chiesto di girare un cortometraggio durante il lockdown; è evidente la scarsità di idee, ma alla fine mette insieme le registrazioni audio della nonna morta da poco (per lo più in preda all'ansia dell'età avanzata, delle persone che non ci sono più, il senso di solitudine e di abbandono, ecc...) e le unisce alle riprese dal suo appartamento di una Parigi periferica e vuota con riempitivi fatti personalmente da abiti indossati (c'è un motivo) a inquadrature della sceneggiatura (per poter portare avanti sequenze non realizzabili, come l'arrivo di un corriere).
L'effetto finale è il tipico corto su commissione, un'idea pallida per lo più autoriferita che riempia il vuoto. Noiosetto, ma sopportabile. Quello che però viene fuori prepotentemente, è la capacità delle Diop di inquafrare (e fotografare) anche il dettaglio più comune in maniera gustosa: degli abiti appesi, dei palazzi, l'interno di casa vuoto (quasi mai si vedono esseri umani), tutto è bellissimo, sfruttando le diverse luci del giorno vengono fuori impressioni diverse dello stesso scorcio (usualmente banale). Non salva il cortometraggio, ma sottolinea le capacità della regista.
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