(Id.)
Visto al cinema.
Siamo davanti al solito Moore. Un film schieratissimo, schietto, esagerato, con una ricercatezza nelle immagini d'archivio sempre ai massimi livelli e, ovviamente, di parte senza alcuna speranza. Le colpe le hanno sempre gli stessi, i buoni sono sempre gli stessi, niente grigio, solo estremizzazioni. Per quanto sia tutto sfalsato dalla fede del regista, il film avverte di fatti reali, più o meno romanzati, che fanno rabbrividire; Moore mescola con la classica maestria ironia e dramma, immagini di repertorio ed interviste personali...si insomma, l'inventore del repotage post-moderno fa un altro reportage post-moderno. Stavolta, forse più che non nei precedenti, ci da dentro con le musiche, e soprattutto usa la retorica in maniera decisamente maggiore, ma la usa con maestria (che piccolo capolavoro di demagogia è la frase "Io non voglio vivere in un paese così. E non ho intenzione di andarmene"!). Quantomeno si può dire che nessuno guadando un film di Moore può rimanere impassibile, si esce sempre incazzati.
Però ormai sono lontani gli anni di "Bowling a Columbine", Moore anche stavolta butta tanta carne al fuoco, anzi troppa, non tutto è facile da seguire e molte parti del documentario sono unite con voli pindarici associativi più che logici e quello che ne viene fuori è un lavoro poco chiaro che punta solo ai sentimenti (e non, come fa di solito, soprattutto ai sentimenti). Forse addirittura il suo film peggiore.
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