(The hunger games)
Visto in Dvx.
In un futuro distopico, ogni anno, il governo estrae a caso due coppie per ogni distretto per farle scontrare in gioco mortale dove solo uno uscirà vincitore. Attorno al massacro di giovani gira un mondo di marketing, media, moda e politica.
La versione edulcorata di "Battle Royale" fatta dagli americani non può, prima di vederla, che suscitare due reazioni; piacere che anche il cinema mainstream USA si avvici a temi differenti, gelido distacco per la consapevolezza che stanno per rovinare qualcosa di bello.
Una volta visto il film, invece, ci si rende conto che, stavolta, hanno vinto loro. Il tema (grazie alla serie di libri originale) è trattato sempre con il piglio per young adult che anche il manga utilizzava, ma con un intento decisamente più adulto.
Se in tutti e due ci si trova di fronte alla metaforona delle frustrazioni adolescenziali, masticate da un una società gerontocratiche che impone le proprie scelte tarpando le ali; nell'opera giapponese, il tutto si risolve in un ghiotto bagno di sangue, qui, invece, nella più classica volontà di sopravvivenza in un mondo in cui cane mangia cane (e più avanti nella serie nel più classico tentativo di rivolta giovanile).
Sembra una sciocchezza, ma il tema, anche se scontato, è decisamente più interessante e il film riesce a trattatarlo in maniera impeccabile.
C'è un lungo prologo dove viene spiegato tutto il meccanismo che sta alle spalle della sfida che è, forse, la più intelligente delle invettive da teenager contro un mondo corrotto fatto di apparenze; dopo l'inizio dei giochi, invece, si passa a una rilettura dei rapporti di forza tra regazzini, dove i bulli massacrano i perdenti e gli outsider provano a sopravvivere da soli sfruttando le loro capacità.
Certo, siamo davanti a un prodotto molto commerciale, ma trattato in maniera estremamente intelligenti.
A questo si affianca una regia che nella prima parte cerca un realismo a colori spenti che ha dell'incredibile (incredibile per il format, i film ad alto budget tendono sempre a colpire per l'uso dei colori e la fotografia satura) che culmina in alcune scene con macchina da presa a mano che rasentano lo shoa movie (durante la scelta del tributo nel distretto 12). La messa in scena però non si accontenta del taglio gelido della provincia, ma realizza un mondo esteticamente differenziato e organico per la capitale che sembra una versione timburtiana tenuta a freno dalla consapevolezza che non deve sfociare in farsa.
A questo va aggiunto un cast enorme i nomi (con una capacità recitativa media tra le più alte di sempre nonostante ci sia pure uno degli Hemsworth tirare verso il basso) che culmina in una protagonista magnifica; la Lawrence riesce a mantenere uno sguardo rabbuiato per tutto il tempo trasmettendo tutta una serie di emozioni con il resto del viso e del corpo.
Quello che ne viene fuori è un film non perfetto, ma di intrattenimento intelligenti che si fa guardare senza stanchezza per tutte le sue due ore e mezza.
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