(Id.)
Visto al cinema.
La storia vera di un infiltrato nel KKK... nero. Iniziato tutto con una telefonata e mantenuto in piedi da un collega bianco (ebreo) negli incontri dal vivo durante i turbolenti anni '70. Il confronto con la comunità afroamericana in subbuglio (che odia la polizia), con la politica che cerca di dare un aspetto pulito al razzismo vecchio stampo e i rapporti con i colleghi alle prese con il primo nero tra la fila delle forze dell'ordine.
Spike Lee al suo meglio crea film compattissimi e dal ritmo esaltante ("Inside man") anche se predicatori o morilazzanti o semplicemente sociali ("Fa la cosa giusta", "La 25a ora"). Al suo peggio realizza film interessanti, ma sfilacciati e torstuosi ("Bamboozeled") o del tutto fuori fuoco ("Lei mi odia")... e non ho mai visto "Miracolo a Sant'Anna" e non voglio parlare di "Oldboy".
Qui, finalmente, Lee torna in fase crescente della sua carriera e porta a termine un film con molti difetti, ma ben costruito; in cui la critica sociale (e razziale) non affoga la trama e i personaggi (il vero problema di "Bamboozled"); in cui la storia ha un suo ritmo, un suo sviluppo e una sua autonomia; in cui la molta carne messa al fuoco riesce a essere sfruttata quasi interamente (il co-protagonista che ritrova una sorta di identità culturale ebraica solo quando dovrà fingersi membro del KKK è una dei pochi argomenti buttati nella mischia senza uno sviluppo).
Per una volta Lee si mette al servizio del film creando una storia convincente e riuscendo a mettere i suoi topos (dalla passione per il cinema, Griffith, ai diritti civili) all'interno della vicenda e non appiccicati sopra.
La regia è, al solito, ottima, più curata nella fotografia (anche questa una cifra riconoscibile) che nel montaggio (comunque di livello).
Unico neo il genere. Il film comincia con l'atmosfera della commedia e un annuncio di comicità che non sarà mai realizzato e vira sempre più verso il dramma dando la sensazione di non aver mantenuto le promesse fatte.
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