(Once upon a time... in Hollywood)
Visto al cinema.
Finalmente un film di Tarantino che mi ha soddisfatto completamente, è un'esperienza che non mi capitava dai tempi di "Bastardi senza gloria".
Tarantino, al suo eternamente ultimo film, abbandona gli obblighi contrattuali legati alle aspettative che ha creato in 25 anni di carriera. Basta violenza efferata e stilizzata (c'è in realtà, ma nel solo quarto d'ora finale), basta lunghi ed elaborati dialoghi fatti di cesello (si parla moltissimo nel film, ma senza gli eccessi parossistici e manieristici dei film precedenti) mettendo un'intera serie di scene in mano aun personaggio (quello di Sharon tate) quasi senza battute (!).
Tarantino si libera di sé stesso e nella storia dei due giorni (più uno) di vita dei suoi due coprotagonisti (un attore della tv che non riesce a sfondare al cinema e deve ripiegare sulle parti da cattivo... sempre in tv) più uno (la Tate di cui sopra) in realtà parla dell'unico argomento che lo interessi: il cinema.
Nel suo film più nostalgico (le musiche e o i poster cinematografici pervasivi sembrano utili più a ricordare che a creare un ambiente) tarantino abbandona il citazionismo spinto (che pure c'è, ma si nota molto meno) per dedicarsi a descrivere quanto è bello fare, mostrare o guardare film. l'intera filiera cinematografica è rappresentata ed è esaltata ed esaltante: i produttori sono entusiasti, le costumiste capiscono al volo le fantasie dei registi che a loro volta sono pieni di energie nonostante i lavori di bassa lega, gli stuntman soddisfatti, e giù nella catena alimentare dell'industria dei sogni fino alla cassiera del cinema e alla maschera. Naturalmente non ci si dimentica degli spettatori nella scena che racchiude l'intero film con Sharon Tate al cinema a vedere il suo ultimo film, estasiata e soddisfatta di sé che ascolta con commozione i feedback positivi del pubblico; non ci sono parole, ma lì c'è tutto quello che questo film vuol trasmettere.
Un inno al cinema che solo Tarantino poteva fare in questo modo e che. per fortuna gli riesce benissimo (ovviamente c'è molto della Hollywood di quegli anni che viene mostrato, ricostruito o nominato, ma va di diritto nel progetto nostalgia che rende bene, ma che non è immediatamente fruibile e neppure fondamentale).
Preponderante, soprattutto nel finale, anche i collegamenti con la cronaca con le vicende dei due co-protagonisti che si intrecciano involontariamente con la famiglia di Charles Manson.
Perché l'idea di mettere l'eccidio di Cielo Drive nel film può avere molti scopi (elemento catartico per come è stata realizzata, semplice setting temporale, giustificare la presenza della Tate ecc...), ma, personalmente, ho trovato geniale la gestione dell'affair Manson. Sfruttato per creare una splendida scena thriller (quella nel ranch) e utile per mostrare che nella città dell'industria dei sogni tutto è legato al cinema, anche la famiglia risiede in un set abbandonato e cercherà di uccidere attori e stuntman.
E DA QUI SPOILER. Sopra a ogni altra cosa però c'è il gioco con le aspettative dello spettatore. per tutto il film Tarantino ti fa affezionare al dolcissimo personaggio della Tate mentre ti mostra come il male si sta sviluppando appena fuori città e (per chi sa come andarono le cose) è ovvio pensare a co me finirà il film. Tarantino però modifica (di nuovo) la storia è lascia incolume la tate e il finale riesce ad avere uno dei scioglimenti più emotivi e (inaspettatamente) dolci che potesse avere, perfettamente in linea con il tono positivo del resto del film e senza negarsi un minimo di simbolismo. Il tutto giocando con quanto si sa e con quanto ci si aspetta stravolgendo il tutto riuscendo quindi a colpire molto più in profondità.
PS: e non ho parlato del solito cast di stelle e comprimari magnifici, quasi tutti in parte e ben utilizzati (giusto Pacino mi è sembrato svalutato) con un DiCaprio eccezionale (davvero si mangia ogni scena in cui compare), un Pitt perfettamente in parte e una Robbie con gli occhi costantemente luminosi.
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