(Id.)
Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in italiano. Uno strepitoso documentario sulla crisi economica del 2008, il background su cui si è instaurata (dagli anni ’40 fino agli anni ’80, il vero inizio della deregulation che avrebbe portato alla crisi), le cause ultime che hanno fatto saltare in aria il sistema, i nomi e i cognomi di alcuni dei colpevoli, il perché lo sono, il come ne sono usciti, le manovre correttive fatte successivamente fino all’attuale gabinetto di Obama che è fato dalle stesse persone che hanno causato il tutto. Il documentario è accompagnato da molte interviste (pochissimi i “responsabili” che hanno accettato di parlare; anzi praticamente nessuno), alcune anche di spicco dal recentemente noto Strauss-Kahn, al quel vecchio bastardo di Soros, alla signorile Lagarde (che dice pure un "Holy cow") fino al misconosciuto primo ministro di Singapore (già, proprio lui, il primo ministro di Singapore, un tizio per il quale non mi prendo neanche la briga di andare a vedere come si chiama).
Il tutto confezionato in un formato molto dinamico che ha lo spirito delle opere di Moore (e quale documentarista contemporaneo non guarda al regista americano quando si mette a dirigere?), senza però averne la personalità o il fantastico lavoro di repertorio (come invece aveva, ad esempio, The corporation), ma non è per forza un difetto.
La cosa che più mi ha colpito però è che, al netto di ciò che è vero e ciò che è esagerazione (ogni documentario porta acqua alla propria tesi, anche se questo mi è sembrata decisamente più credibile, obiettivo e meno enfatico di opere come Capitalism e anzi è anche migliore dal punto di vista espositivo e dettaglio tecnico), tutto sembra chiarissimo. Questo è un documentario che parla di questione tecniche di un mondo a parte che non solo ha termini propri, ma anche figure professionali e modus operandi a sé; e ciononostante i ragionamenti e le spiegazioni risultano digeribili e chiare (magari alla seconda visione). E questo si che è un punto favorevolissimo per un documentario.
PS: No aggiungo solo, per non sembrare un giannizzero senza discernimento che i suoi difetti li ha anche lui; la parte sulla prostituzione e l’uso di droghe nell’alta finanza è puro marketing a sfavore della categoria attaccata, solo una tecnica demagogica di svilimento ed esce del tutto dal tema; ma si fa anche dimenticare in fretta.
PPS: Capitalism (e lo nomino ancora anche perché partono dagli stessi eventi) rimane comunque il migliore fra i due dal punto di vista estetico.
PPPS: E dopo smetto. Non so quali altri documentari fossero in lizza per l’oscar, ma la così, a scatola chiusa, direi che la vittoria di Inside Job è meritata.
Nessun commento:
Posta un commento