venerdì 25 gennaio 2013

La mia droga si chiama Julie - François Truffaut (1969)

(La sirène du Mississipi)

Visto in DVD.

SPOILER ALERT
Un industriale del tabacco (Belmondo) che vive nelle isole della Reunion cerca una donna per motivo matrimonio con un’inserzione su un giornale. Una ragazza francese risponde all'annuncio e dovrà raggiungerlo alle Reunion. Sulla nave però la donna sembra non esserci, la Deneuve però gli si palesa e ammette l’inganno che gli ha fatto, ha spedito una foto diversa per paura e quando è arrivato il momento di ammettere la cosa non ha più avuto il coraggio di dirglielo ed ora si trova costretta a questo show down imbarazzante. Dato che nel cambio c’ha guadagnato, Belmondo, non trova nulla da ridire, i due si sposano e si amano tantissimo; almeno finché lui non le da la possibilità di prelevare dal su conto privato; il giorno dopo lei scompare con tutti i soldi. La sorella della donna che avrebbe dovuto sposare arriva alle Reunion e avverte Belmondo che la Deneuve non è la ragazza che aspettava; i due si rivolgono ad un investigatore privato per ritrovare la ladra. A quanto pare Belmondo è più abile perché trova per primo la Deneuve che gli racconta una storia strappalacrime e lui se ne ri-innamora; ora però devono fuggire tutti e due dall'investigatore privato.
Film noir che ribalta le regole del genere americano (peccato che ignori gran parte dei polar classici) con una femme fatale tutto sommato vittima lei stessa; con un mondo dove non è difficile amare, ma rimanere innamorati; ma soprattutto con una cadenza da tragedia greca che è il vero dettaglio vincente. È da tragedia greca che sia proprio Belmondo a dare l’abbrivio alla loro disfatta creando il proprio antagonista; è da tragedia greca il finale in cui lei lo avvelena, ma lui, pur sapendolo, la lascia fare per amore; è da tragedia greca la lotta contro un destino già segnato fin dall'inizio (ok, questo è anche da noir tout court). Tutti questi dettagli uniti ad un noir che mischia cliché con alcuni ribaltamenti rende il film veramente interessante. A questo poi si possono aggiungere diverse buone idee, dal dialogo di Belmondo con il direttore della banca montato sulle scene in cui lui sta ancora guidando per raggiungere la banca; il fatto che si renda conto dell’avvelenamento guardando una strip di Biancaneve; oppure ancor quel sapore tutto Langiano per cui ogni uomo nasconde dentro di se un assassino (che in effetti è uno dei concetti che il noir ha rubato alle opere del regista tedesco).

Il problema è però la fattura della sceneggiatura, possibile che i dialoghi siano così didascalici e demagogici (per esempio nel loro primo reincontro in Francia)? È possibile che i loro sentimenti riescano ad essere così assoluti, ma a cambiare anche con una inversione completa in pochi secondo (un po’ in tutto il film, ma soprattutto nel finale)? Questo sommato ad una certa visione scontata del tema amoroso e ad una qualità delle immagini che è maledettamente figlia dei suoi anni (il che vuol dire pessima), riduce un potenziale capolavoro in un buon film. E basta.

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