Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Ambientato negli anni ’60 in un
ospedale psichiatrico per sopravvissuti all'olocausto; in un ambiente rigido e
impeccabile si muove il lato oscuro di chi il lato oscuro l’ha vissuto
direttamente. Il protagonista Adam è sopravvissuto ad un campo di
concentramento facendo il cane al gerarca nazista d turno, mentre moglie e una
figlia venivano uccise. Adam ha anche la particolarità di avere un controllo
totale sul proprio corpo sanguinando a piacimento o “morendo” volontariamente
per poi “risorgere”; è inoltre un inguaribile donnaiolo con la tendenza
all'alcool.
Schrader sembra essere rimasto
agli anni ’70, tutto il film verte sui suoi temi standard, la colpa personale,
il male perpetrato agli altri nonostante l’impossibilità a fare altrimenti, e
poi i consueti percorsi verso l’espiazione. C’è tutto, qui, una famiglia
distrutta dal protagonista senza che lui potesse farci nulla; un ambiente che è
un coacervo di estetica puritana, ma l’interno è costituito da sofferenze e
turbinio di peccato (l’ospedale con il suo ripieno di personaggi senza
speranza; il protagonista stesso; l’infermiera ligia alle regole, ma con la
tendenza a fare il cane…); e poi c’è il deserto come luogo principe per
ritrovare se stessi o per purificarsi (come già Gesù ne “L’ultima tentazione”). Infine, negli ultimi minuti, Schrader riesce pure ad aggiungere
la solita domanda se valga la pena vivere nel lato oscuro o nella banalità del
bene.
Una fotografia color pastello,
una regia dinamica che fa tanto Scorsese e un Jeff Goldblum che finalmente
torna a recitare concludono i pregi… Perché i difetti sono diversi, ma su tutto
è il senso di finzione che traspare da tutto. I flashback sono uno shoa movie
in cui tutto urla la ricostruzione in studio e i personaggi che si vedono sanno
di banale macchietta nazista fin dall'inizio; l’importante personaggio del
ragazzo/cane è di uo stucchevole da far paura e tutta la sua parabola è una
lunga sequenza di prevedibilità poco credibile…
Peccato, un buon piano viene sprecato da un’impossibile sospensione
dell’incredulità.
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