(127 hours)
Visto in aereo, in lingua originale.
Un ragazzo californiano parte per un weekend di canyoning (trekking + scalate all'interno dei canyon) in solitaria. Nella sua escursione finirà vittima di un incidente e un braccio rimarrà incastrato tra una parete e un masso. Passeranno (guaess what) 127 prima che arrivi all'estrema soluzione di tagliarsi il braccio.
Danny Boyle, fresco dell'Oscar per "The millionaire" fa l'unica cosa sensata per un regista, skippa le offerte più ghiotte (tipo un favoleggiamento circa la regia di 007) e si getta a capofitto in un progetto personalissimo, sulla carta infilmabile e dalle scarse possibilità di finanziamento in altri momenti della carriera.
L'esperimento è interessante, un film realizzato quasi con un attore solo con lunghissime sequenza in unità totale di luogo con pochissima azione.
L'esperimento è titanico e Boyle sembra l'unico a potervi riuscire.
Per prima cosa si a James Franco, attore che si getta in una recitazione fisica encomiabile che riesce a affezionare a un personaggio costantemente in scena facendo di tutto.
In secondo luogo fa di tutto, letteralmente di tutto, per rendere dinamico un film statico, gioca con le inquadrature, con i punti di vista, con i movimenti di macchina, con i giochi di montaggio, con le musiche e con i continui cambi di distanza delle inquadrature. Lo sforzo è enorme, con grandissimi picchi e qualità, con momenti di puro godimento, vera e propria pornografia registica dentro una fotografia carichissima e sequenze oniriche continue. E per una buona metà il piano regge bene, ma nella seconda parte in cui la trama esile scompare e il film vira verso i sogni e le allucinazioni per aumentare il minutaggio; la storia si sfalda del tutto e l'opera viene schiacciata dal comparto visivo ormai allo stato brado.
Esperimento interessante, fallito, ma con stile.
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