(Okuribito)
Visto al cinema.
Un violoncellista viene licenziato e si vedrà costretto a tornare nella cittadina natale dove, per sbaglio sarà assunto come tanato-esteta. Dopo un'iniziale repulsione capirà l'importanza ed il valore di quel lavoro e comincerà ad apprezzarlo, ma cominceranno pure i problemi, fra amici che gli tolgono il saluto e la moglie che non vorrà neppure farsi toccare da lui...si perchè i morti sono impuri e toccarli degrada.
Il film si muove con grazia fra sentimenti semplici ed ironia, unendo questi due volti anche in una stessa scena (cosa questa in cui gli orientali sono maestri). La messa in scena è pulita, essenziale e ben curata, proprio come ci si aspetta dai giapponesi.
La trama non rivela nessuna verità assoluta sulla morte, non ha queste pretese, tende invece ad avvicinare i due mondi (quello dei vivi e quello dei morti) e cerca di far accettare il trapasso come una conseguenza del vivere, una necessità ed una progressione naturale della vita. La morte viene di volta in volta utilizzata per accettare ciò che era il defunto (come nel caso del travestito) o ciò che ha fatto (come nel caso del padre del protagonista), come mezzo per trarre un beneficio (il cibo) e, più semplicemente come accadimento naturale (come nella scena dei salmone, o nella discussione, quando la moglie scopre il lavoro del marito). In quest'ottica, semplice ma francamente non banalissima, si inserisce il lavoro del protagonista, che con il suo trasformare il cadavere in un'immagine della persona quand'era in vita, con il suo entrarci in diretto contatto con grazia, permette a chi lo osserva (i parenti del defunto, la moglie, l'amico, ma anche lo spettatore) considerare la morte nell'ottica giusta, di quotidianità.
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