(Id.)
Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso), in lingua originale sottotitolato.
Una donna senegalese lascia, per la prima volta in vita sua, il paese per andare dal marito a Torino; il marito però ha lasciato l'Italia per cercare fortuna a New York, città che vede per la prima volta, dove conta di farsi aiutare per l'alloggio dalla zia della moglie; la zia però è partita per il Dakar per il funerale del marito che aveva lasciato e si porta dietro il figlio 19enne che va in Senegal per la prima volta in vita sua.
Dopo aver visto il bellissimo corto di Dyana Gaye, "Un transport en commun", qualche anno fa ci si chiedeva quando e come avrebbe realizzato il suo primo lungometraggio; ed ora eccoci, con un'opera stilisticamente agli antipodi dal cortometraggio (anche se alcuni contenuti sono in comune).
Fotografia desaturata, ambienti sui toni del grigio e dell'azzurro per Torino e New York, colori più terrei per Dakar; una macchina da presa tranquilla, che segue i suoi personaggi senza insistenza (d'altra parte è un film corale e seguirne uno alla Aronofsky sarebbe impossibile).
Si impegna di più sul montaggio lavorando di rimandi continui fra le tre storie separate, unendole (al di là con il legame emotivo fra i personaggi) con stacchi sul marito a New York quando questo viene nominato a Torino o con montaggio concettuale o per azioni contrapposte, su tutte sottolineo (perché è forse l'esempio il più scontato, ma anche il più evidente) il ragazzo statunitense che guarda l'oceano attraverso la porta del non ritorno mentre dall'altra parte l'uomo senegalese guarda lo stesso oceano in direzione opposta.
Nel film gli argomenti trattati sono diversi, è di fatto un film sull'immigrazione e il ritorno e mostri modi diversi di affrontarlo e nel farlo non scade mai nel cliché usurato del migrante come uomo che fugge dall'inedia e trova l'inferno dove pensava di trovare il paradiso; mostra invece diverse versioni e diverse possibilità mosse da motivi e necessità diverse. Costruisce il film con un linguaggio misto che si scambia continuamente, dal francese, all'italiano, dall'inglese al wolof (se non sbaglio). Si muove con un ritmo costante, ma costantemente rilassato, si prende i suoi tempi senza rallentare mai troppo, con scene forse non necessarie, ma che non affossano mai il film.
La cosa veramente affascinante però è come questo film parli di tute queste cose (l'immigrazione, il ritorno a casa, i contatti fra persone distanti, i legami personali, il rapporto con un paese sconosciuto, ecc..), ma lo fa con una trama inesistente, descrive di fatto un pezzo delle vite di tre personaggi principali, e una decina di secondari, caratterizzandoli tutti in maniera ottimale, ma senza far succedere niente di enorme; descrive semplicemente delle vite. Due di queste finiranno bene, una finirà in maniera amara, ma il tono generale riesce ad avere una leggerezza e una positività invidiabile.
Unico vero momento patetico è quando viene motivato il titolo nel dialogo fra i due italiani, dove compare, in un cameo, un Dente particolarmente supponente e radical chic; del cantate sono state usate un paio di canzoni durante il film.
Il cast è decisamente buono, ma sembra che gli attori protagonisti abbiano avuto l'ordine di mantenere una certa impassibilità (o tristezza forzata) ammazzandone un poco la recitazione; difatti riescono a spiccare molto di più alcuni dei comprimari.
Un film tanto bello quanto interessante che fa sperare ancora di più per le opere future della Gaye.
Il film è stato anticipato dal corto "Soko sonko" (AKA The market king) della regista kenyota Ekwa Msangi.
C'è la partita di calcio in tv, ma un uomo già organizzato ad andare dagli amici si ritrova fra la mani la figlia; la madre è malata e dovrà essere lui ad accompagnarla al mercato delle parrucchiere per sistemare i capelli; il giorno dopo sarà l'inizio delle scuole e tutti i ragazzi sono a quel mercato. Dovrà fronteggiare parrucchiere agguerrite, poliziotti, commercianti che lo rincorreranno come un ladro e pessime acconciature, ma riuscirà a portare a termine la missione.
Commedia leggera e ben ritmata nella prima parte, meno impegnata nel sostenere il tono nella seconda (anche se avrebbe diverse opportunità); ben recitata da tutti e dai colori vividi molto belli con una fotografia curata.
Niente di geniale, ma un'ottimo corto per idea e fattura.
Nessun commento:
Posta un commento