Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.
Nella baraccopoli Nairobi un ragazzino si accorge che il padre è malato, ma non è una semplice malattia del corpo, al padre è stata rubata l’anima. Per riaverla indietro dovrà affrontare 7 prove chiestegli da una demone donna; prove che lo metteranno di fronte alle sue paure e gli mostreranno la sua stessa vita in un’ottica diversa.
Fiaba moderna con tutti i crismi del caso e con l’aggiunta di una venatura horror nelle belle scene dell’incontro con il demone; peccato per la messa in scena frettolosa che rende il film pieno di ritmo (è vero), ma anche troppo rapido nello svolgimento, avrebbe meritato qualche decina di minuti in più (anche perché il minutaggio è lieve lieve, solo 60 minuti).
Un film per ragazzi fatto da ragazzi, con l’indiscusso vantaggio di trattare il suo pubblico decentemente, senza pensare che ci siano dei cretini davanti allo schermo. Il film evita gli eccessi cazzari e casinisti dei film di questo genere made i USA (ma anche Europa), gli scambi di persone idioti o il fatto che i ragazzi si comportino da adulti in ogni loro atteggiamento. Qui ci sono dei preadolescenti che fanno cose da preadolescenti (e anche le prove da superare si adeguano); i rapporti dicotomici con l’altro sesso; le prove di coraggio cretine sulle rotaie del treno ecc…
Complessivamente un lavoro ben realizzato nella messa in scena (ottima la fotografia) e nella frettolosa sceneggiatura. Anche se la maggior parte del cast artistico e tecnico è preso direttamente dalla baraccopoli, va però detto che questa è stata una produzione in parte europea (compare spesso il nome di Tykwer, ed in effetti il film ha già trovato distributori tedeschi ed uscirà a dicembre) con un sostanzioso contributo tecnico con persone del mestiere. Comunque un buon crossover di competenze.
A proposito di crossover; da sottolineare che nel film si mostra lo spettacolo teatrale itinerante di cui è stata realizzata la versione cinematografica già mostrata in questo festival, si tratta di “Ndoto za Elibidi”; ed altresì da sottolineare la presenza nel cast di questo film di Nick Reding, co-regista dell’altro…
Prima di questo film è stato presentato il corto (solo di nome, perché di fatto è un dignitosissimo medio metraggio di 48 minuti!) “Un transport en commun” di Dyana Gaye.
Questo è decisamente il corto di questo festival (ok, ne ho visti troppo pochi per poterlo dire con certezza, ma l’arroganza è sempre stata una mia virtù). Questo è un musical a tutti gli effetti, ma al contrario di “Nha fala” utilizza tutti gli stilemi classici. Personaggi che improvvisamente si mettono a cantare e tutti attorno a loro cominciano una coreografia complessa e molto curata. Le canzoni non sono tutte splendide (e gli attori non spiccano per la voce…), ma le muscihe sono tutte vecchio stampo (con echi delle canzoni francesi dagli anni 40 ai 60) e funzionano bene. La storia è molto approssimativa e con un poco in più d’impegno sarebbe venuto fuori un lungometraggio di tutto rispetto. Però l’idea è ottima, il formato buono e premia il fatto di non mostrare mai luoghi da cartolina, ma pezzi di vita reale e basta; in più ci sono un apio di canzoni “sociali” sullo stato delle cose nel Senegal o sulle speranza di una vita migliore nell’emigrazione (verso l’Italia, fatalità, Rimini per esattezza, e le belle speranze del personaggio risaltano dalla consapevolezza di quello che in realtà troverà qui… e comunque anche i sengalesi ci vedono come ci vedono gli americani, cappelli di paglia, mandolini e ferrari…).
Ah già la storia, un gruppo di sconosciuti prende un taxi colletivo per andare da Dakar a Saint Louis, per motivi diversi; durante il viaggio parleranno di se…
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