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Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
L'angelo della morte.
C’è di bello nella trilogia di Pusher che tornano sempre gli stessi personaggi e con l’evolversi delle loro storie ti rendi conto che non erano delle macchiette, ma personaggi complessi di cui guardavi solo un lato. Se il Tonny del primo capitolo della saga era un coglioncello senza un solo problema al mondo, nel due ci si rende conto invece dell’ambiente in cui si muove, della sua strafottenza come mezzo per sopravvivere e della sua disperazione. Nel terzo capitolo invece torna Milo, lo slavo venditore di eroina che era il cattivo assoluto del primo, faceva una comparsata da fighetto scherzoso nel due e qui invece si becca tutti i problemi che ci si riesce ad immaginare.
Milo deve organizzare il compleanno della figlia 25enne, cercare di disintossicarsi e resistere all’ultima dose di eroina che gli viene data, cercare di recuperare i soldi di una partita di ecstasy che gli è stata data contro la sua volontà, o pagare il debito accumulato in altro modo.
Quest’ultimo capitolo rimane fisso come stile di regia, ma è lo stile del racconto a cambiare; non assume mai i toni della commedia, ma inizia così come ci si aspetta debba essere il personaggio di Milo, ironico, pieno di carne al fuoco, ma un poco sfigatello (anche se le scene in cui gli scagnozzi stanno male sono anche eccessivamente di basso livello per un film come questo)… poi però il film di completa dei suoi elementi, Milo viene preso dalla morsa degli eventi ed in un un’unica nottata dovrà fare di tutto. Il ritmo cambia e anche il tono, niente più scherzi, il film si fa sempre più cupo e crudele, passa per la compravendita di ragazze dell’est, alla tortura, per approdare alla raggelante sequenza finale dello scannamento del polacco, realizzato con fare documentaristico, senza amai essere sensazionalistico. Terrificante per realismo.
Ancora una volta questo film non è all’altezza del primo; ma da quello mutua molto, addirittura il finale (liet motiv della trilogia) che vorrebbe essere semiaperto e invece si limita ad essere solo pensoso.
Refn si conferma un grande regista e si nota in questa trilogia come lui giochi molto con gli spazi e con i suoni.
I film sono spesso girati in interni claustrofobici o in esterni spersonalizzanti e cadenti, creando quindi una dettagliata geografia di una città distopica fatta solo di bassifondi, pochi registi come Refn sono legati alla metropoli e la utilizzando in questo modo come parte integrante del racconto.
Refn poi parla letteralmente con i suoni e con le musiche alternativamente disturbanti o possenti, a sottolineare ciò che accade, il mood della scena o i pensieri dei personaggi.
Bisognerà vedere altro di questo regista.
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