venerdì 31 dicembre 2010

L'uomo dal braccio d'oro - Otto Preminger (1955)

(The man with the golden arm)

Visto in DVD.

L’uomo dal braccio d’oro è l’epopea di un tossicodipendente appena ripulitosi e con belle speranze che deve fare i conti con una moglie egoista e malvagia oltre l’immaginabile ed un ambiente che non gli permette il lusso di andarsene, ma anzi, lo trascina di nuovo verso l’inferno della droga. Tre gli appunti da fare, il film è realizzato con un approccio verista verso la situazione di un tossicodipendente, due la droga in questione non è marijuana, ma eroina, terzo il film è degli anni ’50.

Un film autentico, duro, che parla con una certa dose di onestà (e con una enorme dose di drammatizzazione) della dipendenza allo stesso modo di quanto fece anni prima “Giorni perduti”, eliminando però l'attenuante che l’alcool offre a livello sociale, di essere cioè una sostanza accettabile, purché non si esageri.

Il film è un dramma possente, che mette in mezzo ogni tema possibile compreso tra il film d’amore e il sogno americano; e viene condotto da dio, da un Preminger in stato di grazia, che muove la macchina da presa in maniera forsennata, con avvicinamenti ai personaggi fino al dettaglio degli occhi, o allontanamenti totali o scarti laterali, il tutto con un preciso motivo, mai nessun virtuosismo è fine a se stesso, donando decine di scene memorabili.

Poi ci si gode pure la presenza di una sempre bellissima Kim Novak (che credo sia stata presa seriamente in considerazione come attrice proprio grazie a questo film) e un Frank Sinatra assolutamente all’altezza e stranamente non irritante (questo a prova dell’enorme capacità di Preminger nel saper far recitare gli attori).

Come se non bastasse un encomio pure alla colonna sonoro, spiazzante, dolorosa e legata alle scene fino al minimo dettaglio.

Applausi a scena aperta.

PS: con questo film comincia a delinearsi l’idea dell’ossessione come filo conduttore delle opere di Preminger, e della lotta degli individui per liberarsene, o goderne completamente, come motore per lo sviluppo delle storie… beh, vedrò prossimamente.

giovedì 30 dicembre 2010

Seduzione mortale - Otto Preminger (1952)

(Angel face)

Visto in DVD.

Visto che finora ho sottovalutato troppo Preminger ho deciso di darci dentro e vederne una lista di suoi film.


Questo Seduzione mortale è un noir atipico… una ragazza di famiglia ricca si innamora del paramedico Mitchum e cerca di portarlo sempre più vicino a se; non avrebbe idee negative nei confronti dell’uomo, ma ha troppa voglia di ammazzare la matrigna e anche lui rimarrà invischiato.

Noir atipico dicevo, in primo luogo per la femme fatale, che in questo caso è una via di mezzo fra una wannabe vamp e una ragazzina viziata, con il risultato di non riuscire quasi mai credibile agli occhi del protagonista e i cui tranelli sono evidenti a chilometri di distanza. In secondo luogo perché inizia soltanto come un noir, ma poi finisce come un dramma intimistico e cupo come pochi, fatto di rapporti umani distrutti e senza speranza.

Il film convince in quasi tutto e si fa lodare l’originalità dall’inizio al prevedibile, ma sconcertante, finale.

mercoledì 29 dicembre 2010

The tourist - Florian Henckel von Donnersmarck (2010)

(Id.)

Visto al cinema.

La Jolie è un agente dell'interpol che ha voltato le spalle ai suoi per supportare un ladro internazionale che ha fregato miliardi ad un mafioso inglese che si circonda di russi perchè fa bello averli li e parlarci russo assieme. Chiaro che il ragazzo sarà inseguito in capo al mondo sia sall'interpol, sia dal mafioso.

Per depistare tutti, su suggerimento dell'amato ladro (che non vede da due anni, ma che comunica con lei con delle lettere), sale su un treno per Venezia (lei è a Parigi), va dal primo che per corporatura sia simile al ricercato (Depp), lo seduce, se lo spupazza, se lo porta in albergo a Venezia, non ci fa nulla, lo mette in un sacco di casini, se ne diaspiace, lo aiuta, se ne innamora e poi tutto finisce con un twist finale alla Shyamalan.

Il problema di questo film è uno solo: è tutto sbagliato. No, sul serio, basta citare una qualsiasi parte del film e si capisce rapidamente che è sbagliatissima. Il film inizia con un ritmo agghiacciante, più lento di un film di Godard dei peggiori, tutti ripetono la stessa storiella 12 volte (e la storia è di una semplicità imbarazzante); unendosi quindi alla tendeze di questi anni nella costruzione di un film e cioè basarsi sul chiacchericcio.

Poi la storia d'amore zoppica come Bannister, le scene d'azione sono la cosa più imbarazzante mai mostrata sullo schermo dall'epoca di "Chiken Park" (chi ha il coraggio di definire inseguimenti quelle gitarelle in barca o sui tetti?! chi?), la storia principale si risolve nel colpo di scena finale meno credibile in assoluto (ma che potrebbe anche soddisfare)... e poi ci sarebbero altre 2000 cose che non funzionano; dai personaggi di una banalità non giustificabile, alle luci (addirittura le luci sono sbagliate!) che rendono palese le ricostruzioni in interni dei tetti di Venezia (per esempio), un uso degli effetti speciali risibile e addirittura alcune sequenze sono anche realizzate proprio male (la peggio di tutti è la fuga sui tetti; ma anche lo scontro tra Depp e Frassica è proprio stato fatto da un sordocieco).

Un film deludente sotto ogni punto di vista, anche per chi si aspetti un blockbuster (anzi, la lentezza, l'incapacità nell'uso delle luci e del CGI, la totale incompetenza nelle scene d'azione sono tanto più deprecabili dato che ci si trova davanti ad un blockbuster; fosse stato un indie o un film di serie b si potrebbe anche chiudere un occhio)

martedì 28 dicembre 2010

Delicatessen - Jean-Pierre Jeunet (1991)

(Id.)

Visto in DVD.

Agli inizi Jeunet era già Jeneut; meno fiabesco, ma sempre favolistico (se mi si passa l’espressione).

In un futuro post-apocalittico, in un condominio fuori città, il macellaio (padrone del palazzo) offre carne umana come cibo più pregiato, carne presa dai malcapitati che rispondono ad un suo annuncio di lavoro. Nel momento in cui, a rispondere a quell’annuncio, arriva un ex clown le cose cambiano; stralunato, ingenuo, con una felicità che dona gioia a chi gli sta accanto per il suo semplice esistere (si esatto, è un’Amélie in versione maschile)… ovviamente la figlia del macellaio si innamorerà di lui.

Jeunet non crea un unico personaggio, ma un intero mondo che ubbidisce alle sue regole. Tutti gli abitanti di quel condominio sono personaggi grotteschi, ingenui e vittime dell’ambiente o di loro stessi, sospesi in un mondo, certamente apocalittico, ma pur sempre sospeso, irreale e crudele proprio com’è nelle fiabe. La regia è dinamica e cartoonistica con la solita accuratezza assoluta nella fotografia e nella messa in scena; certo i movimenti di camera sono meno funambolici e gli inserti ancora non ci sono, ma le basi per tutti i suoi film futuri ci son tutti.

Complessivamente questo film è originale, divertente, ma niente di più, non offre nulla a livello di storia, ma poco importa, è solo un banco di prova.

lunedì 27 dicembre 2010

Amore folle - Karl Freund (1935)

(Mad love)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.


Ed ecco il primo seguito di "Orlacs hände”. La storia è sempre la stessa del precedente, ma il film è completamente diverso; qui l’attenzione non è più per l’operato, ma per il medico. Se l’altro era un dramma con venature metafisiche, qui è un horror in piena regola, con un chirurgo pazzo (ma pazzo davvero), che spinge tanto sull’effetto scenico (si inizia, letteralmente, con un horror show) e poco sul dramma personale.


L’idea in se non è malvagia, riutilizza un film vecchio di soli 10 anni, ma lo adatta alle mode del momento, tirando fuori un horror; poi ci mette Lorre nella parte del matto, questo a scapito della recitazione, ma certamente un physique du rôle più adatto non c’era all’epoca.


Quella che è una buona idea dona alcuni grandi momenti (il paragone con Galatea e Pigmalione fino alla statua che prende vita), però purtroppo causa anche molte cadute di stile. Il dramma del pianista è rapido e molto poco mostrato, il fattore soprannaturale è mantenuto vivo (e non spiegato) fino alla fine (a scapito della credibilità), il mostro nel finale spiega tutto il suo piano giusto per non lasciare dei dubbi e poi c’è un happy ending attaccato col bostik che proprio non si può sopportare.


Peccato, perché l’intento era ottimo, ma la realizzazione sfigura al confronto con il predecessore.


domenica 26 dicembre 2010

Orlacs hände - Robert Wiene (1924)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un noto pianista perde l’uso delle mani a causa di un incidente, su insistenza della di lui compagna il medico decide di osare l’inosabile… attua un trapianto di mano… al di la dei problemi connessi con la microchirurgia dei capillari e dei nervi, oltre che della questione igienica negli anni ’20, il principale postumo sembra essere un insano istinto omicida insito nelle mani stesse… l’operato ci rimane abbastanza male e strugge per riuscire a capire… vuoi vedere che il dottore, pur essendo un fottuto luminare, mi ha messo le mani di un assassino?

Sorprendente film del 1924 diretto con precisione chirurgica (ah ah ah) da Wiene. Non a caso ho usato il termine sorprendente, infatti qui tutto sorprende. Sorprende l’idea di fondo, per l’epoca eccessiva, ma in un certo senso reale (i trapiantati soffrono della sensazione di non appartenenza dell’arto nuovo), stupendo poi come venga suggerito il contesto paranormale della storia e come poi venga riportato ad una più ovvia normalità il tutto (magnifico che tutto si spieghi così esattamente, sconvolgendo le aspettative che vengono create nello spettatore) ed eccezionale l’uso delle scenografia, scarne come in tutto il cinema del muto, ma efficaci e l’utilizzo delle ombre. Infine quella breve applicazione degli effetti speciali è davvero inquietante, l’immagine del braccio enorme che schiaccia il protagonista convalescente vale tutto il film.

Nella parte del protagonista c'è quella stupenda faccia da film espressionista tedesco di Veidt (li ha fatti tutti lui).

Stupendo.

PS: di questo film ne sono stati tratti, immotivatamente, due remake, uno degli anni ’30 ed uno dei ’60. Mi applicherò per vederli entrambi.

sabato 25 dicembre 2010

Incontri ravvicinati del terzo tipo - Steven Spielberg (1977)

(Close encounters of the third kind)

Visto in DVD.

Un film mitico che ha contaminato il genere e creato una serie di modi e di linguaggio per gestirne la messa in scena.

La storia è nota; un elettricista vede una serie di UFO e rimane ossessionato da una forma, da un’immagine, che scoprirà essere un monte. Riuscirà a raggiungerlo assieme ad altri rimasti sconvolti allo stesso modo e assisterà al primo incontro fra umani ed alieni.

Il film si fa ricordare soprattutto per la classicità nello sviluppo della trama (il lento disvelarsi della storia e il continuo mostrare sempre di più fino al finale dove gli alieni appaiono in carne e ossa. In questo Spielberg non è solo un maestro, ma anche uno degli inventori della formula magica giusta) a cui si sovrappone il soggetto, lo spunto alla base, estremamente originale. A fronte dell’idea della musica come linguaggio universale (altra grande invenzione, solo oggigiorno divenuta banale) vi è il concetto base degli alieni come forza positiva; dell’incontro come tentativo di comprensione. Si insomma, la fantascienza che mostra gli altri come essere viventi in tutto simili a noi e l’incontro come una possibilità di arricchimento. Se si esclude E.T. (che comunque è una favola per bambini e pertanto la creatura è per forza buona) questo è l’unico film con alieni apertamente positivo che io ricordi.

Poi per carità, il film è di una lentezza esorbitante e dopo averlo visto una volta si è a posto per tutta la vita, però uno sguardo lo merita.

venerdì 24 dicembre 2010

The king of comedy - Stephen Chow, Lik-Chi Lee (1999)

(Hei kek ji wong)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Stephen Chow prima di esplodere ed avere un sacco di soldi per gli effetti speciale era già Stephen Chow.
In questo film del 1999, di stampo praticamente neorealista se paragonato alle sue recenti sparate, mette in campo tutto quello che ci sarà dopo; comicità efficace, gag slapstick (ci sono calci da cartone animato anche qui), personaggi semplici e quasi caricaturali, e poi il calssico intreccio dei buoni sopraffatti dai cattivi che però alla fine perdono (che qui è particolarmente strappalacrime, ma per fortuna non toglie niente al resto del film, o non troppo almeno).
Se il film nel complesso funziona con battute che fanno realmente scoppiare a ridere (la mia preferita è tutta la sequenza in cui Chow deve insegnare ad un nerd a chiedere il pizzo) è innegabile l'inadeguatezza dell'insieme in cui viene buttata troppa carne al fuoco, riuscendo soltanto a rendere tortuosa e assurda la trama (a cosa serve la storia dell'infiltrato nel finale?). Di positivo c'è però tutto un discorso dissacrante sul tipo di film (per buona parte questo è un film metacinematografico) d'azione hongkongesi con wire-fu e tripudi di colombe.

PS: cameo di Jackie Chan che personalmente intendo come passaggio di testimone. Ecco adesso ricomincio a piangere.

giovedì 23 dicembre 2010

Grissom gang, niente orchidee per miss Blandish - Robert Aldrich (1971)

(The Grissom gang)

Visto in DVD.

Una rapina fatta da 3 parvenue del crimine organizzato finisce male, ammazzano qualcuno e rapiscono la figlia di un ricco magnate… peccato che l’omonima gang del titolo (una banda rigidamente matriarcale, diretta con un certo acume da una poco posata signora oltre la mezza età) capisca quello che hanno fatto, li ammazzi a sua volta e rapisca la giovane per poter chiedere un riscatto e poi disfarsene. Tutto andrebbe benissimo se solo il figlio vagamente ritardato della capo banda se ne innamori… come nella migliore tradizione dei film di gangster ci saranno parecchie pallottole e visto che siamo nei 70’s anche parecchio sangue.

Impietoso gangster movie di Aldrich, che dirige sicuro un film violento (psiclogicamente prima, e fisicamente poi) e duro, che affondando le radici nel fortunato filone degli anni ’30 (anche se il rapporto con la madre e il rapporto della madre con la banda non può non ricordare “La furia umana”), se ne esce però con una considerazione non banale (all’epoca) del rapporto fra i rapitori e la rapita. Essendo un esperto della macchina da presa Aldrich riesce anche a imbastire i rapporti personali all’interno della banda, quelli delle persone al di fuori d’essa ma legate alla faccenda e pure ci mette le indagini della polizia.

Se non fosse stato per qualche periodo di stanca il film sarebbe perfetto, ma la sceneggiatura purtroppo non è del tutto azzeccata.

PS: torna ancora una volta Wesley Addy, il feticcio di Aldrich, che fa sempre tanta simpatia vedere sullo schermo.

mercoledì 22 dicembre 2010

Serpico - Sidney Lumet (1973)

(Id.)

Visto in DVD.

Un poliziotto onesto e idealista, appena arrivato nel Bronx si trova di fronte a dei casi di corruzione dilagante e sfrontata a cui non può, moralmente, partecipare, ma neppure può sopportare. Si opporrà ricorrendo ad ogni modo legale e ammissibile, poi si rivolgerà all'esterno della polizia aizzandosi l'odio, non solo dei colleghi che ovviamente lo disprezzano, dei superiori. Verrà trasferito, ma ormai il danno è fatto, il suo nome sarà segnato a vita.
Dramma in salsa poliziesca anni '70 crepuscolare e pessimista, con un protagonista carismatico, fuori dai canoni dell'epoca e magnificamente interpretato (da urlo la scena finale nella camera d'ospedale, un Pacino al meglio, come in tutti gli anni '70) che darà poi il la alla creazione del monnezza (!).
Lumet risulta molto formale nel creare una cornice realistica intorno alla vicenda, e l'effetto funziona. Il film risulta, specialmente all'inizio, eccessivamente idealista nella creazione del personaggio di Serpico, che reagisce in maniera esagerata anche a situazioni non eccessiva, ma l'effetto è stemperato nella sua graduale discesa all'inferno e nel finale senza alcuna speranza.
Un caposaldo del genere, che per solidità e asciuttezza dovrebbe essere d'esempio.

martedì 21 dicembre 2010

La calda amante - François Truffaut (1964)

(La peau douce)

Visto in DVD.

Film realizzato coscientemente in antitesi con "Jules e Jim", che contrapponte all'amore anarchico le sfortunate sofferenze amorose di una coppia consueta. Un piccolo dramma borghese senza sussulti, ma con molta onestà, e una vena nera nel finale.
L'idea è trattata con tutto il realismo possibile, e con il distacco che caratterizza l'opera di Truffaut, e fanno di questo classico triangolo amoroso (lui un conferenziere conosce una hostess di cui s'invaghisce e costruisce la consueta storia di depistamenti) un'opera originale e asciutta.
Tutto è realizzato con interesse e con cure, e regala alcuni momenti veramente buoni, come la reazione della moglie al marito che l'abbandona ad esempio.
La regia poi è tutta intenta ad inquadrare oggetti inanimati e dettagli delle mani; si assiste ad un profluvio di scarpe nell'albergo dell'inizio, a maniglie, pulsanti e bottoni (particolarmente pesante è la scena alla pompa di benzina, che comunque risulta apprezzabilissima) e un utilizzo forzato degli specchi nella prima metà.
Truffaut realizza un dramma consueto, senza velleità intellettuali, e forse proprio per questo riesce interamente.

lunedì 20 dicembre 2010

Un anno con 13 lune - Rainer Werner Fassbinder (1978)

(In einem Jahr mit 13 Monden)

Visto in DVD.

Fassbinder è un bravo regista. Lo voglio dire subito. Non un genio, ma un abile mestierante non convenzionale. Inquadra sempre filtrando la scena con una porta o una finestra, cerca l'inquadratura non convenzionale per un primo piano, gioca con le luci e le atmosfere (nel finale nel palazzo dell'ex amante miliardario sembra un viaggio in un manicomio) e ha pure qualche velleità molto autoriale (la magnifica scena nell'orfanotrofio, in cui la suora continua a camminare come se niente fosse mentre parla)...
Però è anche un intellettuale, con sensi di colpa ed un gusto particolare per il melodramma. Il che mi si traduce in una storia ai limiti del buonsenso, con personaggi poco credibile che passano metà del tempo a parlare senza guardarsi negli occhi filosoffegiando pesantemente sull'amore, la vita e tutto il resto. Il film diventa quindi un fiume ininterrotto di inutile e noiose verbosità che il tono cupo e il finale tragicissimo non riescono a tradurre in sentimenti.

domenica 19 dicembre 2010

La corona di ferro - Alessandro Blasetti (1941)

(Id.)

Visto in Dvx.

Il secondo Kolossal dell’Italia fascista (il primo fu "Scipione l'africano") è un fantasy ambientato nel primo medioevo in un luogo non precisato, in cui un re, che ha preso il potere tradendo il fratello e massacrando i nemici, viene perseguitato da una maledizione. Tutti i suoi tentativi di salvare la figlia dal destino la porteranno, ovviamente, proprio verso la terribile fine che era stata predetta.

Un film d’epoca fascista stranamente pacifista e antitotalitarista (pare che dopo averlo visto Goebbels commentò che se un regista tedesco avesse fatto un film simile l'avrebbero messo al muro immediatamente...). La storia appare evidentemente intrisa di tragedia greca e dramma Shakespeariano con il fantasma premonitore e il continui tentativi di allontanare la profezia che invece la avvicinano inesorabilmente. Il film risulta una macchina da tragedia perfetta, ricca di riferimenti (certamente kitch, come il vestito orientaleggiante del personaggio di Valenti) fantasiosi.

Ed è proprio qui il punto di forza del film; l’indipendenza delle idee che fanno riferimento ad ogni influsso culturale dell’epoca (il riferimento al cristianesimo è pesante, e i richiami alla roma dei cesari evidente, ma vi sono anche i già citati influssi orientali, i riferimenti ai barbari ecc…).

Questa fantasia nella messa in scena di un dramma classico, ma spietato (ok c’è il finale felice, ma fino ad un certo punto) è il motivo principale per cui guardare questa pellicola d’epoca.

sabato 18 dicembre 2010

Scoop - Woody Allen (2006)

(Id.)

Visto in DVD.

Questo film mi era stato venduto come una cazzata venuta male… ma, oggettivamente va detto subito, è il peggior film di Woody Allen degli ultimi 5 anni, ma questo soprattutto perché negli ultimi 10 anni Allen ha imbroccato un capolavoro dietro l’altro, e questo, pur essendo un buon film, al confronto con gli altri risulta decisamente inferiore.

Comunque; la Johansson fa la giornalista di paese che riceve una dritta dallo spirito di un giornalista morto su chi può essere un serial killer che sta terrorizzando Londra… fatalità è un ricco e fascinoso magnate. Aiutata da un mago conosciuto per caso (Allen stesso) la ragazzetta americana cercherà di arrivare in fondo alla faccenda, ma quasi immediatamente si innamorerà del sospettato, e sarà in un bilico continuo sul cosa credere…

Commediola leggera e piacevole che può intrattenere con stile (e poche risate) per un’ora e mezza… questa nella peggiore delle visioni; perché a ben guardare Allen ci piazza dentro un continuo rincorrere di tematiche affascinanti, come il rapporto tra realtà e finzione (fino alla fine non sappiamo mai se lui sia colpevole, ma siamo tentati di crederci o meno, unicamente in base alle supposizioni dei protagonisti, di volta in volta smentite), un discorso sul crimine e i giochi del destino iniziato con “Match point” che qui viene portato avanti (ok,nel finale si scopre chi è il colpevole, ma è una fatalità; un happy ending posticcio che dure 3 minuti netti, messo li giusto perché è una commedia); e poi c’è un affascinante intrecciarsi di giallo e di rosa che rende ogni azione della Johansson a metà via tra il dubbio dell’investigatore e il tentativo di giustificazione dell’amante.

E con questo ho concluso tutti i film di Woody Allen, non mi resta che aspettare l’anno prossimo.

venerdì 17 dicembre 2010

La corazzata Potemkin - Sergei Mikhailovich Eisenstein (1925)

(Bronenosets Potyomkin)

Visto in DVD.

Questo film gode di una pesante disinformazione. In primo luogo non dure 12 ore, ma appena 70 minuti circa. Poi non è una cagata pazzesca, anzi…

La storia è quella dell’ammutinamento della corazzata del titolo che poi si unisce alla lotta bolscevica. Le sequenze sulla nave non mi hanno molto convinto, ma probabilmente per una mia personale idiosincrasia per i film navali.

Il montaggio è però sempre rapido e preciso, inventivo oltre ogni dire (emblematica la sequenza delle statue dei leoni che sembrano svegliarsi al boato delle esplosioni).

Le migliori rimangono comunque le scene sulla scalinata di Odessa (la giustamente famosa scena dell’esercito che spara alla folla colpendo anche donne e bambini, un capolavoro di montaggio, inquadrature laterali, dettagli e primissimi piani) e quella della tentata fucilazione dei marinai sulla Potemkin.

giovedì 16 dicembre 2010

Legend - Ridley Scott (1985)

(Id.)

Visto in VHS.

Molti mi hanno paragonato questo Legend con il mitico “Labyrinth”… beh no dai… è vero, sono tutti e due ambientati in un mondo fantastico con regole sue e tutti e due fanno riferimento a sentimenti buonisti come filo conduttore… però Labyrinth è un film per bambini e gli si concedono le ingenuità, mentre stò Legend è per adolescenti e la cosa già fa incazzare; poi Labyrinth crea, inventa luoghi, fatti e personaggi, alcuni convincenti, altri decenti, ma comunque originali, Legend non inventa neppure un nome decente, figuriamoci personaggi (c’è la principessa idiota, il ragazzo selvaggio, gli unicorni, i nani e satana; nient’altro); Labyrinth poi ha una storia, ci saranno sentimenti ingenui, ma una storia c’è, qui no, qui ci impiegano un ora a fare 2 passi ed in mezzora devono uccidere il cattivo con un’idea che in un film di Indiana Jones o in una puntata di McGyver prenderebbe 5 minuti di disimpegno…

No, Legend fa veramente schifo. È noiosissimo, idiota, pieno di brillantini su tutto e tutti; con sentimenti esposti e banalizzati, personaggi piatti come Tom Cruise, e poi c’è proprio Tom Cruise… e manca l’ambiguo David Bowie a pubblicizzare la pedofilia.

Fail completo; su tutta la linea.

mercoledì 15 dicembre 2010

Jules e Jim - François Truffaut (1962)

(Id.)

Visto in DVD.

Allora che dire…. Certamente Truffaut sa come si gira un film. La macchina da presa è sempre nel posto giusto, giustamente in movimento a inquadrare sempre le cose più adatte… da questo film si evince che Truffaut è un gran regista…

Però ho un problema, non riesce proprio a piacermi questo Jules e Jim. Sarà colpa di Jeanne Moreau, che, mi spiace, ma mi irrita tantissimo, con quel suo fare di distaccato disprezzo. Oppure sarà la trama, un triangolo amoroso senza una regola specifica, non vuol giustificare nessuno dei personaggi (e questo è lodevole), ma neppure ha dei motivi, e questo un po mi fa perdere interesse… il nulla mi annoia sempre. Infine c’è da dire che i momenti chiarificatori tra i personaggi sono sempre pippe mentale lunghe e fini a loro stesse che vogliono far vedere quanto sono artistoidi e sensibili i personaggi, come a dire Woody Allen senza ironia…

No, non riesco proprio ad apprezzarlo.

martedì 14 dicembre 2010

Via col vento - Victor Fleming (1939)

(Gone with the wind)

Visto in VHS.

Uno dei film più male interpretati dal pubblico; beh da chi non l’ha mai visto ovviamente. Non è un film d’amore, ma un immenso melodramma in costume.
Tutto in questo film è perfetto.
La fotografia a colori assolutamente all’altezza degli sfondi e delle scenografia. I fondali dipinti che sembrano dei veri e proprio quadri colpiscono per la potenza e l’aria che danno alle scene. Fleming dal canto suo utilizza ogni mezzo per poter sottolineare i personaggi, incastrarli nella fondamentale ambientazione storica e geografica; da urlo l’utilizzo della luce e soprattutto del controluce che ha reso famoso questo film…
Poi ci sono i personaggi; Rossella O'Hara parte con l’essere una ragazzina viziata e finisce con l’essere una donna disposta a tutto pur di ottenere il benessere sociale che la guerra le ha portatoto via; è vero che i suoi scopi sono leciti (non soffrire più la fame, ne lei ne la sua famiglia) ma è disposta ad ogni sotterfugio per poterli ottenere. Rhett Butler è un approfittatore che sfrutta ogni situazione per un vantaggio personale e le uniche buone azioni sono fatte a Rossella solo perché ne è innamorato. Tutti sono dei magnifici stronzi.
Infine la storia è un bildungsroman dove i personaggi imparano ad arrangiarsi senza une vera e propria crescita, ma un continuo tornare al punto di partenza. È una continua distruzione e ricostruzione, mentre i protagonisti girano attorno alle persone sbagliate in preda a sentimenti indirizzati malamente… e poi per l'epoca (anni '30) era un film su uno scottante episodio del recente passato; come fare un film sulla seconda guerra mondiale e la resistenza oggigiorno.
Stupendo. Un film di questa portata non ha eguali nella produzione cinematografica americana.

lunedì 13 dicembre 2010

La seconda guerra civile americana - Joe Dante (1997)

(The second civil war)

Visto in VHS.

Il governatore dell'Idaho stanco dei continui arrivi di bambini profughi dal Pakistan decide di chiudere le frontiere; questo ovviamente scatena le ire del governo centrale che gli impone di fare dietrofront, purtroppo pare che il governatore sia più intenzionato a sedurre nuovamente una giornalista piuttosto che interessarsi a questioni politiche, e ciò causerà seri problemi e... beh lo dice il titolo, la seconda guerra civile americana. Il tutto viene filtrato attraverso l'onnipresente occhio di una rete televisiva.
Commedia brillante di Dante (ah ah ah) che spara a zero su tutti; sulla tv ovviamente con le solite invettive; ma anche contro la stupidità o l'inaffidabilità dei governi; contro la fame di fama delle ong; ma soprattutto contro le enormi contraddizioni interne agli stati uniti (il momento migliore sono le reazioni dei vari stati alla dichiarazione di secessione dell'Idaho). Certamente non è priva di previdibili ingenuità o esagerazioni, tuttavia il quadro che ne esce è una rappresentazione ironica e calzante del patchwork culturale degli USA (completi di vizi consolodita e mitologie passate). Dalla sua poi Dante decide di non avere un punto di riferimento unico, ma di sfruttare un cast corale per un racconto ampio, utilizzando in maniera corretta quasi tutti i personaggi. Il cast poi è un tripudio di comprimare che qui finalmente vengono valorizzati (su tutti fa piacere vedere il buon James Earl Jones utilizzato come faccia pulita della tv e come voce narrante del film) con in più un paio di camei gustosissimi (Coburn come consigliere del presidente, ma soprattutto l'amato Corman come il tizio preoccupato per gli inserzionisti stranieri).
Il film ci prova, a volte sbava, ma il risultato finale vince e convince (e diverte).

PS: toh, imdb mi sussurra nell'orecchio che questo è un film per la tv... pensa te cosa riescono a fare in america mentre noi produciamo nonno libero.

domenica 12 dicembre 2010

Labyrinth dove tutto è possibile - Jim Henson (1986)

(Labyrinth)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ragazza terribilmente adolescenziale desidera che il re dei goblin si porti via il suo infante fratellino urlante… peccato che il re dei goblin sia David Bowie, e you can’t fuck around with David Bowie.

Sarà costretta ad attraversare un periglioso labirinto per riuscire a ritrovarlo.

Il film ha diversi punti di forza che stanno tutti nel cattivo gusto anni ’80 utilizzato nel modo giusto. David Bowie che canta di fronte ad un pubblico di pupazzi e nani travestiti è un momento di altissima commozione per tutti; gli effetti speciali fatti con la gomma piuma ed il polistirolo (mostri compresi) sono assolutamente impagabili e al loro meglio per quasi tutto il film; vi è nei titoli di testa una delle prima creature realizzate in CGI del mondo…e fa molto schifo oggigiorno; le scenografie e la messa in scena sono praticamente perfetti.

Certo il film è per bambini e come tale deve essere considerato, la storia inizia troppo rapidamente per poter essere credibile e troppo spesso la storia fa riferimento a stucchevoli sentimenti di amicizia esposta ed ostentata, ma vabbè, per forza. Ciò che più colpisce invece è l’inventiva nella realizzazione di alcune sequenze o creature, momenti come la caduta nella buca con le mani sulle pareti (che parlano mimando dei volti), i mostri pazzi che voglio svitare la testa alla protagonista o le carte da gioco viventi che fanno indovinelli, sono momenti davvero ben realizzati sotto ogni punto di vista.

Poi io adoro gli effetti speciali anni ’80.

PS: bisogna ammettere comunque che vedere un David Bowie con la parrucca di McGyver e una calzamaglia che ci tiene a sottolineargli il pacco mentre maneggia con noncuranza un bambino è il più grande spot a favore della pedofilia della storia del cinema.

sabato 11 dicembre 2010

Luci del varietà - Federico Fellini, Alberto Lattuada (1950)

(Id.)

Visto in VHS.

Il primo film di Fellini già contiene in nuce le sue ambientazioni classiche (il circo, la provincia, le luci della ribalta, ecc…), ma ancora non ha la leggerezza da sogno di tutte le sue opere successive.

Il film curiosamente sembra una sorta di “Eva contro Eva” de noantri (di cui è pure coetaneo), con un Peppino De Filippo irretito e sfruttato fino all’osso da una ragazzotta di belle speranze e forme altrettanto belle che riesce rapidamente a fargli le scarpe.

La trama è estremamente originale, nessun happy ending, ma un ritorno alla normalità, che non significa per forza un finale positivo.

Brava la Masina, ancora non incastrata nel personaggio della dolce ingenuotta ed encomiabili tutti i comprimari che rendono il film credibile e all’altezza delle future opere del regista emiliano.

Ah già, c’è pure Lattuada dietro la macchina da presa e come produttore... purtroppo per lui il film fu un totale insuccesso al botteghino.

venerdì 10 dicembre 2010

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni - Woody Allen (2010)

(You will meet a tall dark stranger)

Visto al cinema.

Diciamolo subito; questo è il peggior film di Allen degli ultimi cinque anni (prima no, perchè prima c'è il fastidiosissimo "Anything else")... però bisogna anche ammettere che nell'ultimo lustro, Woody Allen, ha sfornato un film migliore dell'altro...
In ogni caso, questo è il classico film corale che parla di metafisica e spiritismo, dell'arte (della volontà di farle vs il talento), della tendenza innata dell'uomo normale ad infrangere la legge in condizioni particolari e della labilità dei rapporti amorosi.
Il tutto è raccontato con un po di ironia, ma neanche tanta, e senza particolare drammaticità. Si insomma, una commediola sulla vita umana.
Quello che ne esce fuori è un film di classe, diretto in maniera adatta e ben recitato (i migliori sono senza dubbio la coppia Hopkins/Punch), senza particolari picchi, ma decisamente gradevole... si insomma, una pausa di riflessione dopo una serie di capolavori.

giovedì 9 dicembre 2010

Lo studente di Praga - Stellan Rye, Paul Wegener (1913)

(Der student von Prag)

Visto in VHS.

Uno studentello innamorato, ma senza mezzi, fa un mefistofelico accordo con il solito mercante italiano; l’accordo prevede soldi in cambio di un oggetto nella stanza. Lo studente si frega le mani per il vantaggioso accordo, ma come al solito non si rende conto delle conseguenze. Il “mercante” si prenderà l’immagine nello specchio del ragazzo… da questo momento il suo doppio lo perseguiterà, rovinandogli l’esistenza, finchè il ragazzo non deciderà di eliminarlo; ma non si può uccidere la propria ombra senza morire…

Epico film degli anni dieci che per primo ed in forma clamorosamente letterale mette in scena il tema del doppio e del perturbante. Non a caso Freud all’epoca era ancora in giro. La regia statica indica chiaramente che neppure Griffith aveva cominciato a gettare le basi del cinema. Il film non è esattamente quello giusto per passere una serata disimpegnata; ma se uno sopporta i film muti o ha almeno esperienze di sopportazione della noia non potrà non godere degli effetti speciali o del folle finale.

mercoledì 8 dicembre 2010

Il concerto - Radu Mihaileanu (2009)

L'ex direttore d'orchestra del Bolsoj, estromesso dal regime comunista perchè era troppo buono e riciclatosi come uomo delle pulizie intercetta un fax che invita l'orchestra moscovita in Franca per un concerto? non è un buon momento per rimettere assieme la banda e ripartire da dove sie ra stati interrotti trent'anni prima con dovizia di ricordi strappalacrime, secondi fini emotivi e una serie di macchiette pretenziosamente esilaranti?
Mihaileanu ci riprova, ha avuto culo cn "Train de vie" azzeccando la giusta concentrazione di dramma, commedia e melò e pensa anche che non sia stato frutto del caso. Ci riprova e fallisce.
Il film vorrebbe essere tutto e accontentare tutti; ma a fronte di una storia di riscatto e piccoli gesti di grande eroismo ci sta la banalità. Tutto sa di già visto. E un film che vorrebbe accontentare tutti, può solo rendere insoddisfatti; chi si aspettava una commedia sarà tediato allo sfinimento dal ritmo basso e dalle pretese melodrammatiche; chi si aspettava un dramma sul totalitarismo sarà irritato dai siparietti comici, soprattuto quelli più gratuiti (il padre e figlio ebrei che vendono caviale e cellulare sa di patetico, il bacio gay del direttore del teatro è dvertente ma francamente fuori luogo nel momento più empatico).
Potrebbe limitarsi ad intrattenere, ma 2 ore per un film del genere sono troppe.

martedì 7 dicembre 2010

Arizona Junior - Joel Coen, Ethan Coen (1987)

(Raising Arizona)

Visto in DVD.

Filmetto dalle dinamiche e gli stilemi dei cartoni animati che cerca di offrire una commedia dai sani principi familiari in una veste un poco diversa, abbastanza perché sembri non banale e ironica a priori. Peccato perché non è così. Tutte le mire intellettuali poi, ed il film ne è pieno, si concentrano nel simbolico scontro con il cacciatore di taglia, nel discorso moralizzatore di Arizona Sr. e nel sogno premonitore che lascia tutto aperto… peccato perché questo non basta.

Il film è una leggerissima commedia piuttosto cretina adatta ad un pubblico di bambini alla domenica pomeriggio e poco altro; tutte le idee di regia (che ci sono comunque) non riescono e non possono fare il miracolo. La commedia rimane cretina, simpatica, a tratti divertente, ma cretina.

Comunque, e non lo dico spesso, bravo Nicolas Cage.

lunedì 6 dicembre 2010

Due ore ancora - Rudolph Maté (1950)

(D.O.A.)

Visto in DVD.

Un innocuo contabile viene avvelenato con una sostanza ad azione lenta che lo ucciderà in qualche giorno. Data l’impossibilità di salvarsi comincia un’instancabile caccia all’uomo per riuscire quantomeno a capire chi e perché l’ha ucciso.

Il film è evidentemente fatto da un parvenue, un ex direttore della fotografia che però di regia non ne sa a pacchi, a fronte di un ottimo incipit, la storia, presentata i flashback, ci mette una vita ad ingranare, e passa più di mezzora di film prima dell’avvelenamento. Da quel momento è tutta una frenetica fuga alla scoperta di una storia intricata il giusto per essere un noir, anche se non molto credibile.

Come si diceva la regia non brilla mai in maniera particolare e ha anche qualche caduta, ma la storia, originalissima, regge fino alla fine, rendono questo film una delle più originali cacce all’uomo della storia del cinema.

PS: un encomio ai titolisti italiani, che per poter mantenere inalterata la sigla del titolo ne hanno però trasformato il senso da dead on arrival (il codice D.O.A. con questo significato è usato da polizia e ospedali in america quando arriva un cadavere) a due ora ancora, così da renderlo sensato e comunque inerente alla storia. Per una volta bravi.

domenica 5 dicembre 2010

L'isola degli zombies - Victor Halperin (1932)

(White zombie)

Visto in DVD.

Classico film horror d'ambientazione esotica anni '30, con zombie che ancora non sono mostri affamati di carne umana e dal contagio epidemico alla Romero, ma sono invece sul modello del gorongoro disneyano; con un Lugosi uscito dal successo di "Dracula" e che ancora si ostina a recitare solo con sguardi truci e movimenti di mani.
Un film senza alcun appeal e con poche attrattive (bella la scena che mostra i due innamorati a distanza con uno split screen dalla forma non convenzionale) ed un Lugosi (vero epicentro del film) che non farebbe paure neanche al suo commercialista.
Solo un pezzo di antologia del cinema horror, per completisti della filmografia di Lugosi.

sabato 4 dicembre 2010

La signora di tutti - Max Ophüls (1934)

(Id.)

Visto in DVD.

Film sulla fama, e su una donna che affascina e distrugge, involontariamente qualunque uomo l’avvicini. Il film è realizzato in flashback, dopo un tentativo di suicidio di cui si scoprirà l’epilogo solo alla fine…

Il film è recitato malissimo. Ma veramente male, ma soprattutto la protagonista sembra proprio una ritardata. Il sonoro d’epoca è fatto da un branco di cani paralitici; la sceneggiatura è di un raro imbarazzo, soprattutto nei dialoghi così cretini. In più molti attori più che parlare biascicano, se poi lo fanno con un sigaro i bocca la situazione diventa il festival del ritardo.

Il film è evidentemente fatto a caso da gente largamente impreparata, si vede addirittura un tecnico entrare per sbaglio in scena nella passeggiata notturna alla festa.

Il film ha di buono solo la regia, ed infatti è l’unico film italiano realizzato d Max Ophüls (e per fortuna che è l’unico), e dono al film alcuni montaggi serrati, dinamici quanto i continui movimenti di macchina, vera cifra stilistica del regista (come la macchina da presa che segue gli attori in diverse stanze). Carino anche il finale. Si insomma buona la regia e pessimo tutto il resto… se si pensa che ha vinto come miglior film italiano alla biennale di Venezia… c’è da rabbrividire al pensiero degli altri.

venerdì 3 dicembre 2010

Amarcord - Federico Fellini (1973)

(Id.)

Visto in DVD.

Ultimo capitolo della trilogia del ricordo. Fellini finalmente torna alla terra natale abbandonando le velleità da mockumentary dei film precedenti. Continua però con una storia spezzata, fatta di piccoli episodi indipendenti e con personaggi che ancora parlano in camera per spiegare ciò che avviene.

Il film risulta essere quello decisamente più organico, crea un mondo tridimensionale (come facevano gli altri) ricco di affetto e poesia, eppure riesce anche a mostrare una storia, l’epopea di un mondo ormai morto intriso dei suoi difetti e delle sue piccolezze.

Questo non è assolutamente il mio film felliniano preferito, eppure riesce con poco a fare molto, e anche le scene che appaiono più brevi o inutili brillano della luce sognante delle opere del regista (come l’inseguimento della gradisca fra i cumuli di neve, o la stupenda scena dell’attesa del Rex, interamente realizzata in studio).

giovedì 2 dicembre 2010

8 donne e un mistero - François Ozon (2002)

(8 femmes)

Visto in VHS.

Un uomo che vive con otto donne (la moglie, le 2 figlie, la suocera, la cognata, la governante, la cuoca e la sorella) viene trovato morto. Tutte sono sospettabili del delitto, sfortunatamente una grande nevicata impedisce di lasciare l’isolata abitazione ed il telefono è stato tagliato. Inizierà un gioco d’accuse reciproche che porterà a scoprire gli enormi scheletri che abitano gli armadi di quella famiglia allargata.

Commedia gialla (carina e cretina insieme) di Ozon, regista a cui piace mischiare i generi senza badare alla credibilità della fusione, qui realizza un mezzo film musicale, donando a tutte le protagoniste una canzone, a cui le altre partecipano con un abbozzo di coreografia.

Un esperimento ardito ma perfettamente riuscito grazie ad un cast stellare (da encomiare soprattutto la performance della Ardant e la trasformazione della Huppert che in ogni film sembra una persona diversa dai film precedenti), una scena di catfight lestissimo tra 2 mostri sacri ultacinquantenni del cinema francese (!), ed una cura della messa in scena impressionante, tra un uso al limite del kitch dei colori (sempre accesissimi, e identificativi dei personaggi) ed una fotografia decisamente superiore alla media.

Davvero un film al limite della decenza che riesce ad azzeccare tutti gli obbiettivi che si pone, o quasi.

mercoledì 1 dicembre 2010

Delitti e segreti - Steven Soderbergh (1991)

(Kafka)

Visto in VHS


Un film che utilizza Franz Kafka come personaggio di una storia dai continui rimandi alle opere e alla vita dell’autore stesso, pur non essendo ne l’una ne l’altra. L’idea è certamente buona e la realizzazione è anche di livello, con l’uso del bianco e nere e delle ombre sulla scia dell’espressionismo tedesco (molte anche le citazioni in quel senso). La storia è un thriller ambientato nel mondo kafkiano dei romanzi dell’autore ceco, cupo e assurdo. Il cast decisamente buono sostiene bene…. Però qualcosa non va.


Il clima da commedia grottesca che a volte assume, il senso di operazione intellettuale inutile e pretenziosa che si sento continuamente, o qualche decisa caduta di stile (tutta la scena ambientata nel castello è francamente eccessiva, nella messa in scena e nella caratterizzazione dei personaggi, piatti e al limite, oltre che banale nella realizzazione; perché raccontano tutto? E soprattutto perché qui è a colori? Facendo perdere gran parte del fascino originale).


La regia di Soderbergh garantisce di essere proprio un operazione intellettuale e ne detiene in effetti tutti i limiti, eppure per gran parte del suo minutaggio affascina, e lo fa con stile.

martedì 30 novembre 2010

Crimen Perfecto - Alèx de la Iglesia (2004)

(Crimen Ferpecto)

Visto in DVD.

Altra commedia nera per de la Iglesia, un poco meno nera ed un po più commedia del precedente “La comunidad”.

La storia di un uomo che impronta l’intera sua esistenza sullo stile e sul fascino, fra abiti perfetti, donne bellissime ed un lavoro impeccabile; che però si trovo ad uccider per sbaglio un concorrente; l’unica testimone è la più brutta delle sue colleghe che approfitterà del vantaggio conseguito per sfruttare in ogni modo il protagonista.

Al di la della regia sempre dinamica di de la Iglesia, il film risalta particolarmente per il discorso anti convenzionale nei confronti del tema della bellezza. Qui in questo film l’essere brutti fuori significa esserlo anche dentro, e la brutta protagonista non cerca una giusta rivalsa, ma un’umiliante sconfitta dell’avversario divenendo peggiore di lui. La simpatia del pubblico poi non può che essere attratta dallo stiloso protagonista maschile.

Interessante, anche se superficiale, il discorso sull’estetica che viene gridato nella scena dell’ascensore. Veritiero e cinico nello stesso tempo.

Certo, “La comunidad” è decisamente migliore ed il finale di questo film delude un poco, ma rimane una delle commedie più interessanti degli ultimi anni.

lunedì 29 novembre 2010

Mishima una vita in quattro capitoli - Paul Schrader (1985)

(Mishima: a life in four chapters)

Visto in VHS, i lingua originale sottotitolato.

La vita del grande scrittore giapponese Yukio Mishima, icona prima ancora che artista, di rilievo nella seconda metà del novecento.

Si, siamo davanti ad una biografia, ma forse è il migliore biopic mai realizzato fino a “Io non sono qui”. La vita è mostrata tutta in funzione della filosofia dello scrittore (sulla confluenza tra bellezza, arte e azione) filtrata attraverso il suo ultimo, esaltante, giorno di vita, flashback del suo passato realizzati in bianco e nero e la messa in scena molto teatrale di 3 suoi romanzi esplicativi dei tre concetti sopra indicati.

Una biografia in 4 capitoli in totale che è più improntata a spiegare il personaggio Mishima, più che i fatti, intenta quindi a dire che fosse e non ciò che ha fatto. In questo senso originalissima.

La realizzazione poi è assolutamente impeccabile, formalmente perfetta nel raccontare la sua vita maestosamente kitch nel mostrare le sue opere; e proprio li sta il meglio. La rappresentazione dei suoi romanzi, anche se molto condensata, è essenziale e perfetta; difficile, ad esempio, pensare ad una miglior realizzazione de “Il padiglione d’oro”, anche se completamente antinaturalistica, l’ambientazione ricostruita in studio con scenografie dipinte integralmente in oro è la cornice migliore che possa essere pensata.

Un lavoro che dimostra una profonda conoscenza dell’autore e che ha il solo difetto di risultare poco comprensibile in diverse parti per chi non è pratico delle opere o della vita di Mishima (stesso difetto che aveva “Io non sono qui”). Rimane però una titanica festa per gli occhi, che nel piatto mondo dei biopic brilla con ancora maggior intensità.

domenica 28 novembre 2010

Baciami, stupido - Billy Wilder (1964)

(Kiss me, stupid)

Visto in VHS.

Finalmente mi sono riappacificato con Wilder e con Diamond. Con questo Baciami stupido non siamo davanti ad un capolavoro, ma finalmente un film dignitoso che diverte e intrattiene con intelligenza.

E’ il classico gioco di fraintendimenti che portano una coppia a separarsi, tradirsi e ritornare insieme come se nulla fosse, sullo sfondo dell’america way of life che sostiene che chiunque abbia doti e intraprendenza può farcela. Wilder prima si scaglia contro il sogno americano, poi contro la mitopoiesi contemporanea (magnifico Dean Martin nella parte di un avvinazzato e donnailo se stesso… quindi nella parte di se stesso) ed infine contro la storia d’amore canonica dove si preferisce la sofferenza al piacere.

Per carità tutto finisce bene, anzi benissimo, ma l’happy ending finale ha un gusto un po amaro per chi si aspetti la solita storia d’amore, i protagonisti si tradiscono l’un l’altro, volontariamente (e la moglie lo fa consapevole di tutta la vicenda) per poi accettare di non sapere mai come siano andate le cose e far finta di nulla.

Bravo Wilder.

sabato 27 novembre 2010

Sweetie - Jane Campion (1989)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Primo film per la Campion e già si vede che non aveva più nulla da imparare. L’attenzione per la costruzione delle scene, il dedicarsi ai dettagli e agli oggetti, le composizioni con inquadrature inusuali, l’uso sapiente dei colori, e la creazione di stupendi inserti surreali ci sono già tutte. La stessa sceneggiatura non è malvagia.
Una ragazza che dovrebbe farsi ricoverare si mette con un tizio soffiandolo all’amica, ovviamente (?) non faranno mai sesso, poi arriva la sorella della protagonista, ancora più da ricoverare, e ne farà di ogni, poi verrà il padre delle due che anche lui meriterebbe almeno una visitina dallo psichiatra, com’è come non è si arriva allo scontro di personalità (e alberi) e si giunge ad un finale inevitabile.
Per carità, la storia troppo spesso gira intorno a se stessa, ma lo fa con grazia e concedendosi momenti di ottima regia, e passa senza problemi. Un ottimo film che spiega fin da subito quello che si vedrà nei decenni successivi.

venerdì 26 novembre 2010

La comunidad, intrigo all'ultimo piano - Alex de la Iglesia (2000)

(La comunidad)
Visto in VHS.
Una dipendente di una ditta di vendita d’immobili si installa per un breve periodo in un appartamento in vendita, dove accidentalmente verrà in possesso di diversi milioni, non sa però che l’intero condominio è a conoscenza della cosa e che sono tutti molto, molto determinati a prendersi i soldi.
Divertente commedia nerissima della mia nuova scoperta personale de la Iglesia (visto quanto ho sentito parlare di “Balada triste de trompeta“ mi sembrava giusto informarmi sulla filmografia precedente prima di vederlo) che con gusto sadico trasforma un colpo di fortuna in una lenta discesa all’inferno praticamente inarrestabile e da cui sembra impossibile uscirne.
La cosa migliore però è la costruzione dei personaggi, tutti hanno una personalità e tutti sono egualmente colpevoli (la protagonista dimostra non poca avidità e si dimostra al pari degli altri condomini, come ci tiene a dirle la sua dirimpettaia), pertanto la fortuna non arride ai più meritevoli, semplicemente ai meno abbietti…
Nel comparto tecnico de la Iglesia sfodera dei colori accesissimi e lussureggianti con una fotografia ben curata; il tutto è incorniciato da una regia circense dalle inquadrature mai banali che trova il suo meglio nelle scene d’azione (il finale sul tetto dei palazzi è realizzato benissimo). Viene poi unito un uso sensato degli effetti speciali, che diventano pacchiani solo in una scena, forse due (come nel salto dell’anziana condomina da un tetto all’altro dove sembra di essere in un film di Stephen Chow).
Una vera scoperta, un film divertente e cattivo diretto da dio e visivamente sorprendente che mi incuriosisce ancora di più sulla “Balada triste”…e ovviamente mi pone in mente la solita questione, perché in Italia non siamo in grado di fare film di questo livello?

giovedì 25 novembre 2010

Il vento - Victor Sjöström (1928)

(The wind)

Visto in Dvx.

Una ragazza va ad abitare dal cugino in una valle in un deserto negli USA dove il vento soffia senza tregua. Il rapporto con la moglie del cugino si fa rapidamente teso e verrà costretta ad abbandonare la casa, per farlo dovrà sposarsi (non potendo sostenersi da sola).

Le cose non possono certo migliorare, legata ad un uomo che non ama e vittima di un vento che la fa uscire di testa, eppure tutto precipiterà solo con l’arrivo di un suo vecchio spasimante e si concluderà in un finale tragico, ma che porterà la ragazza ad amare di nuovo donandole la speranza.

Se il film risulta già di per se originale nella costruzione di una storia in cui un crimine rimane impunito (cosa più unica che rara all’epoca), ciò che più lo contraddistingue è la solida regia di Sjöström, che riesce a rendere odioso il vento anche allo spettatore con il continuo mulinare di sabbia (altra costante del film) e con i vestiti scossi. Ma nel contempo regala immagini e scene ricercate di una bellezza ed un impatto particolari; su tutti merita d’essere citato il cadavere nella sabbia, ironicamente, scoperto dal vento.

Magnifica la Gish, non avrei mai detto di dirlo d’un attore del muto, ma dona al suo personaggio una profondità ed una credibilità mai raggiunti prima.

mercoledì 24 novembre 2010

La camera verde - François Truffaut (1978)

(La chambre verte)

Visto in DVD.

Il film parla di un necrofilo in senso letterale, un uomo che ama i morti più dei vivi o della vita stessa e dei suoi tentativi di non dimenticare chi è passato a miglior vita. Decisamente il tema è originale, che io sappia nessuno prima aveva mai preso così di petto la questione dei morti, però purtroppo i dialoghi troppo aulici rischiano di rendere troppo barocco e cretino il film e il passo lento della trama tedia ben prima di giungere a metà.

La cura ed il realismo della messa in scena, la credibilità dei personaggi e la regia tutta intenta a non staccarsi mai dai protagonisti ridanno spessore alla storia e ad una galleria di personalità che sarebbero altrimenti soffocate degli sbadigli… poi però Truffaut si cimenta nell’arte del distacco e tratta freddamente un film che parla unicamente di empatia con un risultato evidentemente fallimentare.

Certo c’è da dire che Truffaut (anche protagonista) è un pessimo attore, adatti a fare un’espressione sola, a metà via tra l’apatico ed il corrucciato; ma in questo caso ci sta, ci sta tutto, da la giusta tonalità ad un personaggio distaccato e disinteressato dalla vita.

Alla fin fine la storia non ha sussulti, il film non avvolge, non dona il piacere dell’empatia, risulta freddo come il suo protagonista; t, intrattiene senza troppa convinzione un film non convenzionale che avrebbe meritato più cura e meno intellettualismo. Il finale, abbastanza ovvio non salva il baraccone.

martedì 23 novembre 2010

La stregoneria attraverso i secoli - Benjamin Christensen (1922)

(Häxan)

Visto in VHS.

Il film si sviluppa come una sorta di documentario su ciò che si credeva fosse la stregoneria nel medioevo e sulle metodiche utilizzate per “scoprirla”, con diverse scene rappresentate in chiave drammatica e con considerazioni di parte del regista che si schiera apertamente a favore delle condannate.

Il film sarebbe già di per se eccezionale per il punto di vista non scontato (io immagino gli anni ’20 come una propaggine del medioevo) e per la realizzazione pratica che non lesina in creature mostruose e demoni vari, realizzati con maschere decisamente efficaci per l’epoca. Come dicevo il film sarebbe già eccezionale per le ragioni tecniche se nel finale non mostrasse un animo illuminista oltre ogni dire, mostrando come le streghe del medioevo altro non sono che le attuali (per l’epoca) isteriche, rendendo evidente come una malattia psichiatrica potesse essere confusa e storpiata dalla superstizione, ma il film va oltre ancora e dichiara più o meno apertamente che tra le torture perpetrate dalla chiesa cattolica e le cure psichiatriche dell’epoca non c’è una gran differenza. Uno spirito critico davvero notevole al di là dell’esattezza delle situazioni mostrate.

lunedì 22 novembre 2010

Un homme qui crie - Mahamat-Saleh Haroun (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.

Questo è il film vincitore del 30esimo Festival Africano, presentato di nuovo in chiusura per chi, come me, non era riuscito a vederlo.
Un ex campione di nuoto del Ciad, ormai anziano, lavora come bagnino in una piscina per ricconi assieme al figlio. A causa di tagli al personale gli viene preferito il figlio e lui diventa portiere della struttura… nulla di brutto se non fosse che la piscina era il suo ultimo sogno, il suo ultimo contatto con il suo passato da campione, il suo orgoglio e, forse, il suo unico motivo di gioia… poi il Ciad scivola sempre di più verso la guerra civile e lo stato richiede un pagamento per la guerra… il padre avverte l’esercito che il suo ventenne figliolo dovrebbe andare a combattere, e l’affamato esercito non se lo farà ripetere due volte. Presto arriveranno i sensi di colpa; assieme alla fidanzata gravida del figlio; e ci sarà un ultimo, strenuo tentativo di riparare al danno fatto.
Film esteticamente pulito e lindo e di qualità superiore (ma ha preso finanziamenti dalla UE, dalla Francia e dal Belgio, quindi…); con una regia precisa che sa quello che fa e cosa vuol fare, ma soprattutto ha tutti i mezzi per farlo e qualche velleità autoriale (come il lento ed inesorabile zoom sul volto impassibile del padre mentre macina la terribile decisione)… peccato che il suo obbiettivo sia bissare Antonioni
Lunghi silenzi, tante domande lasciate senza risposta (una cosa molto sgarbata, almeno quando chiedono “come stai?” potrebbero rispondere), molte inquadrature fisse (anche se casomai inutili) e prolungate. Per carità il paragone con Antonioni è eccessivo, ma la noia c’è, e una storia di rivalsa originale come questa, ed una regia asciutta e pulita come questa vengono svilite e ammorbate. Peccato.

domenica 21 novembre 2010

The social network - David Fincher (2010)

(Id.)

Visto al cinema.

Fincher fa in media un buon film ogni dieci anni, quindi direi che per questo decennio ha già dato.
The social network è un biopic atipico, che ricostruisce la nascita di facebook tramite la ricostruzione fatta in due distinti processi in cui si ritrova invischiato il giovane Zuckerberg; e tramite i processi non ci viene svelata solo la genesi del più famoso sito internet del pianeta, ma anche l'animo e la psicologia dei personaggi... dei totali nerd.
Fincher si mette nella scia di Hess e di Apatow nella mitopoiesi del nerd; i due registi comici infatti hanno a poco a poco dato dignità alla figura del nerd sfaccettandola e rendendolo un personaggio a tutto tondo, ben lontano da quello che Porky's ci aveva insegnato. Fincher, come dicevo, si mette in scia, ma fa di più; intanto non fa un film comico, e poi mostra ogni lato del nerd archetipico (che è Zuckerberg ovviamente), mostrandone l'incapacità nelle relazioni sociali, il tentativo di ovviare alla mancanza di una vita con quella virtuale, ma anche le passioni, l'amore per la sua prima ragazza mai dimenticata (il finale è esemplare), il desiderio di rivalsa e di grandezza, oltre che la voglia di vendetta, oltre che la dimostrazione di come la frustrazione sia all'origine di ogni vero colpo di genio.

Un film realizzato come si deve, con ottimi dialoghi, cast in parte, ritmo continuo e pochissime velleità autoriali che potrebbero appesantire, e per Fincher rinunciarci non dev'essere stato facile (giusto la stupenda scena della gara di canottaggio fa vedere che se vuole il regista sa tirare fuori gli attributi fondendo inquadrature, montaggio e musica in un mix perfetto).

sabato 20 novembre 2010

Soul boy - Hawa Essuman (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.


Nella baraccopoli Nairobi un ragazzino si accorge che il padre è malato, ma non è una semplice malattia del corpo, al padre è stata rubata l’anima. Per riaverla indietro dovrà affrontare 7 prove chiestegli da una demone donna; prove che lo metteranno di fronte alle sue paure e gli mostreranno la sua stessa vita in un’ottica diversa.

Fiaba moderna con tutti i crismi del caso e con l’aggiunta di una venatura horror nelle belle scene dell’incontro con il demone; peccato per la messa in scena frettolosa che rende il film pieno di ritmo (è vero), ma anche troppo rapido nello svolgimento, avrebbe meritato qualche decina di minuti in più (anche perché il minutaggio è lieve lieve, solo 60 minuti).

Un film per ragazzi fatto da ragazzi, con l’indiscusso vantaggio di trattare il suo pubblico decentemente, senza pensare che ci siano dei cretini davanti allo schermo. Il film evita gli eccessi cazzari e casinisti dei film di questo genere made i USA (ma anche Europa), gli scambi di persone idioti o il fatto che i ragazzi si comportino da adulti in ogni loro atteggiamento. Qui ci sono dei preadolescenti che fanno cose da preadolescenti (e anche le prove da superare si adeguano); i rapporti dicotomici con l’altro sesso; le prove di coraggio cretine sulle rotaie del treno ecc…

Complessivamente un lavoro ben realizzato nella messa in scena (ottima la fotografia) e nella frettolosa sceneggiatura. Anche se la maggior parte del cast artistico e tecnico è preso direttamente dalla baraccopoli, va però detto che questa è stata una produzione in parte europea (compare spesso il nome di Tykwer, ed in effetti il film ha già trovato distributori tedeschi ed uscirà a dicembre) con un sostanzioso contributo tecnico con persone del mestiere. Comunque un buon crossover di competenze.

A proposito di crossover; da sottolineare che nel film si mostra lo spettacolo teatrale itinerante di cui è stata realizzata la versione cinematografica già mostrata in questo festival, si tratta di “Ndoto za Elibidi”; ed altresì da sottolineare la presenza nel cast di questo film di Nick Reding, co-regista dell’altro…


Prima di questo film è stato presentato il corto (solo di nome, perché di fatto è un dignitosissimo medio metraggio di 48 minuti!) “Un transport en commun” di Dyana Gaye.

Questo è decisamente il corto di questo festival (ok, ne ho visti troppo pochi per poterlo dire con certezza, ma l’arroganza è sempre stata una mia virtù). Questo è un musical a tutti gli effetti, ma al contrario di “Nha fala” utilizza tutti gli stilemi classici. Personaggi che improvvisamente si mettono a cantare e tutti attorno a loro cominciano una coreografia complessa e molto curata. Le canzoni non sono tutte splendide (e gli attori non spiccano per la voce…), ma le muscihe sono tutte vecchio stampo (con echi delle canzoni francesi dagli anni 40 ai 60) e funzionano bene. La storia è molto approssimativa e con un poco in più d’impegno sarebbe venuto fuori un lungometraggio di tutto rispetto. Però l’idea è ottima, il formato buono e premia il fatto di non mostrare mai luoghi da cartolina, ma pezzi di vita reale e basta; in più ci sono un apio di canzoni “sociali” sullo stato delle cose nel Senegal o sulle speranza di una vita migliore nell’emigrazione (verso l’Italia, fatalità, Rimini per esattezza, e le belle speranze del personaggio risaltano dalla consapevolezza di quello che in realtà troverà qui… e comunque anche i sengalesi ci vedono come ci vedono gli americani, cappelli di paglia, mandolini e ferrari…).

Ah già la storia, un gruppo di sconosciuti prende un taxi colletivo per andare da Dakar a Saint Louis, per motivi diversi; durante il viaggio parleranno di se…

venerdì 19 novembre 2010

London River - Rachid Bouchareb (2009)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso).

Il film è stato presentato come evento speciale alla memoria di Sotiqui Kouyaté, uno degli attori africani (neri, sennò ci stava anche Charlize Theron nel novero) scomparso nell'Aprile di quest'anno. Questo è stato il suo ultimo film.

Dopo gli attentati del 7 luglio a Londra, una madre (Brenda Blethyn) rimasta senza marito non riceve più notizie dalla figlia. Spaventata decide di andare a cercarla. Una volta giunta alla casa della figlia inizierà a scoprire lati di lei che non conosceva (conviveva con un ragazzo africano, stava studiando l'arabo e frequentava la moschea), mentre sempre di più le serpeggia la certezza che sia morta durante gli attentati. Nel frattempo anche il padre del ragazzo sta cercando notizie del figlio, dopo le prime diffidenze, i due si uniranno nella disperata ricerca.
Classico melodrammone dai risvolti sociali (i soliti discorsi sulla diversità e sull'accettazione) e realizzato con la sempre più odiosa camera a mano... però devo ammetterlo, i drammi inglesi mi conquistano sempre. Sarà la loro verosimiglianza, il loro voler sembrare autentici il più possibile (ecco perchè usano la camra a mano fino allo spasimo), sarà Brenda Blethyn che nelle parti di madre disperata è sempre bravissima, sarà che i drammi inglesi non sono mai consolatori. Anche in questo caso l'accettazione del diverso (che in un film americano, o italiano, sarebbe stato il finale morale prima dell'happy ending) è sostanzialmente inutile, le cose non cambiano, e l'intero film si può riassumere nelle due scene finali; da una parte Kouyaté che da ordine di abbattere uno dei suoi amati olmi, quasi senza combattere; nell'altra la Blethyn che, tornata a casa, zappa la terra, in un impeto disperato, che sembra quasi voler fare del male al terreno, da sola, senza possibilità d'essere aiutata.

giovedì 18 novembre 2010

Ndoto za Elibidi - Nick Reding, Kamau Wa Ndung'u (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso); in lingua originale.

Opera premiata dalla delegazione del Festival di Cinema Africano allo ZIFF (Zanzibar International Film Festival) e che pertanto lo presenta in Italia nella speranza che trovi una distribuzione (non per essere pessimista, ma faccio una previsione… non troverà nessun distributore interessato)

Il film è una sorta di pubblicità progresso sull’uso del preservativo e d’educazione sessuale e sulle malattie sessualmente trasmissibili (HIV)… il che non è positivo… ma non lo si capisce subito…

Il film parte con l’arrivo di un gruppo teatrale (teatro di strada) in una baraccopoli, e mostra lo show degli stessi (il protagonista dello è quell’Elibidi del titolo, a proposito, il titolo significa “Il sogno di Elibidi”); il protagonisti racconta la sua prima volta a Nairobi con il fratello, l’incontro con una ragazza ed il matrimonio… e fin qui le cose vanno da dio. Fotografia di qualità, recitazione stupenda, ed un’idea grandiosa, la commistione tra lo show teatrale mostrato come tale (con costumi di seconda mano, senza alcun oggetto di scena, e con l’unica scenografia rappresentata dalla baraccopoli e dal pubblico sghignazzante) e l’equivalente mostrato come film tout court. Idea ottima realizzata davvero bene, con le azioni iniziate sul palco che si concludono nel luogo reale (Nairobi) e viceversa… va detto che lo spettacolo teatrale è all’origine del film ed è uno show itinerante per il Kenya a scopo educativo realmente esistente.

Poi arrivano le storie delle 4 figlie del protagonista e per un po il film regge; finchè non diventa pesantemente educativo e didascalico; il rapporto tra realtà/finzione, tra teatro/film si annacqua e si perde; e soprattutto quando avviene lo shift verso la tragedia. Per carità tutto ha il suo scopo, e questo è prima di tutto un film educativo, però l’altra carta vincente del film è la leggerezza con cui viene trattato il tema, la levità nel mostrare i rapporti dei personaggi con lo spauracchi dell’HIV, con la scena dello stupro questo effetto viene perso integralmente… ci mette un po a ritornare sul seminato, ma nel finale il film torna quello che era all’inizio…

Che dire, nel complesso è un ottimo film-progresso, ma se solo avessero voluto osare un poco di più e si fossero impegnati nel rendere meno schematica la storia avrebbero potuto realizzare un grande film.

PS: come detto il cast è eccezionale, credibilissimo, spontaneo e bravo in ogni situazione; e i complimenti sono d’obbligo dato che il cast non è fatto da professionisti, ma preso dalla baraccopoli (con qualche show itinerante sulle spalle come gavetta)

Hyènes - Djibril Diop Mambéty (1992)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso); in lingua originale

Opera presentata nell’ambito dei festeggiamenti del trentennale del festival.

Film atipico nel panorama cinematografico africano ad opera di Mambéty, uno dei rinnovatori della settima arte del continente nero. Atipico in quanto è tratto da un'opera di Dürrenmatt: “La visita della vecchia signora”.

La storia è quanto di più affascinante si possa volere. Una donna umiliata e derisa da giovane, fuggita dal suo villaggio torna decenni dopo, ricca e potente, e promette soldi, tanti, a tutto il villaggio, in cambi chiede che venga ucciso l’uomo che ne causò la fuga. Immediatamente tutti si ergono a proteggere il vecchio (come chiosano ad un certo punto; non sono mica in America), ma i regali che l’anzian fa alla popolazione scatenano una serie di reazioni che condurranno all’inevitabile finale. Impossibile la fuga, impossibile il perdono.

Il film rende da dio la tranquilla ansia di vendetta della donna, ma anche il suo immutato affetto per l’uomo che vuole morto (magnifica in questo senso la scena in riva al mare), nonché l’acquisita arroganza dovuta alla sua nuova posizione. Il film voleva essere soprattutto un atto d’accusa contro la corruzione (dello stato, delle forze di polizia, della giustizia, della religione, e una corruzione morale dilagante) densa di simboli tuttora efficaci (l’evidente parallelo con le iene; il grottesco tribunale finale nel cimitero degli elefanti; o la bellissima immagine finale del baobab in lontananza), più qualcuno tipico del luogo (la rete da pesca come immagine della corruzione, che viene usata dal giudice ed indossata al collo del capo della polizia; o le facce dipinte di bianco nel giudizio finale a simbolo del male). In questo senso il film funziona; e funziona bene la regia, abbastanza sicura in toto, con qualche decisa virata autoriale nella costruzione di alcune inquadrature (soprattutto nella chiesa) o nell’utilizzo di alcuni paesaggi (la già citata immagine del baobab, il deserto durante il viaggio in macchina, la costa nella scena sul mare dell’incontro fra i due “antagonisti”).

Non tutto però funziona. I dialoghi sono buoni solo in parte e la storia nel complesso ingrana bene solo ad un certo punto (durante la prima mezzora ho rischiato più volte di addormentarmi). Gli attori presi dalla strada fanno pesare la loro verginità cinematografica e l’intera opera risente di quell’amatorialità dovuta alla mancanza di mezzi.

Ma nonostante questo, nel complesso funziona. Funzione e obbliga a vedere il precedente film tratto dalla stessa opera, stavolta però americano.

mercoledì 17 novembre 2010

Imani - Caroline Kamya (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale.

Nell'Uganda contemporaneo si muovono le vite di una colf la cui sorella è stata arrestata per l'omicidio del marito; un ex bambino soldato che ritorna dalla famiglia che l'aveva perduto; e di un ballerino hip hop che dovrà fare i conti con un ex amico ora capo della mala locale.
Il film si muove su tre binari indipendenti, che non si incorciano mai, ma che vogliono essere l'emblema dell'Uganda contemporaneo (la situazione della donna, la gestione degli strascichi della lunga guerra civile e la voglia di rinascita al di sopra del marciume che ancora ricopre tutto), nonchè un racconto moralizzante sulla forza della fede (questo significa il titolo) per superare le avversità.
Posto che 2 racconti su 3 non hanno un vero e proprio finale (quella del ragazzo che torna dalla famiglia non si conclude, mentre a quella del ballerino vengono dati i titoli di coda in cui vi è il tanto agognato spettacolo), quello che più sorprende è la bravura nel raccontare le storie, più delle storie in se. Gli avvenimenti sono chiari, narrati bene, ottimamente connessi gli uni negli altri e senza mai un attimo di stanca (nonostante non siano storie molto articolate o d'azione). La chiusura del film lasciata allo spettacolo hip hop è un tocco di stile kitaniano che apprezzo molto.
Se si considera poi che questo film è il primo della storia dell'Ugando ad essere ripreso con una red camera, e comunque di qualità decente; il che è decisamente un valore aggiunto.
Niente di eclatante, ma un buon film medio, messo ancora più in luce dalle pessime visioni dei giorni scorsi.

Il film è stato anticipato dal corto "Maibobo", di Yves Montand Niyongabo. Film che dura quasi quanto un mediometraggio e narra, con pochi mezzi e poche pretese, di alcuni ragazzi di strada (i maibobo appunto), orfani della guerra, del loro vivere di espedienti e delle loro aspirazioni... in realtà detto così sembra meglio di com'è; in pratica è solo mezzora di una pubblicità progresso non molto cinematografica, ma estremamente melodrammatica ed ingenua (c'è addirittura una scena in cui uno di questi ragazzi scrive una lettera ai 5 grandi leader della terra per far cessare le discordie e nel farlo piange calde lacrime che bagnano quanto sta scrivendo...sic!)