venerdì 27 giugno 2014

Fratelli per la pelle - Bobby Farrelly, Peter Farrelly (2003)

(Stuck on you)

Visto in tv.

Due fratelli congiunti che vivono in Massachusetts, sono le celebrità locali per la loro abilità nel condurre un fast food e per le loro performance nell'hockey. L'equilibrio si rompe quando uno dei due decide di provare a fare l'attore a Hollywood; verrà ingaggiato da Cher per cercare di far fallire il programma in cui è incastrata; ovviamente (invece) avrà successo, ma tra i due fratelli qualcosa si romperà.

I Farrelly sono stati la coppia di registi comici più coglioni, onnivori e divertenti di metà anni '90; hanno sempre preso di mira i veri punti deboli della società con un'ironia grottesca ed estrema, hanno sempre rimasticato gli stilemi della tv (con il SNL è stato un do ut des); questo unito ad attori sempre di calibro (anche se spesso ancora scarsamente famosi... lanciandoli in maniera definitiva) pronti a tutto. Ecco, con tutto ciò sono spesso riusciti a fare film imperfetti, ma stupidamente divertenti.
Ma dopo "Tutti pazzi per Mary" c'è stato un progressivo declino che li ha portati ad essere l'ombra di sé stessi. In mezzo a questo declino si posiziona questo film ed è un'eccezione.
Non è un film perfetto; di fatto c'è un'idea di base semplice ma ottima che presto si svilisce nel politicamente corretto e nel consolatorio; il ritmo è altalenante; i numerosi camei sono un fiore all'occhiello, ma talvolta riescono anche ad appesantire per nulla; i personaggi sono sostanzialmente inesistenti, macchiettistici in maniera quasi eccessiva. Quello che però funziona è la comicità idiota, in poche parole si ride (e personalmente ho aprticolarmente apprezzato le parti in cui compare Cher).

lunedì 23 giugno 2014

Tokyo-ga - Wim Wenders (1985)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Documentario di Wim Wenders a Tokyo sulle tracce, reali, ma anche metafisiche, di Ozu.
Il lavoro che cerca di fare il regista tedesco è un discorso sull'immagine (il titolo significa proprio "immagine di Tokyo"); in giro per la capitale giapponese realizza due interviste a due collaboratori di Ozu, si filosofeggia sul concetto d'immagine, chicchera con gli amici e ce lo fa sapere, gira per una Tokyo americanizzata, gira un vero e proprio documentario sui costruttori dei cibi in cera da mettere in vetrina. Tutto quello che fa è parlare di immagini, con i collaboratori di Ozu, con gli amici, i costruttori di immagini di cibi non sono altro che diverse versioni dello stesso discorso. Tutto poi viene realizzato tentando di seguire le stesse linee guida del regista giapponese (camera fissa, almeno una scena in treno, stesse location).
Tutto sommato però il senso ultimo del film (l'immagine) a me è parso affogato in tantissimo cazzeggio mentale, un ritmo soporifero e alcune lunghe sequenze (i costruttori di cibi, ma anche i rockabilly che ballano) che sarebbero state realizzate meglio da Syusy Blady. Tutto è dispersivo ed eccessivamente filosofico, tanto da perdere completamente il senso di quello che viene raccontato, mentre le immagini realizzate sono di un'estetica imbarazzante.
Le due interviste ai collaboratori di Ozu però sono qualcosa di bellissimo (la seconda soprattutto); non è tanto il racconto di qualche piccolo retroscena, quanto il rapporto particolare che si veniva a creare con il regista, l'aura metafisica attorno ad uomo che era anche il padre spirituale di tutte le persone che lo circondavano.

venerdì 20 giugno 2014

Fritz il gatto - Ralph Bakshi (1972)

(Fritz the cat)

Visto qui and here.

Un gatto (studente?) vive tra sesso occasionale (ma piuttosto consistente), fumo di marijuana, contestazioni, tentativi di rivoluzione, attentati neonazisti, prostitute e morti improvvise.

Non c'è una vera e proprio trama in questo film, più un lavoro di cucito di scene indipendenti fatte apposta per colpire duro sullo sguardo di uno spettatore dei '70s.
Il disegno è ruvido, ma personalmente lo trovo perfetto per il tono ed il tema del film, la regia cerca di dare spessore alle immagini con scelte oculate nei colori e con disegni accurati (per i personaggi principali) o più caricaturali quando viene ritenuto opportuno (vengono ancora usati i merli per gli afroamericani!).
Se il tratto è buono, la storia è latitante, si salva per l'originalità dell'opera, ma la sua insistente provocazione ha poco significato al giorno d'oggi. Di fatto è un film invecchiato molto; rimane un pezzo da museo da guardare con leggerezza. In fondo è il primo cartone animato vietato ai minori di 18 anni.

Pessimo il doppiaggio originale per qualità del suono.
Pessimo il doppiaggio italiano per il contenuto; ammazza il sonoro originale senza sostituirlo, uccide le canzoni anni 70 statunitensi con deboli canzoni anni 70 italiane, mette i dialetti di tutta Italia in bocca ai personaggi (ma in fondo questo è il meno per chi, come me, è venuto su a suon di Simpson) e sostituisce battute rapide con riferimenti sessuali (ma anche commenti sulla questione razziale) con idioti commenti sulle diete da seguire o sulle differenze fra Milano e Roma; sostituisce addirittura molti silenzi con commenti inutile. Non dico che faccia perdere ulteriormente il ritmo, ma quasi. Gli concedo l'attenuante generica per il fatto che questioni molto americane sono ora note a tutti per il bombardamento culturale degli ultimi 30 anni, ma nel decennio in cui uscì cose come la questione razziale non potevano essere comprese... quindi si sostituì il quartiere nero con little italy...

lunedì 16 giugno 2014

La ciociara - Vittorio De Sica (1960)

(Id.)

Visto in tv.

1943, madre e figlia 13enne fuggono da Roma in attesa dell'arrivo degli alleati. Nelle campagne si ricostruiscono una vita in mezzo agli sfollati, fatta di sopravvivenza spicciola, nuovi incontri e il persistere del loro costante ottimismo. Quando finalmente gli alleati arrivano e loro due si mettono in cammino per tornare a casa verranno violentate entrambe da una milizia di magrebini. Il rapporto fra madre e figlia si interromperà.

Film magistrale di un De Sica perfetto nella sua asciutta regia, perfetto nel condurre un film contemporaneamente ampio (le campagne romane, i numerosi gruppi di persone) e minuto (i piccoli personaggi, gli interni insistiti degli edifici, i piccoli dettagli che si contrappongono alla violenza come la coccinella durante il passaggio dell'aereo), che si appoggia sugli attori senza mai basarsi solo sulla recitazione; sempre misurato si butta sul montaggio e su inquadrature diverse solo nella scena dello stupro per mostrare l'orrore di ciò che avviene senza far vedere nulla.

Il film si appoggia ad una sceneggiatura perfetta che con molti dialoghi (senza mai stancare) riesce a chiarire perfettamente i personaggi, soprattutto la grande protagonista e il suo rapporto con la figlia.

Niente da aggiungere sull'interpretazione della Loren, impeccabile nella parte della madre ottimista e gioiosa così come della persona violentata che deve riuscire a gestire il proprio dolore e quello della figlia.

Personalmente non ho apprezzato il finale che mi è sembrato debole rispetto al resto del film, doveva fermarsi prima o aggiungere ancora qualcosa; tuttavia questo rimane un grande film.

mercoledì 11 giugno 2014

Assassinio sul Nilo - John Guillermin (1978)

(Death on the Nile)

Visto in tv.

Poirot si trova imbarcato in una crociera sul Nilo. Sarà dunque inevitabile che la giovane ereditiera (non è uno spoiler, è cosa ovvia fin dall'inizio) venga uccisa e che quasi tutti i presenti avrebbero un buon motivo per ucciderla...

Plot che è più che canonico, direi archetipico, ma pur nell'ovvietà delle dinamiche generali ci troviamo davanti al solito meccanismo perfetto scritto da Agatha Christie, qui particolarmente sorprendente lo show down finale... e particolarmente tragico.
Ustinov veste gli ampi panni di Poirot; non è corretto dal punto di vista iconico (soprattutto se paragonato all'impeccabile Finney dell'Orient express, per non parlare dell'istant classic Suchet), ma è perfetto nella sua titanica figura bianca, nelle sue smorfie di vago disgusto sempre presente, nella sua arroganza fisica e di personalità; contenuto nella recitazione e nei gesti, ma sempre impeccabile. Attorno a lui un cast all star dove una Lansbury incredibile fa la parte di una scrittrice (ma va?!) alcolizzata e sessuomane (applausi a scena aperta); dove un invecchiato Niven si offre a far da spalla al corpulento protagonista; dove una spigolosa Farrow fa l'isterica e vendicativa donna tradita; dove un'acida Bette Davis battibecca con una mascolina Maggie Smith; e poi ci sarebbero ancora Kennedy, Finch, Warden, Hussey, ecc...

Fantastico anche il tono del film; una prima parte completamente tenuta in piedi dall'ironia della coppia di coprotagonisto (Ustinov e Niven), con un Poirot cartoonistico sempre rpesente nelle conversazioni che contano (fingendo di dormire, che sbuca da dietro il bancone di un bar...) e una compartecipante (Lansbury) totalmente dedita al versate da commedia. Dopo l'omicidio l'ironia viene stemperate sempre di più nella serietà dell'indagine. Questo susseguirsi di generi permette di mantenere costantemente un ritmo minimo di default.
Infine la regia; il povero Guillermin non brilla, la sua regia risulta invisibile nel lungo dispiegarsi del film; eppure le idee messe in campo e le soluzione trovate sono sempre all'altezza e si destreggia in maniera impeccabile. Nella scena del tentato omicidio nel tempio egizio si muove con stile tra le colonne permettendo chiarezza della sequenza, dinamismo delle inquadrature, suspense e ironia nello stesso momento, concedendosi soggettive, inquadrature particolari, panoramiche circolari (che utilizzerà in maniera davvero buona in un paio di occasioni). Se a questo si aggiungono carrellate (ma in realtà sono con la macchina a mano... quindi non è proprio una carrellata) ad inseguire i personaggi e pure alcuni zoom (quello nel finale perfetto) si ha un'idea del lavoro immane che il regista si è caricato sulle spalle. (e cosa dire del montaggio che chiarisce con due immagini il tradimento iniziale?).

Più di due ore di film che riescono a scorrere nonostante la distanza dell'età.

venerdì 6 giugno 2014

La montagna sacra - Alejandro Jodorowsky (1973)

(The holy mountain)

Visto in Dvx.

Un uomo, cristologicamente perfetto, vaga per una città centroamericana ricca di vizi e sofferenze;  viene fatto entrare nell'antro di un alchimista che gli mostra il segreto per ottenere l'oro, poi gli propone l'immortalità. Per ottenerla però deve unirsi ad alcuni uomini (e donne) di potere, affrontare diverse prove, per poi raggiungere una montagna sacra dove dei saggi stanno meditando da millenni, affrontandoli otterranno il loro segreto dell'immortalità.

Film meno lineare del precedente "El topo", ma decisamente sulla scia; si scioglie in duemila rivoli fatti di idee originali e d'impatto lavorando di metaforoni enormi, spesso evidenti, e stavolta molto più pervasivi del solito; pure troppo (il finale, eccessivo, demagogico, facile, piuttosto basso rispetto alle vette pretese all'inizio del film è l'idea più debole e sfacciata del film).
Quello che però perde in fascino della trama lo guadagna in idee visive; è evidente l'iniezione di denaro che Jodorowsky deve avere ricevuto e la investe pienamente per costruire immagini. Perchè poi la forza di Jodorowsky è proprio questa, lui crea situazioni cult basate tutte sui colori, i corpi, i vestiti, gli ambienti ed i decori che meritano ognuna di essere incorniciata e messa in un museo. Qui le immagini cult sono numerosissime, decisamente migliori quelli della prima parte e raggiungono il picco nell'antro psichedelico dell'alchimista.
Effettivamente è un film che va visto, non conta seguirne la storia, ma bisogna vederlo.

lunedì 2 giugno 2014

La fiammiferaia - Aki Kaurismaki (1990)

(Tulitikkutehtaan tyttö)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Una operaia di una fabbrica di fiammiferi vive una vita insipida. Vive con la madre ed il patrigno a cui versa tutto lo stipendio, prepara la cena e non parla mai; comunica talvolta col fratello che ha rotto i rapporti con la madre; non ha amici, passeggia da sola per la città; va in balere dove non viene mai approcciata. Una sera conosce un uomo con cui passerà la notte; ma ovviamente non siamo in un film Disney e, per quanto lei lo tampini, lui dal giorno dopo la ignora.

Terzo film dell'ideale trilogia dei perdenti iniziato con "Ombre nel paradiso"e proseguito poi con "Ariel".
All'apparenza un classico film alla Kaurismaki, ambienti popolari e scarni (un magnifico incipit sulle macchine che fanno i fiammiferi), attori bressonianamente impassibili, regia piuttosto statica (anche se ha ancora qualche guizzo) ed una leggerezza nel mostrare anche momenti atroci che è la cifra stilistica del regista.
In realtà questo è un film che mi ha colpito per le piccole differenze che esplodono nel finale.
Qui l'impassibilità dei personaggi è solo apparente, la Outinen riesce a dare una espressività alla sua mancanza di espressività tale che ci si abitua a vedere la gioia nei suoi rari sorrisi (ma soprattutto nel suo sguardo) e a riconoscere il dolore, la rabbia, la malinconia nella sua maschera; un'immobilità facciale che riesce a mostrare in maniera pazzesca il dolore del personaggio (su tutte la scena in cui nel ristorante in cui le viene detto di sparire è un bignami di emozioni trattenute). La protagonista diverrà del tutto fredda solamente nel finale, ma per dei buoni motivi.
Inoltre questo è un dramma. Non un film malinconico (come quasi tutti quelli del regista finlandese) e neppure una tragedia shakespeariana da guardare a distanza, ma un melodramma vero e proprio, atroce e determinato. Incredibile quindi come riesca a rimanere leggero.
Infine (ma forse è anche la cosa che più mi ha colpito) è la totale mancanza di ironia (e dell'assurdo), una nota della quale è usualmente presente ad alleggerire il degrado di molti altri film di Kaurismaki.