venerdì 29 marzo 2019

Un uomo tranquillo - John Ford (1952)

(The quiet man)

Visto in VHS.

Un pugile irlandese, dopo un combattimento finito male negli USA dove era cresciuto, se ne torna nel suo villaggio d'origine. Si ricomprerà la casa natale, sposerà la ragazza di cui si innamorerà appena arrivato, sarà ben accettato da tutti e, in ultimo, anche dal cognato.

Un film piuttosto lineare che rappresenta una delle prime vere e proprie storie d'amore per il pragmatico Ford.
Una storia d'amore nella trama che serve a supportare la dichiarazione d'amore del regista per la natia Irlanda inquadrata (anche se finta) spesso con campi lunghi o lunghissima e dipinta con un technicolor acceso ed espressivo.
Il film si muove con il ritmo della commedia (nonostante un innesto tragico che rimane comunque sullo sfondo) e con il piglio sfrontato di una commedia dei sessi (pur senza averne né la verve né la forza).
Allo stesso modo, però, il film si muove con il passo strascicato dell'opera irrimediabilmente invecchiata. Nessuna reale profondità, un minutaggio riempito di piccole gag superficiale, una gestione dei rapporti interpersonali che vanno dal sessismo allo stereotipo idiota dell'irlandese medio, l'utilizzo di una voce narrante totalmente inutile e l'innesto di un flashback, altrettanto non necessario, per portare quel pizzico di dramma (sequenza che rimane, però, la più interessante).

Tutto sommato un film incredibilmente fuori tempo massimo, utile solo per i completisti di Ford o per chi vorrebbe vedere Wayne svestire i logori panni del cowboy.

mercoledì 27 marzo 2019

Simon del deserto - Luis Buñuel (1965)

(Simón del desierto)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Un anacoreta stilita, umile e genuinamente religioso è il fiore all'occhiello della comunità locale che verte attorno a lui con una fede più di facciata che altro. Il santo, amante delle privazioni e della sofferenza per raggiungere il cielo sarà preso di mira dal diavolo che lo tenterà in ogni modo fino all'ultimo tentativo trasportandolo negli anni '60 senza religiosità di un locale per giovani.

Film incompiuto per problemi di budget che vanta quindi un minutaggio striminzito, ma non perde assolutamente nel significato. La parte tolta era un ritorno del diavolo sulla colonna dello stilita per portare i fedeli al peccato.

Il film è qualitativamente molto buono, con un Buñuel che sfrutta bene l'inusuale location con inquadrature oblique e molto mobili. La trama si svolge con una serie di sequenze disgiunte, ma ben cucite insieme che si caratterizzano dalla placida serenità del sant'uomo anche se costantemente messo di fronte all'ironia dovuta alle sue scelte eccessive (che rimangono gesti vuoti) o all'effetto solo superficiale che riesce a ottenere sui fedeli. L'ironia di Buñuel qui è decisamente meno virulenta che nei precedenti suoi film religiosi e soprattutto "Viridiana" (che gli causò il secondo esilio e lo stimolò a fare proprio questo film), ma non per questo meno efficace, anzi, rinunciando a molti simboli riesce decisamente in maniera più efficace.
Finale più oscuro (per me) che difficilmente si può interpretare come disillusione sulla modernità (Buñuel è sempre stato ironico fino all'eccesso e in questo film in maniera particolare), ma che viene facilmente spiegato dallo stop improvviso delle riprese.

lunedì 25 marzo 2019

Barbarella - Roger Vadim (1968)

(Id.)

Visto in Dvx.

Incaricata dal ministro della terra di ritrovare uno scienziato, Barbarella si ritroverà a dover affrontare personaggi e mondi disperati, ma sensualissimi.
La trama è solo un pretesto per permettere allo spettatore di godere della bellezza della Fonda; tutto il resto del film è un surplus.
Non stupisce quindi la storia pretestuosa e sfilacciata e neppure la noia che afferra in molti momenti, né tanto meno la presenza di importanti WTF più o meno voluti.
Quello che invece stupisce è l'impegno incredibile nella creazione di un mondo tremendamente kitsch, ma il più possibile dettagliato; le idee estetiche sono ovunque, ardite o sceme, ma coerenti, creando un catalogo di splendido cattivo gusto che fa invidia e più il film prosegue, più sorprende la capacità inventiva attorno ad un tema comune.
Oltre alla protagonista, dunque, c'è bisogno di un encomio speciale alle maestranze che hanno lavorato nelle retrovia a cui si deve il merito (condiviso anche con la follia di De Laurentis) di aver creato un cult.

venerdì 22 marzo 2019

Il terzo delitto - Leigh Jason (1938)

(The mad Miss Manton)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ricca donna newyorkese si trova ad essere l'unica testimone di un delitto... in cui il cadavere scompare. Si metterà a indagare per conto proprio aiutata dalle sue annoiate amiche dell'alta borghesia locale e da un giornalista innamorato di lei, ma contrastata dalla polizia, sempre più annoiata dalle sue mattate.

Commedia molto anni '30 che fonde timidamente la screwball comedy upper class con i film hawksiani pieni di picchiatelli con un goccio di scontro fra sessi. L'effetto finale è un film annacquato in tutte le sue componenti, che riesce comunque a passare leggero e a divertire il giusto, ma senza rimanere impresso nella memoria a lungo o senza andare mai oltre al sorriso.

Pur mantenendo ottima standard qualitativi nella fattura (come spesso si dice, la Hollywood classica era sì un'industria, ma un'industria che produceva qualità) la regia è piuttosto marginale e si diletta soltanto in qualche dettaglio o primo piano, ma anche qui, senza farsi ricordare troppo.

Magnifica, invece, la Stanwyck, che riesce a rendere vitale ogni personaggio che interpreta con una sorridente positività contagiosa. Da notare anche la presenza di un giovane Fonda nell'ingenua parte dell'innamorato. A conti fatti l'ennesimo film che si guarda solo per affetto dei due protagonisti.

mercoledì 20 marzo 2019

Blue ruin - Jeremy Saulnier (2013)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo vive come un barbone, conosciuto e tollerato da tutti, vive in disparte senza appesantire nessuno. Un giorno la polizia lo avverte che un uomo sta per essere scarcerato. Senza avvisaglie e con estrema cautela inizierà un revenge movie tra i più atipici di sempre.

perché "Blue ruin" è un revenge movie senza se e senza ma; eppure è anche un dramma intimista (nella prima parte) e in aggiunta un thriller.
"Blue ruin" vuole, sostanzialmente ribaltare lo stereotipo del vendicatore solitario. Un uomo normale si incarica di fare giustizia dove la giustizia non riesce ad arrivare, ma nel farlo la trasformazione non è indolore e quasi magica come ne "Il giustiziere della notte". Se un uomo è un bancario dalla tendenza alla passività, tale rimane; se un uomo è impacciato e insicuro, tale rimane, anche se imbraccia un fucile.

Molto pragmaticamente Saulnier mette di fronte al suo personaggio problemi reali (come procurarsi le armi, dove trovarle, essere in grado di usarle, essere davvero in grado di uccidere un uomo, quando fermarsi con la vendetta, ecc...) e glieli fa superare ad uno ad uno con botte di fortuna, incidenti fuori programma, idee intelligenti e tentennamenti. Perché alla fine il protagonista di questo film è davvero una persona comune, uno che ucciderebbe le persone che odia, ma poi farlo davvero è tutto un altro paio di maniche, perché è uno che vorrebbe vendicarsi dell'assassino, ma se non può allora dovrà rifarsi sulla sua famiglia e a quel punto quanti della famiglia ucciderne?

Un revenge atipico quindi, molto più realistico (ma senza esagerare eh); che parte con una calma incredibile per accumulare tensione in una serie di sequenze dal thrilling perfetto come non vedevo da tempo, fino a un'esplosione finale che è tutto fuorché catartica. Inoltre, su tutto, regna una costante voglia di grottesco, poca ironia vera e propria, ma molta voglia di sfottere con humor nero l'incapacità del vendicatore solitario, la sua volontà di morte nata dalla frustrazione; un punto di vista ulteriormente spiazzante che da alla visione del film un'altra marcia in più.

lunedì 18 marzo 2019

Basilicata coast to coast - Rocco Papaleo (2010)

(Id.)

Visto in DVD.

Un gruppo musicale decide di partecipare a un a un festival dalla parte opposta della Basilicata. Per raggiungere la cittadina (di cui non ricordo il nome) intendono attraversare la regione a piedi. Alle loro calcagna viene messa una, poco interessata giornalista.

Più che un film è uno spot pubblicitario; un film manifesto della proloco Lucania dove vengono messi in mezzo squarci dei paesaggi locali, i paesini meno battuti, riferimenti culturali letterari e pure evidenti pubblicità ai vini della zona. Una pubblicità però non con intenzioni puramente turistiche, ma con l'intento di dare spazio a una zona semplicemente sconosciuta ai più; è evidente che Papaleo ama quella terra e vorrebbe solo che fosse più famosa. L'intento e il piglio con cui viene fatta questa operazione riesce a rendere digeribile e scorrevole un progetto che sulla carta poteva solo essere ruffiano.

La regia è agile, si muove con adeguata cura, sceglie location decisamente buone (e per forza, per fare marketing...) e inonda tutto con una splendida luce. Senza eccessi, riesce a portare a casa il proprio lavoro ben fatto.

Il ritmo è sempre mantenuto e spesso il divertimento è centrato. Con tutti questi pregi sembra un film perfetto (addirittura la Mezzogiorno riesce a non essermi indigesta!). Eppure qualcosa che non va lo si trova. Dalla seconda metà il film si perde; la commedia opportunista, ma anarchica dell'inizio lascia il posto ai buoni sentimenti e a una serie di conclusioni stucchevoli. La storia di per sé debole lascia spazio all'ovvietà e le buone idee iniziali (il leitmotiv della musica con il continuo sfruttare strumenti non convenzionali per dare ritmo e quel bordone dato dal basso di Gazzè che si introduce ogni scena e con leggere musiche che fanno da sfondo ad alcuni dialoghi trasformandoli in declamazioni) vengono abbandonate definitivamente preferendo scene scaldacuore.

Alla fine il film intrattiene, senza noia, con abbastanza divertimento e non troppa stucchevole premeditazione. Finite le idee dell'inizio perde abbastanza per un senso di vaghezza, sembra che a parte l’intento di vendere una regione (seppure con affetto) ci fosse poco altro.


venerdì 15 marzo 2019

Batman - Leslie H. Martinson (1966)

(Batman: The movie)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Tra la prima e la seconda serie del noto telefilm anni '60 venne realizzato il primo lungometraggio dedicato a Batman. Figlio diretto della tv con tutti gli stilemi e i tratti distintivi della serie originale (oltre a gran parte del cast), il film mostra i 4 supercattivi più noti (Pinguino, Joker, Enigmista e Catwoman) unirsi per sconfiggere Batman e ridurre in polveri liofilizzati i capi di governi riuniti al consiglio di sicurezza delle nazioni unite con un piano tanto complicato quanto assurdo (ad un certo punto vogliono uccidere Batman attirandolo con l'inganno nel loro covo, farlo passare su una botola da cui uscirà una molla che lo getterà in mare dove una piovra esplosiva lo farà saltare in aria... io gli avrei sparato).

Onestamente non conosco il fumetto originale, essendo io figlio della svolta dark anni '80 ancora molto lontana; ma questa prima rappresentazione di un supereroe è estremamente superficiale (è Batman solo incidentalmente, non ha caratteristiche proprie, poteva essere chiunque da Dick Tracy a Deadpool) eppure è una perfetta filiazione dei tempi in cui è stata realizzata.
Colori accesi e una messa in scena artificiale (con la batcaverna piena di cartelli che designano ogni oggetto e ogni macchinario) che prende a piene mani dal mondo fumettistico da cui origina; sono diventate iconiche le scene di lotta in cui i pugni sono sottolineati da onomatopee scritte del colpo come sulla carta stampata. Questa idea degli eroi dei fumetti rappresentanti in film con le linee guida del fumetto stesso segnerà un'epoca ampissima arrivando fino a Tim Burton (solo molto più dark) che, a sua volta, farà da scuola a tutti i Batman successivi finché Nolan non deciderà di cambiare (finalmente) registro.
Ma come si diceva, la messa in scena e le vicende sono anche un segno del tempo. Fatto per un pubblico giovane, i buoni sono estremamente intelligenti e scientifici, i cattivi caricaturali e senza reale ferocia, mentre l'ironia è l'unico sentimento realmente rappresentato. ironia che viene costantemente rivolta verso sé stessi mettendo in scena una magnifica parodia di Batman stesso che diventa la cifra con cui questo lungometraggio, altrimenti mediocre, vince a mani basse. Tutta la vicenda è esagerata e slegata, ma anche così assurda da non riuscire a prendersi sul serio, arrivando a trasformare ogni idea, ogni sviluppo di trama, in una gag volontaria (dagli enigmi dell'Enegmista che sono semplicemente senza senso, allo squalo esplosivo che viene scacciato con un apposita repellente per squali, dalle imprecazioni di Robin alle pillole anti gas-pinguino fino all'epocale corsa sul molo di Batman con una gigantesca bomba in mano che sembra non poter finire mai data la presenza di bambini, suore e anatroccoli). Ecco questa decisione precisa e continua di sfottere sé stessi e non prendersi sul serio giustifica ogni scelta kitsch e una recitazione costantemente esagerata, oltre a rendere la visione gustosa oltre ogni aspettativa iniziale. Non giustifica invece una storia che si diletta in assurdità di trama arrivando a una lungaggine eccessiva.

Tra i supercattivi Joker è interpretato a Cesar Romero (che non volle farsi tagliare baffi per interpretare la parte e si possono notare sotto il cerone in ogni primissimo piano), ma soprattutto c'è un inaspettato Burgess Meredith (inaspettato almeno per me) nei panni del Pinguino.

mercoledì 13 marzo 2019

La donna che canta - Denis Villeneuve (2010)

(Incendies)

Visto in Dvx.

Una ragazza di origini libanesi trasferatasi (da bambina) in Canada con madre e fratello assiste all'apertura del testamento della, da poco, defunta madre. Nelle richieste, la madre, la incarica di consegnare due lettere, una al loro padre e una a un loro fratello di cui non hanno mai saputo nulla. La ragazza si mette in viaggio verso il Libano cercando i parenti perduti ricostruendo la storia della famiglia a partire dalle poche informazioni in suo possesso.

Nei film di Villeneuve c'è spesso un (grosso) problema di sceneggiatura, con buchi, lentezze eccessive, mancanza di precisione nel centrare il bersaglio. In questo caso non c'è niente di tutto ciò, ma c'è una scrittura più ruffiana, c'è la composizione di un film che non può non piacere, talmente melodrammatico quando si parla del passato, talmente commovente quando rimane nel presente, che sembra voler risolvere ogni conflitto con un vecchio delitto e un perdono. Tuttavia, seppure non lodevole il metodo, l'effetto finale è vincente, riesce a mantenere attiva l'attenzione su un melodramma classico in tempo di guerra con agnizioni continue, un gioco che potrebbe crollare da un momento all'altro con uno starnuto. E invece regge.

E per reggere il film deve affidarsi alla mano sicura e asciutta di Villeneuve. Comincia qui a usare i suoi colori desaturati (che nel deserto libanese sono costretti a incendiarsi), si porta avanti l'ampiezza degli ambienti inquadrati (che siano gli esterni mediorientali o gli interni canadesi, tutto diventa ampio), si mette all'inseguimento del suo protagonista del momento senza lasciarlo mai e si muove con una serie di scelte registiche molto nette e pulite eppure invisibili.
Il film è lento, ma con un ritmo costante e un facilità nel far entrare lo spettatore in empatia che supera l'iniziale impressione di distacco.
L'effetto è efficace, tanto da rendere accettabili ed efficace anche qualche twist un pò troppo tirato.

lunedì 11 marzo 2019

Bellezze in cielo - Alexander Hall (1947)

(Down to earth)

Visto in Dvx, in lingua originale.

Tersicore, la musa della danza, si indigna per il modo in cui viene trattato il suo personaggio in un nuovo spettacolo di Broadway; decide quindi di incarnarsi per farsi prendere cme prima ballerina e protagonista dello show per cambiarlo dall'interno. Riuscirà perfettamente facendo innamorare di sé il creatore dello spettacolo, purtroppo se ne innamorerà lei pure.

Film dalla trama imbarazzante, ma perfettamente in linea con la serie degli amori soprannaturali che ci furono negli anni '40 ("Il ritratto di Jennie", "Il fantasma e la signora Muir", ecc...). Di fatto non vuole essere nient edi più di un incredibile baraccone camp creato ad hoc per dalle alla Hayworth una serie di scene di ballo e canto; un kitsch eccessivo in maniera encomiabile ricopre tutto, con un uso dei colori a cui dovrebbe essere molto legato Almodovar. Nonostante la mia scarsa sensibilità sull'argomento musical direi che i numeri di danza riescono ancora a reggere il peso degli anni (anzi, all'epoca avevano decisamente più voglia di oggi di coreografare), mentre le canzoni lasciate da sole soffrono molto. Il risultato finale è però incredibilmente godibile, data la storia assurda che però non si prende sul serio, un degli happy ending più strani di sempre e una delle raffigurazioni deistiche (perché Mr Jordan è Dio) più americane e professionalizzanti di sempre.

Il film è certamente assurdo, ma continuo a trovare molto più assurdo aver pensato di trarne un remake negli anni '80 con Gene Kelly e la Newton John.

venerdì 8 marzo 2019

The haunted world of El Superbeasto - Rob Zombie (2009)

(Id.)

Visto in vx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un lottatore di wrestling messicano (con maschera sempre addosso) è una star del cinema (porno) e un wannabe supereroe; a fare attività supereroistiche però ci pensa per conto suo la sorella, gnocca e con una benda su un occhio che, mentre lui gira un suo film e fa del clubbing pesante, lei sta cercando di rubare la testa di Hitler da un gruppo di nazisti zombi con l'aiuto di u cyborg che è innamorato di lei. La storia vera e propria verte sul tentativo di salvare una lapdancer dalle grinfie di un nerd satanico che, se la sposasse, riuscirebbe a diventare un demonio potentissimo (non ho ben colto in base a cosa).

Un cartone animato per adulti dall'animazione buona (anche se non eccezionale) in un'ambientazione horror anni '30 con personaggi presi dal cinema di genere che fanno capolino in ogni inquadratura (e che saranno una gioia per ogni nerdcinefilo), con situazioni da b-movie anni '70 e un disegno dal tratto americano anni zero. Il citazionismo è l'elemento fondamentale del film e viene spinto in ogni direzione possibile (personaggi, attrici, autocitazioni, scene apertamente copiate, cameo vocale di Tura Satana, ecc..).
Evidente la volontà di realizzare un enorme tributo al cinema di genere in generale senza basarsi su un modello o una annata specifica, ma alla regia c'è un metallaro dalla mano pesante e quello che viene fuori è un film volgare, eccessivo e talmente ipertrofico da essere ingestibile; quello che ne viene fuori è una lunga cavalcata nonsense nel politicamente scorretto e nell'inutile, fatta da uno che ama il materiale che sta trattando.

Il ritmo, per fortuna c'è o l'intera operazione sarebbe stata da gettare immediatamente in pattumiera. Di fatto questo non sarà il film per cui si ricorderà Rob Zombie, ma direi che è uno sfizio che si meritava di togliersi e, per chi lo guarda, è una godibile cazzata volgare senza pretese, ma tanto gusto.

mercoledì 6 marzo 2019

Kinetta - Yorgos Lanthimos (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un fotografo e un poliziotto si intrattengono ricreando (con l'aiuto di una cameriera di un albergo) alcuni delitti di cronaca. Con l'arrivo dei turisti il gioco finisce.

Opera seconda di Lathimos che risulta perfettamente in linea con quanto verrà dopo.
Messa in scena scarna con un utilizzo scarso dei colori; ma qui (per questioni più di mezzi che altro) c'è una minor cura nella fotografia; in certe porzioni c'è un'attiva ricerca dell'inquadratura sporca (macchina da presa traballante, utilizzo del fuori fuoco); molto distacco fra operatore e scena inquadrata, tanto quanto ce n'è tra i personaggi quando mettono in scena i delitti. Quasi totale assenza di dialoghi, nessuna spiegazione, e un'ossessione circa la riproducibilità della vita vera che fa il paio con (il più pretensioso e riuscito) "Alpeis". Affascinante che fin da subito (anzi in questo film molto più he nei successivi) Lathimos non faccia sconti allo spettatore e lo butti in mezzo a una vicenda ampiamente iniziata senza dare nessun suggerimento, nessun appiglio.
Di fatto lo stile qui è già maturo mancano solo i mezzi.

A cambiare è solo la trama, qui più eterea del solito, con una reiterazione delle sequenze che rendono il film, non solo ostico (come sempre in Lathimos), ma anche piuttosto noioso. Di positivo c'è che per ora rifugge dai trucchetti utilizzati poi in "Kynodontas", se gira a vuoto, ma lo fa senza pretendere di essere qualcosa di più solo con l'inserimento di dettagli shockanti.

lunedì 4 marzo 2019

Godzilla, furia dei mostri - Yoshimitsu Banno (1971)

(Gojira tai Hedorah)

Visto qui, doppiato in inglese.

Per quasi tutti gli anni '60 ilo franchise Godzilla macinò almeno un film all'anno (nel 1964 addirittura due); la distanza di ben 2 anni fra la precedente opera della serie e questo significa molto più di quanto non appaia. Nel 1970 la Toho esplose, iniziando un rischio default tenuto per quasi tutto il decennio, i costi dovettero essere ridotti e il capitolo kaiju fu chiuso quasi interamente; rimase in piedi unicamente il progetto Godzilla che dovette però essere svecchiato. Per introdurre il mostro nel nuovo decennio si decise di affidare il progetto a Banno.
Banno era un filmmaker alle dipendenze della Tohod a una quindicina d'anni come assistente alla regia (fu alle dipendenze di Kurosawa) che solo l'anno precedente fece parlare di sé per un filmato (anche se probabilmente sarebbe più corretto definire installazione visuale) "Birth of the Japanese islands" in cui immergeva gli spettatori in una realistica e coinvolgente ricostruzione di eventi tellurici con l'utilizzo di un cortometraggio e giochi di specchi; l'evento fu proiettato all'Expo del 1970 e fu il padiglione con record di visite. Di fatto Godzilla fu la sua opera prima e, per quanto riguarda la fiction, anche l'ultima.

Banno fece piazza pulita del clima infantile dei film precedenti e tornò al mood horror e moralizzante del primo, non eliminando la continuity, ma ignorandola completamente (non si fa menzione dell'isola dei mostri o di Minilla, ma neppure ci sono riferimenti diretti al film del 1954 e a inizio film un bambino gioca con dei pupazzi che raffigurano Godzilla e Ghidorah).
Per la trama tornò alla filosofia iniziale, ma aggiornandola con la nuova paura collettiva che stava nascendo e che rappresentava il nuovo scempio dell'uomo sulla natura: l'inquinamento.
L'idea fu quindi di creare un mostro alieno che si nutre di inquinamento aumentando potenza e dimensioni; Godzilla d'altra parte, doveva rappresentare la natura che arriva a chiudere i conti, in un'accezione positiva (viene per distruggere l'altro mostro) eliminando (o più semplicemente dividendo su due personaggi) la dicotomia che era propria del primo film (Godzilla come effetto dell'uomo sulla natura e come risposta stessa della natura).
Per realizzare tutto questo scelse un'estetica alla Cthulhu per l'antagonista, una ambientazione più oscura (finalmente si torna ad aver qualche scontro in notturna circondato dalla nebbia) e una serie (lunga) di scontri che definire più realistici è un'esagerazione, ma in cui i mostroni se le danno di santa ragione.
Parallelamente al cambio di cifra e al tema ambientalista (smaccatamente didattico, com'era quello nucleare a inizio saga) si uniscono scelte di regia innovative con inserti musicali seventies (inutili), inserti animati non narrativi (buffi, ma interessanti) e una gestione più dinamica.

Il film fu un buon successo al botteghino, ma nel giro di pochi anni fu spernacchiato dalla critica e fu detestato dal produttore esecutivo che desiderava un'altra deriva per il personaggio di Godzilla. Nonostante l'efficace svecchiamento (anche a fronte delle solite ingenuità e qualche esagerazione idiota come il Godzilla volante) Banno fu estromesso dal franchise per sempre e ritornò a fare da assistente alla regia e come protagonista si occupò di documentari.

venerdì 1 marzo 2019

Il cantico dei cantici - Rouben Mamoulian (1933)

(The Sogn of Songs)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Una contadina tedesca viene adottata da una zia di Berlino. Giovane, bella e ingenua, viene vessata dalla donna, ma notata da uno scultore che la convince a posare per lui. Il committente della statua, un nobile facoltoso, se ne innamora e arriva a sposarla convincendo lo scultore (ormai innamorato reciprocamente) a farsi da parte per il bene di lei. Dato l'enorme dolore lei diventerà una magnifica stronza.

Godibile melodramma un pò upper class un pò sull'arte, di buona fattura, ma senza picchi.
La prima metà scorre piacevolmente con freschezza e divertimento risultando la parte più digeribile; la seconda parte, dove il melodramma prende tutto lo spazio per sé il ritmo crolla e l'argomento diventa trito.

Ottima la Dietrich che diventa l'unico motivo d'interesse, anche e soprattutto, per la vesta da ragazza innocente della prima metà che in pochi le hanno fatto vestire.
Le controparti maschili invece sono, a voler essere buoni, insipide, sicuramente non all'altezza.

la regia di Mamoulian mi è sembrata piuttosto svogliata; non c'è nulla che non vada, ma ci viene messa poca fantasia. il compito viene portato a casa con estremo garbo, ma di scene di scene da ricordare mi rimane solo la Dietrich che si spoglia mostrando le statue che vengono scoperte al poste delle gambe e del seno dell'attrice.