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lunedì 13 luglio 2020

Anche i nani hanno cominciato da piccoli - Werner Herzog (1970)

(Auch zwerge haben klein angefangen)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato.

Un gruppo di ospiti di un istituto (medico? di rieducazione?) approfitta dell'assenza del direttore per assediare il maestro, cercare di convincerlo a uscire, nel mentre si abbassano a ogni efferatezza con un aumento di follia  e caos.

Ecco, il film descritto così ha anche un appeal notevole, ma la realizzazione lascia abbastanza a desiderare e l'effetto della trama grottesca viene ampiamente disperso.
Perché è vero che siamo al secondo film di Herzog, ma la qualità scarsa della pellicola, il cast di attori improvvisati (il problema principale), la trama raffazzonata e ripetitiva portano l'interesse a diminuire con il minutaggio.
Al di là dell'effetto finale la lunga parabola di cinismo e grottesco di un gruppo di nani (ah si non l'ho detto, ma dal titolo e dalla fama del film credo sia evidente, il cast è composto tutto da nani) che rappresentano un campione di umanità animalesca è buono anche scevro da ogni metafora più diretta (metafora che Herzog stesso ha sempre negato).
Encomiabile lo sforzo di creare un incubo in cui la confusione aumenta con le brutture, ma l'effetto finale è ampiamente inficiato.

lunedì 16 settembre 2019

Cinque pezzi facili - Bob Rafelson (1970)

(Five easy pieces)

Visto in Dvx.

Un uomo è fuggito dalla famiglia per un anelito di libertà che, in realtà, si è rivelato essere più simile a un'insoddisfazione senza pace. Quando il suo piccolo mondo fatto di pochi amici e lavoro nei pozzi petroliferi viene distrutto ritorna a casa, ma i rapporti complicati non si saranno certo più semplici nonostante la malattia del padre.

Film generazionale che fa il paio con il più deciso "Easy rider". Qui l'insoddisfazione dei canoni reazionari di un'epoca è declinata nel protagonista incapace di rimanere a lungo legato a un luogo o una persona (idea tutt'altro che originale).
A fronte di una regia di ampio respiro che cerca di rendere il punto di vista solitario del protagonista con campi lunghi le incastrano in un ambiente grande e meraviglioso contro una vita domestica limitata, non c'è una cura della fotografia per fare il paio con i paesaggi mostrati e il ritmo lento in un film del genere disperde più che rendere rarefatto. Il noiosetto Rafelson, si dimostra come sempre curato, ma incapace di tenere un ritmo accettabile con la narrazione.
In definitiva il maggior difetto che trovo in questo film è lo stesso di "Easy rider" (di cui, comunque, non ha la forza e la portata), di essere un film legato a un periodo storico e di non essere più stato adeguato; non c'è niente di peggio di un filma tesi invecchiato male.

Interpretazione di Nicholson enorme; difficile esserne sicuri, ma forse la sua migliore di sempre; se serve un motivo per vedere questo film, il protagonista è la ragione bastante per affrontare questa fatica.

lunedì 9 luglio 2018

Il rosso segno della follia - Mario Bava (1970)

(Id.)

Visto in Dvx.

Uno stilista di vestiti da sposa ama uccidere giovani donne alla prima notte di nozze. La sua vita scorre tranquilla tra una sfilata e un ammazzamento finché non uccide la moglie che, vendicativa, ritorna sotto forma di fantasma rovinandogli la piazza.

Buffo e raffazzonato thriller anni '70 che mette insieme una sfacciata storia di serial killer con quel gusto cormaniano per fantasmi e dannazione eterna senza rinunciare a un twist plot finale (totalmente inutile) come se questo salvasse la baracca.
In quel decennio film di questo tipo nascevano come funghi, quindi non si pretende originalità, ma almeno concretezza, un minimo di qualità nel gestire l'idea originale e portare a casa il risultato.
A livello di regia il povero Bava fa quello che può con un incremento del montaggio interno fatto di zoom che servono a dare dinamismo (ma talvolta danno fastidio) e la solita fotografia chiassosa di altissimo livello; però neppure lui riesce ad alleggerire il film accelerando il ritmo e sorvolando sulle parti ininfluenti della trama e il risultato finale sconta una sceneggiatura confusa e un Bava troppo impegnato a muovere la macchina da presa invece che l'intero film.

Di fatto se il film fosse stato spezzato in due il risultato sarebbe stato migliore. Un film con il punto di vista del serial killer anziché della vittima sarebbe stato interessante, ma vista la prima parte di quest'opera sarebbe ridicolo dire che sia mostrata la psicologia di un assassino. La seconda parte con un fantasma che perseguita una vittima con la sua sola presenza, una maledizione inalienabile, ma estremamente calma è anch'essa originale, ma viene fuori quasi per caso e in maniera poco incisiva.

venerdì 6 ottobre 2017

Il ragazzo selvaggio - François Truffaut (1970)

(L'enfant sauvage )

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

1800, in un paese della Francia viene ritrovato un ragazzo, d'età apparente di circa 10 anni, che vive da solo allo stato brado; nudo, non parla, viene affidato alle cure di un educatore che cercherà di riportarlo alla "civiltà".

Vidi questo film oltre un decennio fa e tutto quello che mi rimase fu il gelo. Rivedendolo oggi non posso che confermare; questo è un film girato in maniera distaccata, frigida; ma più che per una scelta stilistica specifica, direi che questo è lo stile base di Truffaut. La questione non è il distacco del film, la questione è che oltre a questo distacco c'è molto di più, che dieci anni fa non colsi.

Lo stile quasi da documentario (aiutato da una fotografia in bianco e nero bellissima, scarsamente eguagliata nei lavori precedenti del regista) risulta particolarmente utile per rendere in maniera interessante, ma soprattutto non stucchevole, una storia di forti emozioni inespresse... anzi, espresse, ma non mutualmente intelligibili per la mancanza di un linguaggio comune. Lo stile secco permette di veicolare ogni più piccolo sussulto senza mai sfociare in un melodramma; riuscendo a far ottenere un profondo senso di frustrazione per ogni tentato vocalizzo che non va a buon fine (credo che Truffaut abbia goduto a disattendere le aspettative del pubblico) e realizzando una delle più tranquille scene madri di sempre (lo sguardo finale tra i due, neanche particolarmente espressivo, ma carico di tutti i sentimenti messi in gioco fino a quel momento).
A questo poi viene sempre associato il rilevante discorso sulla violenza del bene; sulla sofferenza causata dall'educatore a fin di bene, ma per un fine non strettamente necessario; ma tutti questi discorsi più intellettuali lasciano il passo a un film di emozioni in sordina.


venerdì 28 aprile 2017

Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) - Ettore Scola (1970)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una donna si innamora perdutamente di un uomo allo sbando; lui ritornerà in se grazie all'amore, ma quando la coppia sembrerà ben affiatata fra i due si aggiungerà un loro comune amico. Per la donna non sarà questione di essersi innamorata di un altro, ma anche di un altro; amerà tutti e due senza saper scegliere.

Film articolatissimo dalla messa in scena gustosa e ragionata. Qui niente è casuale e nella sua apparente semplicità risulta facilmente fruibile, ma tutto qui è pensato, dagli sfondoni linguistici ai dettagli della messa in scena. La regia dinamica, ma con moderazione che da vita ad alcuni momenti perfetti con i personaggi che parlano direttamente in macchina mentre sullo sfondo la scena prosegue (magistrale in questo senso il primo soliloquio sulla spiaggia di Mastroianni), oppure con i personaggi illuminati dall'occhio di bue con la scena attorno a loro che si blocca (cosa che anticipa "C'eravamo tanto amati").

Il film però non si limita a questo; ma gioca con le aspettative del pubblico per poterle infrangere, come nella magnifica scena della sorella della protagonista mentre va al lavoro (ma il film è  pieno di dettagli del genere, dai capelli di mastroianni, allo starnuto della vitti dopo l'addio all'amante).

Il cast è fatto da attori magistrali, che non solo sanno recitare magnificamente, ma si trovano a loro agio nella commedia; direi che non c'è un vincitore, forse Mastroianni leggermente inferiore agli altri due, ma parlo di una vittoria di misura.

Forse, però, il vero fiore all'occhiello del film è il tono, un dramma (come pretende il titolo) che è vestito da commedia ironica, ma con il passo della farsa; spesso i piani sono concomitanti, ma non si smorzano a vicenda, anzi, l'effetto nel finale viene enfatizzato dai vari mood embricati; un capolavoro di equilibrismo poche volte raggiunte.

lunedì 27 marzo 2017

Piccolo grande uomo - Arthur Penn (1970)

(Little big man)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

La vita di un bambino sopravvissuto ad un massacro da parte degli indiani da cui verrà adottato; da ragazzo sopravviverà a un attacco da parte degli statunitensi e verrà riportato alla civiltà; la sue esistenza sarà un continuo cambio di residenza fra questi due mondi, fino alla battaglia di Little Big Horn.

Uscito lo stesso anno di "Soldato blu", "Piccolo grande uomo" condivide con quello il punto di vista inedito sugli indiani d'America. Non più i nemici senza volto che assaltano le diligenze nei film di John Wayne, ma dei personaggi a tutto tondo, con una certa dose d'attenzione maggiore verso le vessazioni subite. Certo, al giorno d'oggi è quasi banale l'immagine del vecchio capo indiano saggio e bonario, ma è nata in questo anno.
Personalmente non sono mai stato appassionato al genere declinato in questa ottica e ho impiegato molto tempo prima di vedere questo film; ed è stato uno sbaglio. Questo film aveva per me un'aura seriosa ed epica che in realtà non possiede. Questo film è una splendida satira nei confronti dell'epica del west sotto ogni punto di vista; nessuno si salva;  da Custer (che è un pallone gonfiato, buffo e arrogante coglione) agli indiani stessi (dove younger bear è il primo nemico del protagonista, ma si rivela un relief comico con picchi di assurdo) tutti sono sfottuti. Viene mantenuta un manto di serietà solo per il vecchio indiano e per i momenti maggiormente crudi del finale; ma fino a quel momento anche i massacri sono fatti con un piglio strafottente (si pensi all'assalto della diligenza iniziale).

Se si considera poi che questo è un film di oltre due ore che scorre senza mai stancarsi, significa che c'è una capacità di raccontare notevolissima; purtroppo Arthur Penn è uno di quei registi che, nonostante diversi tentativi, ho sempre evitato per pure fatalità; ora mi toccherà recuperarlo.
Belle alcune sequenze, soprattutto quelle di sesso (sempre nascosto, come quello della signora Pendrake di cui si vedono solo i piedi o i fade out con inquadrature dall'alto del protagonista che si concede alle tre sorelle della moglie) o di seduzione (tra cui la scena del re-incontro con Mrs Pendrake che cita "Il laureato").
Simaptico, divertente e regge ancora una visione.

venerdì 19 giugno 2015

Sadismo - Donald Cammell, Nicolas Roeg (1970)

(Performance)

Visto in Dvx.

Il tirapiedi di un gangster si trova nell'imbarazzante situazione di doversi nascondere sia dai suoi ex colleghi sia dalla polizia; in attesa di lasciare l'Inghilterra si nasconde nello scantinato di una casa dove si fa passare per un prestigiatore, peccato che in quella casa ci sia un threesome hippie e che a capo del gruppo ci sia Mick Jagger.

Opera prima dell'allora direttore della fotografia Roeg che si dimostra subito essere portato per la regia. Dato il periodo buono per le sperimentazioni eccessive e data la storia ci da dentro con primi piani, dettagli (anche inutili), inquadrature ricercate, uso di lenti deformanti e qualche viraggio di colore. Ma gioca in maniera efficace con il montaggio; un montaggio che si muove al ritmo dei dialoghi o che lavora di alternato (in maniera meno raffinata delle bellissime scene di "A Venezia...), ma in maniera altrettanto efficace) affiancando scene cronologicamente una di seguito all'altra o mostrando sequenze in parallelo o facendo vedere in contemporanea quello che succede dentro e fuori una stanza (unendo scene che non aumentano per forza il significato l'una dell'altra, ma ampliando sempre il mood); in alcuni momenti inoltre il montaggio parallelo o alternato spiega i dettagli inquadrati più dei dialoghi (si pensi alla scena della colluttazione dove il rosso sul muro è vernice). Tutta la prima parte è un florilegio di sequenze da applausi condotte in maniera sperimentale, ma con mano sicura, con una galleria di personaggi (forse banale, ma) ben realizzati; tutta questa parte, per argomento trattato e e per libertà espressiva mi ha ricordato alcuni film di Fukasaku.
La seconda parte, quella dell'incontro fra Fox e Jagger, quella dove esplode il tema del doppio e della trasformazione, quella dove si trova il cuore vero del film... beh quella è per me la aprte meno interessante. L'inventiva c'è comunque (si pensi alla fusione dei volti dei due protagonisti che sostituisce il più consono campo-contro campo), ma il ritmo rallenta bruscamente, la trama si fa più intellettuale e la regia deve adeguarsi, diminuendo d'interesse. C'è meno montaggio, più movimenti di macchina e sovrapposizioni.

Incredibile l'androginia di un Jagger che non avrei mai pensato di vedere così (il Jagger che conosco, quello post anni '90 è molto diverso).

PS: si non ho mai citato Cammell, l'altro regista; sinceramente non lo conosco, dopo questo film ha lavorato poco e senza altri picchi, inoltre molte delle idee messe in campo si trovano nelle opere successive di Roeg, quindi mi sento quasi autorizzato a marginalizzarlo.

lunedì 5 maggio 2014

El topo - Alejandro Jodorowsky (1970)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un pistolero salva un gruppo di frati da 5 banditi, li abbandona il figlio per prendere con se la donna del capo dei banditi. Persi in mezzo al deserto la donna chiede al pistolero di battere i 4 maestri nell'arte del duello che li vivono. Il pistolero accetta e riuscirà a vincerli tutti tranne l'ultimo che si opporrà al duello. Sconfitto fuggirà, sarà inseguito e colpito a morte. Ancora vivo, in realtà, verrà soccorso da un gruppo di freaks che lo porteranno nella loro città sotterranea dove rimarrà in coma per anni e loro lo adoreranno come un loro dio. una volta rinvenuto uscirà dalla città sotterranea con una nana per aprire (da fuori) una galleria per permettere a tutti di uscire ed entrare nella città vicina. Ma proprio nella città vicina entrerà in contatto con il peggio creato dall'uomo, e li incontrerà il figlio abbandonato.

Film western (biblico) surrealista più che surreale. Una storia simbolica fino all'eccesso, dove tutto è prepotentemente simbolo (oggi definibile new age, ma all'epoca stava tra l'hippie e l'originale), spesse volte comprensibile, molte altre personale del regista. Per essere un film surrealista di 2 ore è incredibilmente godibile, grazie ad una storia fatta di personaggi strani, ma assolutamente lineare nello sviluppo, latita solo un po nel ritmo.
Jodorowsky dimostra, come regista, di aver visto Sergio Leone, ma di utilizzarlo il meno possibile. Per il resto si dimostra un ottimo disegnatore di immagini, con i mezzi a disposizione, tira fuori alcuni shot notevolissimi (il colonnello nella stanza circolare dell'inizio, quasi tutta la preparazione del primo maestro al duello, i conigli morti nel recinto, tutto l'incredibile incipit), un personaggio epico nel suo essere un filosofo/frate/pistolero silenzioso e una serie di sequenze incredibili per forza e visione (per me su tutte vince la roulette russa in chiesa per dimostrare la fede). A questo si aggiunge una certa immobilità della macchina da presa compensata da un montaggio sincopato utilizzato al posto dei movimenti (carrellate all'indietro sostituite con zoom negativi, montaggio parallelo di scene in sequenza). Quello che manca è una maggior cura nella fotografia.
Esperimento riuscito.

PS: El topo è interpretato dal Jodorwsky stresso ed il bimbo dell'incipit da suo figlio; anni dopo il regista (poeta, filosofi, psicologo, ecc...) sarà costretto a sottoporre il primogenito ad un atto di psicomagia per chiudere la ferita aperta da quello che viene obbligato a fare nel film. True story.

mercoledì 22 gennaio 2014

Gli aristogatti - Wolfgang Reitherman (1970)

(The aristocats)

Visto in tv.

Una ricca nobildonna francese senza eredi decide di modificare il testamento precedentemente in favore del maggiordomo, e decide di lasciare tutto ai gatti... Alla notizia il maggiordomo decide di drogare i gatti ed abbandonarli in campagna, la via del ritorno sarà lunga, ma ricca di personaggi buffi.

Decisamente non è uno dei migliori film della Disney, i disegni fotocopiati sono anche accettabili (in realtà il tratto mi piace molto), ma l'animazione è piuttosto scadente, la storia non molto originale non ha la profondità dei grandi film precedenti e successivi; almeno parte dei problemi possono essere imputati alle economie degli anni '60... ma non tutto. Il fatto che sia il primo film dopo la morte di Walt è un'altra scusa sono parzialmente accettabile...
Tuttavia il film non si può non ricordare positivamente.

Musiche belle, una galleria infinita di personaggi secondari che con due pennellate riescono a creare una psicologia completa (i miei preferiti sono Napoleone e Lafayette); la storia banale è zuccherosa e abbottonata, eppure regge bene e si fa guardare ripetutamente.

Infine Romeo; una delle poche, grandi, idee dei traduttori italiani, la romanità del personaggio gli si addice, lo espande e lo rende indimenticabile.

venerdì 24 maggio 2013

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto - Elio Petri (1970)

(Id.)

Visto al cinema.

Per chi non ha mai visto il film consiglio caldamente di guardarlo prima di leggerne la trama. Per una descrizione pedissequa della storia rimando a wikipedia; qui sotto, al secondo capoverso, c'è un piccolo spoiler...

Un film che a fatica si accetta essere italiano ed essere degli anni ’70. Se non fosse calato nel clima delle proteste studentesche e delle lotte politiche extraparlamentari lo si potrebbe considerare completamente americano (in senso positivo). Una trama cinica e disincantata, ma anche molto sottile a livello psicologico (il continuo tentativo di farsi scoprire e poi il correre ai ripari nascondendo le prove) e dal thrill perfetto.

Un incipit di incredibile arroganza cinematografica con un uomo che avverte una donna che la ucciderà tagliandole la gola, inizia un amplesso consenziente e poi… l’uomo le taglia la gola davvero, quindi si scopre chi è l’uomo; e il suo gesto non sarà compreso se non alla fine. Fantastico.

Poi Petri si dilunga nei primi e primissimi piani, nel sottolineare dettagli, nel muovere la macchina da presa attaccata ai visi, agli oggetti o alle azioni dando un dinamismo al film che altrimenti risulterebbe estremamente statico.
Il tutto condito con una musica emblematica di Morricone che farà storia. Capolavoro

L'ho detto che c'è un grandissimo Volonté come protagonista o l'ho solo pensato? splendido, odioso e ben curato con un accento magnifico e un carattere psicotico. Bravissimo.

lunedì 28 novembre 2011

La ballata di Cable Hogue - Sam Peckinpah (1970)

(The ballad of Cable Hogue)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.
La storia di un self-made man, che trova l’acqua in mezzo al deserto e ne ricava un business, si innamora di una prostituta e la porta con se, ma dopo un poco la donna, pure innamorata, decide di andarsene…

E ora: sigla.
La storia di un self-made man, che trova l’acqua in mezzo al deserto e ne ricava un business, si innamora di una prostituta e la porta con se, ma dopo un poco la donna, pure innamorata, decide di andarsene…

Film realizzato subito dopo Il mucchio selvaggio, ma Peckhinpah decide di cambiare completamente tono e realizza una commedia. Impensabile!

Il film riesce da dio nella prima parte, nel descrivere il solito crepuscolo del west dal punto di vista in un uomo più astuto nello fruttare le occasioni che non intelligente e più fortunato che capace. Mostrandone anche la calma voglia di vendetta che coltiva senza enfasi e senza pretese per anni… il problema del film arriva con la storia d’amore. Con il personaggio della prostituta il film si appiattisce sulla solita storia da romanzetto perdendo completamente la carica iconoclastica della parte iniziale. E neppure l’assurdo finale riesce a rialzare in questa il film, pigiando solo sull’acceleratore del grottesco.

PS: davvero all’epoca le accelerazioni dei movimenti facevano ancora ridere?! Davvero ce n’era bisogno?!

PPS: curioso come nè il testo della canzone, nè il video centrino alcunchè con il film...

lunedì 7 novembre 2011

Non è più tempo di eroi - Robert Aldrich (1970)

(Too late the hero)

Visto in DVD. WWII, in un’isola del pacifico condivisa fra inglesi e giapponesi, viene inviato un militare USA che conosce il giapponese per una missione pericolosa. Il film mostra il manipolo di militari che compiono il lungo percorso attraverso la giungla, mettendo in evidenza l’inadeguatezza dei superiori, il menefreghismo e l’opportunismo dei subalterni ed in generale l’antieroismo militanti di tutti i personaggi.

Diciamolo subito, il film intrattiene senza eccessiva noia, e questa è la sua dote principale. Le scene (all’inizio e alla fine) degli uomini nella terra di nessuno dove i compagni al sicuro li incitano come in un gioco sono lodevoli; l’idea del duello a distanza fra il comandante giapponese ed i suoi annunci con gloi altoparlanti ed il manipoli di inglesi, nonché diversi guizzi di amaro cinismo sparsi qui e la sono assolutamente pregevoli… ma a conti fatti sono solo un buon incartante per un film mediocre nella realizzazione, che si fa scudo di un antieroismo fin dal titolo per poi sfociare nella più banale glorificazione del working class hero, mostrando che in situazioni di vera necessità tutti sono in grado di dare il meglio ecc…

Si insomma, una film sbagliato in partenza.

giovedì 28 ottobre 2010

Comma 22 - Mike Nichols (1970)

(Catch-22)

Visto in DVD.

Partendo dal paradosso del Comma 22 del titolo, Nichols crea un film fatto di nonsense e surrealtà in tuta mimetica. Mai come in questo caso si può dire che il film parli della follia della guerra, ma in questo caso bisogna intenderla in modo letterale. Viene mostrato un mondo in cui solo chi è ritardato, pazzo o egoista (ma più spesso le cose sono mischiate) può sopravvivere; e la follia si trova ad gni livello.
Il film presenta diversi pregi. In rimo luogo Nichols non è un idiota e riesce a sperimentare inquadrature su più piani in contemporanea, ma a mano a mano che il film prosegue la mano del regista si mostra meno pronta ad osare. In secondo luogo Nichols non è un idiota e riesce a sfruttare la sceneggiatura per creare, anche visivamente, un mondo distopico, folle e sostanzialmente invicibile in cui il protagonista non può che essere risucchiato senza speranza... poi però il film esagera in assurdità divenendo sempre più innaturale e oltre al poco entusiasmante finale si cimenta nella costruzione di metafore (come la fuga notturna del protagonista) logore e ormai insipide.
Complessivamente non convince, intrattiene bene per almeno metà, ma poi si sfilaccia e sembra non riuscire più a capire dove volesse andare a parare.

PS: Cast di star e caratteristi tutti di livello; comparsata del più grande caratterista del cinema dopo John Wayne, Orson Welles nella parte del generale... credo...

venerdì 15 ottobre 2010

I clowns - Federico Fellini (1970)

(Id.)

Visto in DVD.

Semi-documentario e semi-film felliniano realizzato per la tv e che viene normalmente considerato l'inizio della trilogia sulla memoria (che si concluderà con "Amarcord", ovviamente).
L'incipit è stupendo, realizzato da dio, semplicemente una festa per gli occhi che mostrano quanto Fellini abbia influenzato il modo di percepire e di mettere in scena il mondo circense.
L'inizio è a mio avviso la parte migliore (ed in effetti è quella più cinematografica); con l'introduzione del circo nell'infanzia del regista stesso ed il paragone della follia dei personaggi che ne fanno parte con i corrispettivi presenti nel paese; come a sottolineare che il circo non è un mondo a parte ma un microcosmo che rispecchia la realtà entro cui i diseredati dal mondo si trovano più a loro agio in quanto la follia o la stranezza sono ben accette (ed in questo senso anche il gruppo di operatori che Fellini si porta dietro durante il film, a mio avviso serve allo stesso paragone; non per niente c'è Alvaro Vitali!).
Dopo l'incipit il film si perde in un documentario dignitoso ma inutile, abbastanza noioso in quanto tratta di un argomento con molto molto poco interesse. Fellini da signore com'è riesce perfettamente a rendere il senso di tempo perduto, di "fine della festa ora non ci resta che ripulire", ma il tutto si perde in gag assolutamente non divertenti e rendono solo il riflesso di quello che poteva essere il mondo rappresentato.
Un film abbastanza inutile, adatto agli appassionati del regista.

domenica 26 settembre 2010

L'uccello dalle piume di cristallo - Dario Argento (1970)

(Id.)

Visto in DVD.

Ho visto prima “Profondo rosso” e quindi mi vien da dire che questo Uccello dalle piume di cristallo ne è la brutta copia… in realtà essendo il primo film di Argento, rappresenta l’archetipo della sua futura filmografia. I due film hanno un po’ tutto in comune: un artistoide straniero in italia assiste accidentalmente ad un omicidio, di cui vede un particolare determinante per svelare il volto dell’aggressore ma non riesce a metterlo a fuoco, comincia ad indagare per contro proprio rischiando di tirare le zampette e alla fine scopre tutto evviva evviva il colpo di scenona finale, soprattutto perché il cattivo di turno gli spiega bene le cose prima di morire orribilmente.

Alla fine pure questo film, affascina, avvince e convince, ma al contrario del suo successore ha meno fantasia nella messa in scena, meno libertà di regia… e poi si ha la continua sensazione che Argento depisti lo spettatore non per un programmatico spirito di demolitore della tradizione poliziesca, ma semplicemente perché deve allungare la minestra abbastanza per avere un tempo canonico… e una sensazione del genere è un peccato…

A favore di sto film ci sarebbe anche da ricordare che parla di un serial killer ante litteram…

martedì 16 marzo 2010

La vita privata di Sherlock Holmes - Billy Wilder (1970)

(The private life of Sherlock Holmes)

Visto in VHS.

Interessante variazione sul tema.
Il personaggio dell'investigatore inglese lo disprezzo cordialmente, quindi apprezzo sempre il tentativo di modificarlo, di mettere in luce lati oscuri o il semplice citazionismo slegato all'originale. Per questo ho anche apprezzato il film di Guy Ritchie.
Qui in questo film, Wilder cerca di riportare a terra il personaggio, mostrandone i lati umani e non solo quelli superomistici. Il film si apre con la voce di Watson che spiega che alcuni dei suoi taccuini non furona mai pubblicati... uno dei quali è proprio questo. Inizia fin da subito ridimensionandolo, ascrivendo alla fantasia di Watson molti dei vezzi di Sherlock e sminuendo le doti. Lo stesso Holmes si dimostra fallibile, cocainomane, misogino; si lascia sedurre, si sbaglia, si lascia fregare e tradire e, indirettamente, tradisce lui stesso. SI dimostra talvoltas pietato, talvotla semplicemente stupido. Ad un certo punto si finge gay.
Il film è pure ben orchestrato, ma complessivamente non è all'altezza delle doti del regista che rimane assolutamente in disparte e lascia che la storia fluisca...
Un'opera decisamente minore.

domenica 13 dicembre 2009

MASH - Robert Altman (1970)

(M*A*S*H)

Visto in VHS.

Una commedia ormai invecchiata che si preoccupa di smantellare l'idea del soldato americano come eroe. Film adattissimo e giustificato per gli anni in cui è stato fatto (all'epoca le critiche alla guerra in Vietnam impazzavano) oggigiorno ci rimane un film comico non completamente riuscito e una vittoria al festival di Cannes non giustificata dall'arte ma solo dalla politica (non giustificato se si considera che era in concorso pure "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto").
Il film si basa su una comicità di grana grossa, ma certamente certe battute hanno molto il sapore dei Simpson e meritano una riscoperta, come l'altoparlante che da ordini sempre più folli fino a dire i titoli di coda; ed un gusto surreale che si avvicina molto ai fratelli Marx, ecco in questo senso il film acquista importanza come ponte fra la comicità anni '30 e quella postmoderna... ma non bisogna esagerare a dargli importanza neanche in questo.
Qui Altman non da il meglio di se neppure come regista, e la sua classica coralità si sperde in 2-3 personaggi importanti e tanti comprimari.
Un film godibile, niente di più.