giovedì 30 luglio 2020

Lo spacciatore - Paul Schrader (1992)

(Light sleeper)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un piccolo spacciatore di New York incontra per caso la sua ex moglie (da cui si è separato dopo che lei si è disintossicata) proprio mentre sta assistendo la madre morente. Ovviamente lui la ama ancora e farà di tutto per incontrala di nuovo, mentre la sua boss sta per cambiare vita a mettere in piedi un business legale. Quando gli verrà sbattuta in faccia la porta dalla ex moglie la incontrerà un ultima volta per caso; da quell'incontro scaturirà un delitto catartico.

La prima sceneggiatura di Schrader dopo l'impegnativa "L'ultima tentazione di Cristo" (di ben 5 anni prima) è l'ennesima scrittura del canone di colpa ed espiazione.
A conti fatti molti dei lavori scritti da Schrader (e quasi tutti i suoi migliori) hanno per protagonisti dei lavoratori notturni in contatto con il fondo del barile della società, persone moralmente combattute per il sudiciume che si vedono attorno e che cercano qualunque cosa a cui appigliarsi per trovare  un senso, di solito lo trovano in una donna che ritrovano in una situazione critica. L'abbozzo di plot qui descritto è pertinente per "Taxi driver", "Al di là della vita", in parte "American Gigolò" ecc...
E ovviamente, quando Schrader fa una variazione sul suo tema classico il film è magnifico.
Qui le specificità sono date dall'amore salvifico che c'è già stato ed è stato perduto e dal rischio di perdere tutto con il cambio di lavoro della titolare, così come il finale salvifico con una catarsi violenta (e con l'ennesima citazione di "Pickpocket").
Il film è tutto qui ed è, ovviamente grandioso (almeno nella scrittura), lento e coinvolgente, mai noioso e con personaggi credibili e sofferenti, facilmente empatizzabili.
Meno efficace invece la messa in scena, una fotografia spenta che però risulta poco adatta e una regia corretta, ma mai inventiva.
Musiche a là Springsteen, affascinante, poco frequenti, ma quando ci sono estremamente pervasive.
Cast ovviamente ottimo con una Sarandon perfetta che con la sola presenza si mangia la scena in ogni inquadratura in cui compare.

lunedì 27 luglio 2020

Abbigliamento francese - Ken Russell (1964)

(french dressing)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un dipendente del comune di una oscura città costiera inglese ha l'idea di ravvivare l'ambiente e l'estate organizzando un fantomatico festival cinematografico con il dichiarato intento di far venire dalla Francia la versione low cost di BB per presentare alcuni suoi film e inaugurare la prima spiaggia nudista made in UK.

Primo lungometraggio di un Russell irriconoscibile ed estremamente solare che prende a piene mani dalla libertà del free cinema inglese di quegli anni senza prenderne la serietà.
Un divertissment superficiale e carino ai limiti dell'ingenuità con personaggi caricaturali (il sindaco) luoghi comuni nazionali e sequenze accelerate che (grazie al co-protagonista grassoccio) fanno sembrare il tutto un prodromo del Benny Hill Show.
Paradossalmente il lungo incipit (tenuto più a lungo dle normale) in cui i personaggi si muovono e si incrociano senza portare avanti alcuna vicenda (ma solo per presentare situazione e protagonisti) è forse la parte più ostica e la più interessante; getta all'interno di un intrico di relazioni senza spiegarle, ma facendo interagire le persone come se già dovessimo conoscere ogni retroscena.
Il resto è una commediola innocente e senza caratteristiche da ricordare. Per completisti.

giovedì 23 luglio 2020

La terza generazione - Rainer Werner Fassbinder (1979)

(Die dritte Generation)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un gruppo extraparlamentare (che bel termine) si sta organizzando per un colpo, ma viene beccato per la delazione di qualcuno di intero, dovranno darsi alla macchia. Durante la latitanza decidono di mandare un segnale rapendo un industriale che, però, è uno dei loro finanziatori segreti.

Commedia di Fassbinder che prende di mira la società tedesca dei loro anni di piombo entrando a piedi pari nella vicenda, senza remore e senza sconti. Di fatto sono tutti sciocchi, superficiali o grotteschi, nessuno viene salvato.
La terza generazione è la seconda dopo quella nazista ed è quella direttamente presa di mira, ma ne escono coi lividi anche i rappresentanti della seconda.

Il film nel suo complesso è però troppo disordinato, troppo confuso e con una scrittura meno che buona; il tutto viene peggiorato dalla tendenza del regista di tenere il ritmo basso.
Il film risulta quindi buffo, ma noioso, interessante, ma poco incisivo. Dispersivo.
Il cast è il solito che supporta il regista; tutti ottimi, tutti azzoppati dalla debole vicenda.

lunedì 20 luglio 2020

Cena con delitto. Knives out - Rian Johnson (2019)

(Knives out)

Visto su Amzon prime.

Uno strano suicidio di un anziano romanziere molto ricco, l'intera famiglia in casa per festeggiare il suo compleanno, tutti con ottimi motivi per farlo fuori.
Questo è l'impalcatura del giallo classico su cui lavora il film, dire di più potrebbe essere spoiler.

Diciamolo subito, non c'è nessuna cena con delitto, c'è una cena prima del delitto, ma c'è quasi sempre, si tratta solo di una citazione dei titolisti nostrani.
Detto ciò il film di Johnson è un lavoro per andare contro il whodunit classico. Inizia senza discostarsi dal canone, a circa mezzora viene ribaltato quanto accaduto, si passa dalla parte del "criminale" e si comincia a vedere il suo gioco di copertura e distruzione delle prove, fino al lungo finale dove le parti si ribaltano nuovamente per tornare sui binari del già noto.
L'operazione è sicuramente interessante, ma il doppio salto sminuisce un pò l'idea di base (se devi allontanarti dla genere fallo del tutto) e il meccanismo interno del delitto, oltre a causare un aumento dle minutaggio solo parzialmente motivato.

Se l'effetto finale ne è sminuito e si perde abbastanza il senso dell'operazione è pur vero che il film si inserisce benissimo nella commedia gialla, con frizzi e lazzi giusti e non eccessivi; una galleria di personaggi macchiettisitici (con abbigliamento e pettinature proprie) che giocano a rivelare le loro tesse menzogne con gesti, smorfie e tentativi di non detto; inoltre permette qualche pallido momento di azione.
Di fatto Johnson riesce a tenere in piedi tutto quanto con pochissimi momenti di stanca e un divertimento perfetto; dando a tutti i perosnaggi un arco narrativo (tranne ai due protagonisti, poco male per l'investigatore che non lo necessita, peccato per l'infermiera).
Un buon film che intrattinee in maniera divertente e adeguatamente intricata... ecco candidarlo all'ocar per la sceneggiatura è stato un pochino un eccesso.

PS: ottimo il cast di attori a cui non si può voler bene che portano a casa il risultato con facilità (e Craig addirittura sorride, non ricordavo d'avergli mai visto i denti).


giovedì 16 luglio 2020

Timbuktu - Abderrahmane Sissako (2014)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un gruppo di jihadisti arriva a Timbuktu e impone la sharia a un gruppo di mussulmani piuttosto recalcitrante nell'accettarla. nel mentre un uomo e la sua famiglia che vivono alle porte della città si trova ad avere una lite con un pescatore locale che finirà malissimo.

Film di Sissako, formalmente ben costruito, con un ritmo rilassato e un tono pacato che riesce però a non essere mai privo di interesse. Originale e vero valore aggiunto lo sguardo sul jihadismo del nord del Mali (ma il nord del Mali ne è vittima e non promotore) mostrato per piccoli gesti e quotidianità.
Il gruppo di integralisti discute con tuti in maniera estremamente pacata, impone cose intollerabili e folli, ma con estrema grazia (il colloquio con la pescivendola che non vuole indossare i guanti mentre lavora) e con un rapporto costante con le autorità religiose locali, mentre intanto si occupa di creare video (in maniera piuttosto faticosa) e chiacchierare di calcio.
Siamo davanti a una visione dello johadismo sicuramente edulcorata, ma originale, che, da una parte, umanizza i suoi rappresentanti (sono esseri umani e non creature mitologiche come i nazisti dei film americani), dall'altra ne mostra le capacità di inserirsi nel contesto pur essendo un oggetto estraneo, ne sottolinea la (calma) pervasività.

La storia che fa da filo conduttore, quella dell'allevatore che si scontra con il pescatore è invece piuttosto pretestuosa. Si svolgerebbe in maniera simile in qualunque tempo o luogo, l'estremismo religioso non centra nulla. Evidentemente è stata messa dentro per dare una continuità a un film fatto di episodi brevi autoconclusivi.

lunedì 13 luglio 2020

Anche i nani hanno cominciato da piccoli - Werner Herzog (1970)

(Auch zwerge haben klein angefangen)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato.

Un gruppo di ospiti di un istituto (medico? di rieducazione?) approfitta dell'assenza del direttore per assediare il maestro, cercare di convincerlo a uscire, nel mentre si abbassano a ogni efferatezza con un aumento di follia  e caos.

Ecco, il film descritto così ha anche un appeal notevole, ma la realizzazione lascia abbastanza a desiderare e l'effetto della trama grottesca viene ampiamente disperso.
Perché è vero che siamo al secondo film di Herzog, ma la qualità scarsa della pellicola, il cast di attori improvvisati (il problema principale), la trama raffazzonata e ripetitiva portano l'interesse a diminuire con il minutaggio.
Al di là dell'effetto finale la lunga parabola di cinismo e grottesco di un gruppo di nani (ah si non l'ho detto, ma dal titolo e dalla fama del film credo sia evidente, il cast è composto tutto da nani) che rappresentano un campione di umanità animalesca è buono anche scevro da ogni metafora più diretta (metafora che Herzog stesso ha sempre negato).
Encomiabile lo sforzo di creare un incubo in cui la confusione aumenta con le brutture, ma l'effetto finale è ampiamente inficiato.

giovedì 9 luglio 2020

La cura dal benessere - Gore Verbinski (2016)

(A cure for wellness)

Visto su Netflix.

Uno yuppie (si dive ancora così?) viene inviato in una spa svizzera per trovare e riportare a New York il capo dell'azienda (c'è un'importante fusione in ballo e i giorni sono contati, serve la sua firma). Lo yuppie riuscirà a entrare senza difficoltà, ma una volta dentro non riuscirà più a uscirne.

Un film gotico dove tutto (il mood, il perturbante, il mistero da risolvere) è costituito dalla sua ambientazione.
Questo film è tutto realizzato per inquietare e spaesare con l'edificio in cui è ambientato, prima ancora che per i fatto che vi avvengono o i personaggi che si muovono al suo interno.
E a dire la verità, finché rimane su questo punto il film funziona.
La messa in scena è realistica ed inutilmente enfatica, le inquadrature ricche di dettagli, di oggetti, di piastrelle e marchingegni medici e da questo accumulo continuo si crea il tono; a mano a mano che il film procede l'effetto rimane inalterato, ma il minutaggio che avanza sottolinea come Verbinski sia più interessato all'ambiente che alla trama, alle macchine mediche e alle piastrelle che non allo sviluppo dei personaggi e della storia... e come capita classicamente il punto di forza diventa il punto debole del film.
Se si ha poi la pazienza di arrivare in fondo ci si rende conto che, probabilmente aveva ragione Verbinski a focalizzarsi su altro, perché lo scioglimento del mistero risulta evidente già a metà, ma comunque vagamente stridente con tutti gli indizi raccolti e il finale diventa il punto più basso di un film comunque ben realizzato.

Verbinski (che può non piacere, ma sa fare il suo lavoro) dalla sua non si limita a fare da arredatore, ma a comunica con gli oggetti e con il montaggio interno, crea immagini in maniera costante e aggiunge qua e la qualche chicca da bravo mestierante (l'arrivo alla spa in auto, in cui la tensione è data tutta dal montaggio delle diverse inquadrature).

In poche parole, un film tanto interessante (e ben realizzato) quanto fallimentare, per il proprio peso e per un finale non all'altezza. Nota di merito per DeHaan, faccia tutta sua che riesce a essere particolare, ma credibile in ogni sequenza.

lunedì 6 luglio 2020

Animal Crakers - Victor Heerman (1930)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un esploratore torna da un viaggio nel non meglio precisato continente africano; verrà invitato come attrazione a una serata uppercut class dove verrà mostrato anche un quadro. Il quadro però verrà rubato, almeno due volte. Si indagherà per la ricerca dei colpevoli.

Secondo lungometraggio dei Fratelli Marx e ultima opera cinematografica (c'è un corto perduto di inizio anni '20 come prima opera assoluta a cinema) del gruppo tratta da una precedente opera teatrale.
L'origine non originale si sente tutta.
Il film (diretto da Heerman, regista per lo più del muto poi rimasto nel settore come sceneggiatore per cui vinse anche un oscar) è legnoso, molto statico e sembra non voler fare altro che rimettere in scena l'opera teatrale in maniera pedissequa, ma con una camera da presa davanti.
Il film si sviluppa solo in interni organizzati in teatro di posa, per lo più gli stessi 3-4, la macchina da presa è sempre di fronte all'attore o al gruppo che declamano la loro parte in favore dell'obiettivo (c'è in verità qualche lieve tentativo di dinamismo, uno o due movimenti di macchina che cercano un minimo di tridimensionalità, ma il resto è talmente statico che sembra si siano sbagliati a muoversi).
Il ritmo ne è inevitabilmente distrutto e il film non può che essere difficoltoso per un pubblico abituato ad altro.
Sarà per la forma, ma sembra che anche le gag del gruppo siano decisamente meno efficace che nei film successivi, anarchiche e surreali come sempre, ma per lo più autoindulgenti, fuori tempo, eccessive. Funziona bene solo lo slapstick di Harpo (che tutto sommato può essere declinato identico su molti formati diversi) e il solito Groucho, ma più che per l'effettivo divertimento (quello è soggettivo), funziona per la velocità e l'irruenza.
Vi sono infine inserti cantati e due momenti musicali che servono a mostrare il virtuosismo di due del gruppo (Chico e Harpo); altro dettaglio utile in teatro, ma che al cinema serve solo a spezzare un ritmo già claudicante.

giovedì 2 luglio 2020

Gli amori immaginari - Xavier Dolan (2010)

(Les amour imaginaires)

Visto su Amazon prima.

Una coppia di amici (un ragazzo e una ragazza... che sembra parecchio può agée, ma è solo un'impressione) si innamorano dello stesso ragazzo appena conosciuto. Entrambi negheranno l'evidenza con l'altro, ma cominceranno tentativi di flirt forse ricambiati, più spesso fraintesi dal ragazzo e, nel contempo, inizieranno una guerra fredda l'uno con l'altra per il raggiungimento del rapporto.

Il secondo film di Dolan è una prova su tutt'altro registro rispetto al precedente "J'ai tué ma mère"; si porta verso una smaccata commedia (romantica).
Prendendosi molto in giro (anche qui interpreta il coprotagonista e non cerca di far splendere il suo personaggio rispetto agli altri) dirige con mano pesantissima una storia che riesce a far rimanere leggera. 
Dietro la macchina da presa fa di tutto, dalla camera a mano, ai carrelli al ralenti che seguono i protagonisti (che ho letto in giro essere paragonati, con un certo eccesso, a Wong Kar Wai), dalla fotografia con colori sgargianti alle scene notturno con i colori fluo.
Davanti ala macchina da presa la storia, semplicissima, quasi banale e potenzialmente troppo breve per un lungometraggio, scorre piacevolmente, divertendo e intrattenendo bene, si lascia alle spalle una certa legnosità dei personaggi (soprattutto la protagonista femminile sembra più superficiale,e più abbozzata e piatta rispetto agli altri) per farsi catturare dal ritmo della vicenda, tutto realizzato con l regia.
Un ottimo film, lontano dalla potenza dell'opera prima, ma assolutamente efficace.