venerdì 29 gennaio 2016

Gacy - Clive Saunders (2003)

(Id.)

Visto in Dvx.

In origine era Gacy, prima dei "Balada triste de trompeta" o dei "Clown", prima che Johnny Depp dicesse di soffrire di Coulrofobia (come dci spiega bene l'affidabile sito holahollywood); prima di tutto questo, naturalmente, viene Pennywise; ma anche lui si era ispirato a Gacy, in origine dunque, c'è sempre stato Gacy.
Gacy era un amichevole omone di Chicago il cui nome completo era John Wayne Gacy (applausi ai genitori), che amava rallegrare i bambini vestendosi da clown nel tempo libero (Pogo il clown), omosessuale represso, in una notte un po' matta scoprì che ciò che lo eccitava di più non era il sesso, ma uccidere i suoi partner. Ne uccise parecchi sotterrandoli in cantina, e quando venne arrestato passò diversi anni a disegnare clown... per maggiori informazioni wikipedia è fornita di molti aneddoti utili a sostenere una conversazione durante una cena formale.

Questo film, direct to video, vorrebbe essere un biopic interessante su un interessante serial killer. Purtroppo è un filmetto senza capacità; i mezzi ci sarebbero anche visto che la ricostruzione degli anni '70 è decisamente buona e (fatto salvo per i vermi in cantina) non ci sono scene palesemente finte. Il problema è che alla sua prima (e finora ultima) prova su un lungometraggio Saunders dimostra di non sapere cosa fare. La storia è piatta (il soggetto e la sceneggiatura sono anch'essi di Saunders), senza enfasi, inquietudine o emozioni di sorta, le cose avvengono in maniera scomposta, i personaggi sono figurine senza spessore, molte situazioni sono poco comprensibile se non proprio ridicole (non si capisce come sia riuscito a sfuggire alla polizia così a lungo visto che sospettano di lui fin da subito e semplicemente non perquisiscono la casa), gli attori sono mediocri come p mediocre pure il doppiaggio e ci sono pure alcune parti della sua vita che sono risolte con scritte lette da una voce fuori campo. Quel che è peggio è che non riesce a sfruttare la mitopoiesi del personaggio, il motivo per cui il film deve essere stato realizzato è proprio che ci si trova davanti a un clown assassino, ma la cosa si risolve in un paio di battute e in una sequenza dove Pogo fa del waterboarding a un ragazzo.
Film totalmente inutile.
Ciao bambini; Pogo il clown vi saluta

mercoledì 27 gennaio 2016

La donna del miracolo - Frank Capra (1931)

(The miracle woma)

Visto in  DVD, in lingua originale.

La figlia di un pastore protestante, alla morte del padre, si inalbera con quei sepolcri imbiancati dei suoi fedeli, inizia una furente invettiva che la fa notare da un furbo profittatore locale. L'uomo propone alla donna di mettere in piedi uno spettacolo religioso, dove lei potrà portare il verbo come vorrà (meglio se con alto tasso di spettacolarizzazione, come predicando da dentro una gabbia con alcuni leoni) mentre lui drenerà soldi ai fedeli in nome della donna...
Lei conoscerà un ex pilota ora cieco di cui si innamorerà, ma lo scoprire che è vincolata all'uomo che l'ha lanciata (lui la minaccerà di denunciarla dato che tutti i versamenti sono fatti a nome della donna) la costringerà a separarsi da lui.

Meno idealizzato e buonista dei soliti film di Capra, qui sembra invece voler contestare l'abitudine della religione a pagamento con un film, certamente in versione di commedia, ma senza buffonerie o scioglimenti epici (anzi, il finale è decisamente drammatico).
Certo si gingilla con il moralismo, specie nella parte iniziale (dove una potentissima Stanwyck denuncia l'ipocrisia dei fedeli, non senza luoghi comuni, ma che forza); dalla età in poi invece si rifugia in un sentimentalismo romantico che sarà l'unica forza positiva del film e che darà vita a scene passabili (personalmente il pupazzo da ventriloquo lo odio, anche se qui sarà stato usato per la prima volta), ad altre decisamente più pregnanti e significative (la sequenza in cui il cieco finge di aver riacquistato la vista è sentimentale al massimo, ma altrettanto commovente).

La regia è magnifica, con un ritmo di montaggio sostenuto che aiuta il fluire della vicenda e qualche inquadratura inconsueta (la visione perpendicolare sul terreno nella scena del tentato suicidio) e diversi movimenti di macchina da presa, per lo più carrelli (non molti, ma, specie nella prima aprte, sono molto scorsesiani).

Non è da annoverare tra i capolavori di Capra, ma è decisamente un buon film e uno dei suoi esperimenti con temi non del tutto capriani.

lunedì 25 gennaio 2016

La decima vittima - Elio Petri (1965)

(Id.)

Visto in Dvx.

In futuro la violenza sarà controllata incanalandola in un gioco; iscrivendosi volontariamente si è obbligati a partecipare a 10 cacce come cacciatore e a 10 come vittima; nel primo caso si sarà informati di tutti i dati di una persona nel mondo e la si dovrà uccidere (ovviamente quella persona potrà uccidere il cacciatore), nel secondo caso ci si convertirà in preda di un cacciatore. A Roma un abile cacciatore diventa la vittima di un'americana, dona pragmatica che decide di mettere su uno show televisivo e uccidere l'uomo di fronte al Colosseo; per farlo tenterà di sedurlo, ma a quanto pare la seduzione funzionerà e sarà reciproca.

Tratto da un buon racconto di Sheckley (anche se devia dal testo originale) questo è ufficialmente considerato il primo film di fantascienza italiano e, se si escludono i lavori di serie B, a oggi rimane uno dei pochissimi. Per me rimane uno dei prima a mostrare il reggiseno con le pistole incorporate (sentiti libero di ringraziare Rodriguez).

A livello visivo ha il classico immaginario estetico che si aveva del futuro negli anni '60, colori chiassosi, scenografie lineari e pulite con un grosso uso del colore bianco (si potrebbero definire alla apple); riescono comunque a mostrare scorci cittadini interessanti e a incorporare simboli antichi come il Colosseo. L'immaginario tecnologico invece appare ovviamente invecchiato e male (i walkie talkie, il megacomputer messo da solo in una stanza vuota).

Come regia non ci si può sbagliare, con un Petri, come sempre, di classe: uso dei colori enfatico, scene costruite geometricamente, alcune sequenze encomiabili (i flash degli spari nella palestra) movimenti di macchina diffusi come al solito.

Al di là di tutto il vantaggio di questo film (un film di fantascienza fatto molto di chiacchericcio e poco d'azione) è che non si prende sul serio; il protagonista è interpretato da un Mastroianni come sempre sornione (e biondo), c'è la presenza di un Salvo Randone fatto a pezzi (finalmente in una parte diversa dal solito ispettore), una trama che si sposta verso lo scontro fra i sessi all'italiana, un finale da commedia pura e una serie di strizzatine d'occhio encomiabili (Mastroianni che abita in Lungotevere Fellini o gli insulti ai neorealisti, persone volgari che tirano i pomodori a una setta religiosa).
Il problema però e insito nel suo vantaggio. Per un'imposizione di Ponti, il finale si sposta rapidamente dal tragico (come avrebbe potuto essere senza fare del male alla storia) alla commedia, inverosimile, caciarona e accomodante; ecco il dilungarsi del finale è davvero il maggior difetto del film.

venerdì 22 gennaio 2016

The woman - Lucky McKee (2011)

(Id.)

Visto in tv.

Una famigliola felice è formata dal padre padrone, una moglie vittima colpevole, un figlio preadolescente molto disturbato e una figlia adolescente presa dal fuoco incrociato degli altri tre.. Ah già, c'è pure una bimba, ma di scarso significato simbolico.
Andando a caccia il padre trova una donna allo stato brado (una sorta di bambino-selvaggio, diventata adulta); pensa bene di catturarla, legarla nella legnaia ed educarla lentamente... con l'aiuto della famiglia. la moglie e la figlia ubbidiranno per paura, mentre il figlio si slatentizzerà grazie alla presenza di una donna passivamente seviziabile. Naturalmente questa donna non è esattamente indifesa, ma sai, essendo legati si fa fatica a reagire.

Film più drammatico che horror con un intento chiaro di mostrare chili di torture, ma che si ritira abbastanza quando deve deviare verso il gore.
Affascina e funziona per l'aggressiva descrizione di una famiglia disfunzionale perfettamente organizzata e sfrutta l'arrivo della donna selvaggia per far affiorare la vera violenza, quella psicologica (ma non solo) degli uomini sulle donne (in questo caso quella del padre... beh sulle donne). La vera mossa vincente però non è il blando metaforone che stancherebbe chiunque, quanto la sottigliezza con cui viene costruito. Senza voler dire che la sceneggiatura è raffinatamente psicologica e a più livelli (mi parrebbe esagerato), certamente ha il pregio di non urlarti in faccia come stanno le cose, le suggerisce subito, fin dalla prima scena e accumula indizi continuamente, che magari cogli, ma ancora non sia mettere assieme e si conclude con un finale implausibile ed esagerato che però non irrita troppo perché pur mostrando tutto non te lo viene a urlare in faccia, l'ai già capito, non c'è bisogno che te lo dicano di nuovo, semplicemente te lo mostrano.
Interessante anche l'idea di far esplodere canzoni pop calzanti nei momenti di raccordo come ci si trovasse in un film adolescenziale.

Non un film impeccabile, anzi. Molti i difetti, soprattutto l'inverosimiglianza di una storia che sarebbe potuta essere molto migliore; ma il cast è perfetto nelle parti assegnate (davvero tutti molto sul pezzo) e il senso di tortura psicologica è continuo; meno efficace il torture movie fisico che sarebbe potuto scaturire dalla cattività della donna selvaggia.

mercoledì 20 gennaio 2016

Femen; L'Ucraina non è in vendita - Kitty Green (2013)

(Ukraine is not a brothel)

Visto in tv.

Documentario sul gruppo di attiviste femministe FEMEN, le loro attività, le loro attiviste principali, gli obiettivi, la nascita e i retroscena pericolosi e oscuri.

Il documentario è trattato in maniera classica, con i protagonisti in video, macchina da presa per lo più fissa, domande con voce fuori campo; intercalati con filmati di repertorio, scene con macchina a mano che mostrano i lati negativi delle vicende (i lividi, lo squallore, ecc) o scene prese dalla strada (per lo più desolanti ed enfatiche). Il tutto trattato senza troppa grazia o troppa attenzione (la Green dimostra di aver ragionato sulle scelte estetiche solo nell'incipit e nella conclusione speculare). C'è un certo gioco di montaggio, non tanto per una tecnica raffinata, ma c'è l'idea di spargere in giro per i film scene poco chiare (l'uomo con la maschera da coniglio dell'inizio) o dettagli apparentemente insignificanti (le telefonate continue) per poi poter dare più spessore al colpo di scena finale.
Si perché il film è un apparentemente un noioso documentario descrittivo di un gruppo di femministe, in realtà è il tentativo della regista di mostrare il retroscena più imbarazzante, cioè che il gruppo sia guidato da un uomo, Viktor, padre e padrone che schiaccia con la propria volontà le attiviste, un sistema rigidamente patriarcale che vorrebbe protestare proprio contro i sistemi così organizzati.
Devo ammettere che il gioco di sviamento è buono e il film risulta riuscito quando fa sentire Viktor o le attiviste che ammettono con candore il problema giustificandolo.
Tuttavia la noia della prima metà e la sciatterei senza fantasia (oltre a una complessiva mancanza di chiarezza nelle spiegazioni sul movimenti, i suoi fini e i significati delle sue manifestazioni) non possono essere riscattate da un gossip, per quanto interessante.

lunedì 18 gennaio 2016

Ballata dell'odio e dell'amore - Alex de la Iglesia (2010)

(Balada triste de trompeta)

Visto in Dvx.

Durante il franchismo un ragazzo, figlio di un clown arrestato e ucciso dai fascisti, entra in un circo dove farà il clown triste (la spalla comica, mai protagonista, quello che si prende le torte in faccia); purtroppo il clown tonto (il protagonista della coppia) è un uomo violento e alcolizzato che picchia continuamente la sua sexy compagna. Ovivamente il clown triste se ne innamorerà, ma sarà abbastanza saggio da lasciarla perdere... se non fosse che lei continua a cercarlo. Quando verranno scoperte insieme si scatenerà dapprima la vendetta del clown violento, che trasformerà il buon protagonista in un animale (letteralmente) violento.

Per prima cosa voglio mandare a cagare i distributori italiani; questo era il film che volevo a tutti i costi vedere al cinema, impiegarono più di un anno a farlo uscire (nonostante la vittoria al festival di Venezia e l'endorsement di Tarantino) e quando finalmente arrivò in sala ci rimase per circa 10 minuti. Vi odio.

Solo ora, a distanza di anni, finalmente, lo vedo per la prima volta. E capisco che avevo ragione, avrei dovuto vederlo al cinema.
Qui siamo di fronte a un film con tutte le caratteristiche che de la Iglesia ha sparso nella sua filmografia, ma, per la prima volta, declinate in un tono completamente drammatico.
C'è la deformità fisica, lo scontro a due, lo showdown finale in cima a un palazzo (qui una croce), ma soprattutto il fatto che l'inferno sia nascosto dentro ognuno, il problema sono gli essere umani, tutti, sempre (anche il protagonista, i buoni, anche le persone amate, anche i bambini, nessuno si salva). Ovviamente qui il lavoro è più fino perché la storia classicheggiante (di fatto un triangolo amoroso) viene inserita in due contesti, quello circense (che permette di attingere a piene mani a un immaginario gotico enorme; nient e infatti mi toglie dalla testa che la morte del padre del protagonista sia ripreso da "Lo sconosciuto" di Browning), ma soprattutto nel periodo franchista (con un lavoro raffinatissimo di immersione in fatti realmente avvenuti, lasciandoli sullo sfondo senza che diventino mai i protagonisti, ma che abbiano comunque un peso sulla vicenda, soprattutto morale, con un senso di morte e disperazione perenne).

Fotografato in maniera impeccabile si apre con un paio di scene tra le più belle di tutto il film, il circo che viene svuotato e il protagonista da giovane che viene avvicinato da un leone (non è una scena utile, non serve a nulla, a mala pena è simbolica; però è di una bellezza incredibile) e poi ovviamente il padre, truccato da clown e vestito da donna che uccide i fascisti a colpi di machete, un esempio di lirismo alla de la Iglesia che potrebbe fare scuola.
Ma al di là dell'apertura le scelte estetiche sono costanti in questo film e si distinguono in una più oscura e fosca per gli anni '30 e una più calda e sterile per gli anni '70 (oltre a una più fiabesca e gotica per le scene in notturna). Il film è costellato di scelte che pigiano sull'acceleratore del grottesco, raggiungendo il picco (a mio avviso) con al trasformazione del clown in un pagliaccio vestito con i paramenti sacri; c'è del folle e del magnifico dando un senso esteriore alla trasformazione interiore del personaggio e rendendo un senso di metamorfosi quasi organica (si pensi al modo alternativo che trova per "truccarsi" il volto) arrivando a quella di "Clown" pur partendo da presupposti molto distanti.

La regia è opulenta e magnifica proprio come ci si può aspettare. Costruisce vere e proprie cartoline negli anni '70, gioca con le luci e i colori con un senso espressionista, rende dinamici i dialoghi più banali con montaggio alternati e inquadrature da punti di vista differenti e nel resto della pellicola ci butta il solito fluire di carrelli, inquadrature dal basso, movimenti e dolly. Anche se il pregio maggiore è il ritmo che viene impresso alla storia; non c'è un solo momento di stanca e la storia viene lasciata correre all'impazzata dall'inizio alla fine con un costante aumento dell'action; un ritmo che non cala neanche nelle lunghe scene posticce, belle, ma inutili ai fini della storia (come il bellissimo episodio alla Pelevin in cui il protagonista diventa il cane da riporto di un generale franchista).
Inoltre il film regge anche nel finale (uno dei talloni d'Achille di de la Iglesia), dove vengono tirate le fila di tutte le storie sparse lungo la storia, con teschi, animali da circo, la "Balada de trompeta" di Raphael, tutti nascosti dentro alla chiesa scavata nella roccia dal padre del protagonista; tutto in un crescendo di azione con amore e morte (e violenza e odio) come se "Duello al sole" fosse stato realizzato da un Tim Burton dei tempi d’oro su un progetto di Tod Browning.

Va fatto un encomio anche ai titoli di testa. Non sono bellissimi, ma considerando che i precedenti di de la Iglesia erano davvero terribili, qui unisce immagini del franchismo a fotografie horror cinematografiche tentando di creare un parallelo fra i due, un mood e contemporaneamente mostrare il passare del tempo.

...i difetti? beh si ce ne sono, per lo più nella sceneggiatura e sono anche piuttosto evidenti. Troppa carne al fuoco, troppi rivoli in cui si perde la storia, diversi vicoli ciechi, alcune scene o personaggi totalmente inutili se non addirittura irritanti (il motociclista a cosa serviva? soprattutto nel finale perché mettercelo?). Eppure questi problemi grossolani non scalfiscono minimamente né il ritmo, né il mood, riuscendo a farsi perdonare rapidamente.

venerdì 15 gennaio 2016

The host - Bong Joon Ho (2006)

(Gwoemul)

Visto in Dvx.

Dal fiume Han esce una creatura marina ibrida, gigantesca e con il buffo istinto d'attaccare random gli esseri umani, un po' uccidendone, un po' rapendoli senza ucciderli. tra i rapiti vi sarà una ragazzina, figlia di un bietolone; l'uomo, assieme al padre, il fratello e la sorella saranno messi in quarantena, poiché gli americani (sono sempre gli americani a fare casino) dicono che la creatura sia il vettore di un nuovo virus. I 4 fuggiranno per cercare la ragazza, per farlo dovranno, ognuno per conto proprio, affrontare la bestia.

Film atipico nella rinomata hall dei film di mostri, un po' perché un film familiare dove un clan si riunisce per salvare un componente (non c'è supereroismo machista anni '80), un po' perché ha dei ripetuti aspetti da commedia (tipicamente dell'Asia dell'est, con il protagonista buffo che inciampa spesso), ma soprattutto perché non segue per un cazzo le regole imposte da Spielberg del "passa 80 minuti a parlare di lui e mostrarlo negli ultimi 10". No, in questo film ci sono 5-10 minuti di presentazione dei personaggi, poi il mostre esce dall'acqua a fare macelli, in pieno sole su una spiaggia piena di persone con cui interagisce (questo per dire che inizia con la situazione peggiore per il CGI, non nasconde i propri difetti con la penombra o con gli esseri umani inquadrati separatamente). Credo di poterlo dire senza troppa paura d'esagerare, l'incipit è uno dei migliori tra i film di mostri.
Anche la parte della commedia andrebbe sottolineata di più, perché tutti i personaggi sono abbastanza degli idioti, ma le idee migliori sono quelle piccole soluzione messe sullo sfondo, le autorità coreane incompetenti e desiderose di fare bella figura (magnifico l'arrivo del medico americano nella zona della quarantena); e ancora una volta va premiato il coraggio del film di permettersi di fare l'idiota anche in situazioni drammatiche (l'ultimo proiettile nel fucile dato al padre) e fino allo showdown finale (l'esito dell'ultima molotov).

Unico vero neo una certa lungaggine, la ripetitività della fuga dalle autorità e dell'inseguimento del mostro danno segni di stanchezza nella seconda parte.

mercoledì 13 gennaio 2016

L'uomo che cadde sulla Terra - Nicolas Roeg (1976)

(The man who fell to Earth)

Visto in Dvx.

Un alieno viene sulla terra alla ricerca di energia, ovviamente va direttamente negli USA dove sa di trovare soldi e mezzi; però per non farsi riconoscere come extraterrestre si fa passare per inglese. Negli USA tirerà fuori 9 brevetti rivoluzionari che gli garantiranno i mezzi economici necessari. Mentre si troverà sulla Terra intreccerà rapporti di lavoro, avventure sentimentali finché non sarà scoperto; a quel punti diverrà il centro dell'interesse della scienza che gli causerà danni irreversibili (incollandogli addosso le lenti a contatto che nascondono i suoi occhi felini). Rimarrà bloccato sulla Terra per sempre impossibilitato nell'avere informazioni circa la sua famiglia e il suo pianeta.

Quarto film di Roeg dopo "Sadismo", "Walkabout" e "Don't look now"; quello che trovo più affascinante di questo regista è il cambio così radicale di genere fra i suoi film pur mantenendo un'impronta personale riconoscibilissima. Al solito infatti c'è una regia dinamica e fantasiosa, macchina da presa mobile con alcune brevi soggettive e, ancora una volta, un montaggio alternato usato in maniera significativa (ancora un rapporto sessuale come nel film precedente, ma qui sembra più una lotta e viene affiancato a uno spettacolo di spada giapponese; buono, ma non affascinante come l'altro) e un ottimo uso della musica (c'è anche David Bowie che ascolta una sua canzone).
la struttura del film inizia bene, saltando tutti i preamboli e arrivando direttamente nel centro della vicenda; purtroppo però sembra che il film apprezzi troppo l'idea di base del film e se la gode senza portarla mai avanti, senza dargli mordente o l'empatia necessaria, anzi si dilunga annacquandola e diventando decisamente noioso nella seconda parte. Curiosamente riesce molto efficacemente a costruire un ambiente americano affascinante, dai colori caldi e dalla tendenza straniante, fallendo invece in maniera completa nei flashback che mostrano un mondo alieno molto anni '70 e molto ridicolo.

Il film di per se diventa rapidamente fastidioso, ma ha due assi nella manica.
Il primo è la presenza di Farnsworth, il personaggio a cui i creatori di Futurama si sono palesemente ispirato per l'omonimo professore.
Ma il vero colpo di genio è aver scritturato David Bowie, ovvero aver scelto un alieno per interpretare la parte dell'alieno (ce ne sono stati pochi adatti a interpretare una parte del genere, giusto lui, Michael Jackson e Christopher Walken; gli unici alieni riconoscibili da chiunque), perfetto, inquietante e distante il giusto, dolente e spaesato in maniera impeccabile.
                             

martedì 12 gennaio 2016

Difret, Il coraggio di cambiare - Zeresenay Mehari (2014)

(Difret)

Visto al festival di cinema africano (in concorso).

basato sulla storia vera di una ragazza minorenne accusata di omicidio nei confronti dell'uomo che la rapì e violentò per poter essere forzata al matrimonio. L'avventura giudiziaria sostenuta da un'associazione di donne avvocato che furono disposte a portare in giudizio anche il ministero della giustizia verso la fine degli anni '90.

L'opera prima di Mehari, autoprodotta (con l'appoggio di alcune ONG) e successivamente supportata dalla Jolie (che di fatto ha dato rilevanza internazionale a un film già realizzato), è un canonico film di riscatto sociale con un briciolo di legal drama. Niente di particolarmente originale e con una insolita mancanza di volontà nell'affrontare i momenti cruciali (risolvendoli con fade to black o con un personaggio che entra nella stanza ad avvertire che le cose si sono già risolte). In parte quest'ultima caratteristica si giustifica con la mancanza di mezzi, in parte questa pessima abitudine diventa talmente frequenta da fare il giro e diventare una (pessima) cifra sitlistica.

Al di là dell'evidente incapacità nel gestire i twist della trama il film è incredibilmente godibile e scorrevole, ben ritmato nonostante la quasi totale mancanza di enfasi nei punti che la meriterebbero. Il vero valore aggiunto è però la fotografia, scarna e leggermente spenta, ma magnificamente curata.

lunedì 11 gennaio 2016

Venere bionda - Josef von Sternberg (1932)

(Blonde Venus)

Visto in Dvx.

Una ex cantante di locali notturni tedesca sposa un giovane americano, vanno a vivere negli USA dove nascerà un figlio. lui si ammalerà (di una brutta malattia chiamata radiazioni), lo possono curare solo in Europa e la moglie torna a cantare dopo anni per poter pagare le spese al marito; lì conoscerà un facoltoso playboy che si innamorerà di lei, pagherà tutto quello che c'è da pagare e diventerà il suo amante. Lei lascerà il playboy quando il marito tornerà dall'Europa. purtroppo il marito non perdonerà il tradimento e la moglie sarà costretta a fuggire con il figlio per paura che le venga tolto.

Drammone dei buoni sentimenti con una Dietrich per la prima volta vittima e melodrammatica (ok, anche in "Marocco" ne usciva sconfitta, ma anche li era lei a condurre il gioco fino a un certo punto).
Buona le gestione delle scene di von Sternberg che conduce bene le scene, un uso magnifico delle ombre nelle scene in notturna e qualche accorgimento per rendere dinamica la ripetitività di scene simili (utilizza oggetti per velare la visione, come stoffe o palme).
Il vero tallone d'Achille è la sceneggiatura a salti eccessivi, alcune sequenze di dubbia utilità e una pressione sul melò di poco spessore che poteva essere evitato; si difende invece per l'onestà della vicenda e per gli espliciti riferimenti sessuali, crollando rovinosamente in un happy ending posticcio inaccettabile.

Ovviamente i veri motivi per vedere questo film sono due delle tre scene di canto della Dietrich, soprattutto "Hot voodoo" dove indossa un costume da gorilla e "I couldn't be annoyed" dove indossa un frac bianco (scena comunque inferiore a quella in frac nero in "Marocco").

venerdì 8 gennaio 2016

Enter the void - Gaspar Noé (2009)

(Id.)

Visto in DVD.

Un ragazzo americano orfano dei genitori si trasferisce a Tokyo dove diventa abbastanza ricco spacciando droghe, riuscirà a portare a Tokyo anche la sorella, ma un giorno verrà tradito... SPOILER; morirà, ma la sua anima continuerà a volteggiare vedendo ciò che accade alle persone che conosceva, fino alla sua nuova reincarnazione.

Questo è il classico film intellettuale e fastidioso; inizia con una soggettiva di mezzora dove si sentono i pensieri del protagonista esplicitati da una voce fuori campo (pure il battito delle ciglia viene messo, una follia che vorrebbe rendere la scelta più realistica e figa, ma che in realtà aggiunge l'unico dettaglio che a cui nessuno bada e che quindi infastidisce più che creare empatia); viene anche messo un inserto che dovrebbe rendere l'effetto della droga con dei fuori fuoco, immagini frattali dai colori accesi, un'immaginario banale, anche se ben realizzato; poi si passa a una macchina da presa che ondeggia dall'alto dando un senso di mal di mare e inquadrature spesso faticose da seguire.... un film molto fastidioso, sulla carta, tuttavia...
tuttavia questo è un film potentissimo. La prima parte mette subito le cose in chiaro, ci troviamo davanti a un film esteticamente maestoso. Noé fa dell'immaginario lisergico delle luci fluo e dei neon una fotografia pazzesca che riempie ogni singola inquadratura di una bellezza folle e talvolta disturbante; la macchina da presa quando non è impegnata in fighetterie si muove con stile in inquadrature programmaticamente originali che a lungo andare diventano da sole motivo sufficiente per vedere il film (il rapporto sessuale visto dall'interno della vagina!!!).
Poi c'è una storia strutturata in maniera magistrale con una incipit che spiega e rendere confuso nello stesso tempo (di fatto è la reincarnazione spiegata dall'amico spacciatore, ma potrebbe comunque essere anche soltanto l'effetto del DMT assunto da poco e a lungo cercato dal protagonista). La sceneggiatura dopo la prima mezzora si muove con una serie di flashback connessi in maniera apparentemente casuale che aggiungono elementi allo sviluppo del personaggio o alle scelte estetiche successive; uno sforzo notevole di eventi che trova una conclusione nel finale dove vengono tirate le fil di tutto quanto in maniera decisamente soddisfacente.
Se è vero che senza dover usare insegne al neon, "Paura e delirio a Las Vegas" è riuscito a rendere molto di più l’effetto delle droghe, ma in maniera cazzara; è anche vero che in questo film viene messo in scena  un viaggio allucinante autoconclusivo e perfetto, senza un filo di ironia e con la costruzione di un intero mondo.    

Nonostante una storia che in molti punti ci prova a essere fighetta e una regia eccessiva, il film si muove adagio, con lunghi momenti di raccordo e una storia spezzata in centinaia di scene disgiunte o ripetute, in una corsa vista al rallentatore verso la risoluzione finale. Bravo.

PS: Naturalmente questo era un film da vedere al cinema    

PPS: Naturalmente il libro tibetano dei morti non dice le cose che gli sono attribuite.

PPPS: si, questo è il film i cui titoli di testa piacciono a Tarantino.

PPPPS: ok, dopo la smetto. Comunque la storia e l'estetica hanno dato il destro per molte locandine bellissime, eccone alcune.


mercoledì 6 gennaio 2016

Cognome e nome: Lacombe Lucien - Louis Malle (1974)

(Lacombe Lucien)

Visto in DVD.

Un ragazzo, durante l'occupazione tedesca in Francia, chiede di entrare a far parte dei partigiani, ma viene respinto. Capita a una festa di collaborazionisti e SS francesi dove fa il nome del capo partigiano, senza odio, senza intenzioni malevole, semplicemente gli viene chiesto e lui risponde. Inizia così a lavorare per la polizia tedesca; il lavoro gli piace, non per un'ideale, ma per la superiorità che può esercitare, l'aura superomistica della faccenda, i colleghi simpatici. Poi si innamora , fatalità di un ebrea, ma anche lei non è esattamente canonica, odia l'essere ebrea perché il razzismo di cui è vittima vorrebbe che cessasse subito, per questo non ha problemi a mischiarsi con la polizia tedesca.

Esteticamente siamo dalle parti di "Arrivederci ragazzi" (anzi, quel film è dalle parti di questo visto che verrà realizzato dopo un decennio); formalmente perfetto, tono gelido e distaccato come se a Malle gliene fregasse relativamente, una fotografia decisamente meglio curata (molto belle le scene in esterni) e una musica decisamente migliore, attori anempatici, qualche movimento di macchina interessante.

Quello che vince però è il modo in cui Malle ama gestire la seconda guerra mondiale, così come in "Arrivederci ragazzi"la storia impattava sulle piccole vite dei personaggi, anche qui la storia incrocia per caso un adolescente, scemo, ingenuo e voglioso di essere qualcuno, onestamente senza ideali, ma con molta voglia di fare. La storia lo incrocia, e per caso si trova dal lato sbagliato, ma troppo stupido per non ringalluzzirsi dal potere che può ostentare o per rendersi conto dei problemi che causa; ovviamente questo non lo giustifica, ma da una lettura molto innovativa dei "cattivi" dei classici film della seconda guerra mondiale, dove tedeschi e collaborazionisti sono semplicemente stronzi. Bella anche l'ambigua figura della ragazza ebrea che si innamora del protagonista per le possibilità di fuga che le offre dal suo ebraismo.
Un film non avvincente (il ritmo è troppo, troppo rilassata), ma molto intelligente.

lunedì 4 gennaio 2016

Facciamola finita - Evan Goldberg, Seth Rogen (2013)

(This is the end)

Visto in DVD.

Jay Baruchel va a trovare il suo grande amico Seth Rogen; passano il pomeriggio assieme, ma la sera Rogen convinte il recalcitrante compagno ad andare alla festa di inaugurazione della nuova casa James Franco. Li incontrano tutto il Judd Apatow pack. durante la festa però (SPOILER...anche se succede dopo 15 minuti) c'è un terremoto, poi gli esseri umani scompaiono e, in sostanza, inizia la fine del mondo; inizierà con sorpresa e finirà con la violenza dovuta alla convivenza forzata e la presenza di demoni enormi. Finale a sorpresa.

Questo è forse il progetto più cazzaro mai avuto, sintomo di una capacità di sceneggiatura enorme e un potere economico (conquistato con una serie di successi commerciali) anche maggiore. Questa è un'idea cazzara perché parte come una magnifica presa per il culo di sé stessi, durante la festa infatti ci sono tutti gli attori che si sono visti nei film precedenti del pack che si comportano in maniera opposta a quanto ci si aspetterebbe (su tutti Michael Cera vince la palma, ma anche Jonah Hill non è male) con un paio di comparsate più o meno importanti con Emma Watson (più importante) e Rihanna (meno importante). I fatto un divertentissimo e arrogante meta-film dedicato a sé stessi (fosse stato tutto così sarebbe stato comunque magnifico).
Poi la svolta, vengono eliminati quasi tutti i personaggi e rimangono in cinque (sostanzialmente il cast di "Pineapple express" più Jay Baruchel e Jonah Hill). A questo punto il film si muove tra altri riferimenti ai propri film del passato (viene citato "Suxbad" e viene realizzato un seguito amatoriale del già citato "Pineapple express"), scene di incredibile follia (il magnifico litigio fra Franco e McBride dove si urlano contro che eiaculeranno ovunque), rifacimenti di film famosi (l'esorcismo di Jonah Hill), scene action (la fuga dal demone animale o da Jonah Hill posseduto) e semplici momenti di pura ilarità, fino a uno showdown finale dove tutto viene riannodato, si ottiene uno scioglimento in puro stile bromance (perché ovviamente Baruchel e Rogen attraverseranno tutte le fasi di una coppia in crisi) e per concludere ci sarà pure una sorta di scena extra.

Folle, volgare, caotico, eccessivo, forse pure blasfemo; questo è il classico film che viene scritto in una serata in cui si è strafatti, si ride di tutto a caso, e si buttano idee sempre più cazzare perché in quel momento sembrano divertenti (tagliare il pene a Satana) o molto intelligenti. Il vero punto della questione è che qui in effetti funziona; le idee sono divertenti o (abbastanza) intelligenti, il film nato per essere divertente solo da chi lo ha fatto, riesce a coinvolgere e intrattenere per tutta la sua durata (ho trovato eccessivo solo la possessione, che comunque da il La ad alcune delle battute migliori).
Questo film è l'emblema delle capacità di scrittura e di comicità che ha questo rat pack.

PS: e credo che il film avesse anche il compito di fare da product placement per Jay Baruchel.

The cast as The cast


venerdì 1 gennaio 2016

Adua e le compagne - Antonio Pietrangeli (1960)

(Id.)

Visto in Dvx.

1958, ultimo giorno prima dell'applicazione della legge Merlin; in due lupanari quattro, ormai ex, meretrici si mettono d'accordo per aprire un ristorante fuori Roma, una volta ingranato ritorneranno a prostituirsi senza dare nell'occhio nelle camere sopra al ristorante. CI mettono i soldi, mettono a posto una vecchia cascina, ma non ottengono i permessi, perché sono schedate. Si avvalgono di un prestanome che acquista terreno e permessi e si mettono in attività. Da incompetenti diverranno ottime gestrici di ristorante e preferiranno non tornare a fare la vita; però il prestanome verrà a pretendere più del dovuto diventando, di fatto, un pappone. Ci sarà uno scandalo dove i più deboli perderanno.

Storia amara sceneggiata a 8 mani (tra cui quelle sapienti di Pinelli e quelle aspre di Scola) che si muove esattamente alle parti del Pietrangeli drammatico (si veda "Io la conoscevo bene"), dove i più deboli o ingenui vengono soverchiati dalla società che non gli permette mai una redenzione. Purtroppo troppa enfasi, troppe scelte facili per strappare consensi (la prostituta che si porta il figlio nel ristorante, quella che sta per riuscire a sposarsi) sono gestite in maniera ovvia e riescono a far perdere mordente alla storia, mentre avrebbero potuto esserne il cuore vero.

Alla regia invece ci sono i soliti virtuosismi fatti di piccoli movimenti di macchina, con qualche esplosione qui e la: il risveglio di una delle protagoniste che si accorge di non avere più il figlio vicino è un tour de force incredibile anche se breve o l’arrivo del dottore che visita le camere che inizia con musica di sottofondo e lunghe carrellate per finire in una serie di primissimi piani. Non siamo però dalle parti dell'eccesso (in senso buono) degli anni '60.

In ogni caso un film godibilissimo che vale sempre la pena recuperare, anche per il cast, con quattro protagoniste di una bellezza inverosimile e di capacità di recitazione che fanno a gara a superarsi.