lunedì 29 luglio 2013

Un tocco di zenzero - Tassos Boulmetis (2003)

(Politiki kouzina)

Visto in Dvx.

Una astronomo/gastronomo greco, nato a Istanbul, attende l’arrivo del nonno che, per la prima volta, lascerà la capitale turca per andarlo a trovare. Il nonno non arriverà per un malore improvviso; quindi dopo anni di assenza l’astronomo dovrà tornare a Istanbul. Il viaggio sarà un modo per rivivere il proprio passato al ritmo di ciò che conosce meglio, la cucina.

Commedia greca interessante per come vuol parlare di una pagina di storia recente della Grecia (e della Turchia) senza troppo pietismo. Si parla infatti della deportazione dei greci residenti in Turchia in Grecia (fu una decisione bilaterale dei due paesi, accompagnata dalla deportazione dei turchi residenti in Grecia verso la madrepatria; un’idea venuta per evitare che l’autodeterminazione dei popoli obbligasse i due stati ad imbarazzanti concessioni territoriali), un paese non pronto ad accoglierli. L’intera vicenda è raccontata con passo leggero seguendo i ritmi di un pasto (le vicende sono legate alle portate di un pranzo) e strettamente legate al cibo che fa da trait d’union dei vari episodi e che stempera la drammaticità della vicenda. L’idea è encomiabile perché in questo modo non si danno giudizi di sorta, ma si spiega solo un momento della vita di queste persone.

venerdì 26 luglio 2013

Les 7 jours du talion - Daniel Grou (2010)

(Id.)

Visto

Una bimbetta viene violentata e uccisa. La polizia prontamente arresta il tizio giusto, ma al padre della bimba la cosa non basta. Assalta il furgone della polizia e rapisce l’omicida; ha deciso di fargli passare i sette giorni più brutti della sua vita e poi ucciderlo. Dato che è una persona trasparente ne informa anche la moglie e la polizia; anche se nessuno sembra capirlo in realtà i poliziotti si mobilitano non per salvare il criminale, ma per evitare che il buon padre di famiglia (preda di giusti istinti) si rovini la vita con un omicidio e, tra la gente del posto, si comincia a fare il tifo per lui.
Un film tendenzialmente fascista che spiega che tutto sommato, se posto nel contesto giusto, il fascismo è cosa buona e giusta, o quantomeno è comprensibile. Un film con dei presupposti inusuali e complessi che potevano renderlo interessante; peccato che fin da subito sia chiaro che non si sa come si vuol condurre la cosa.

Fare tutto un film drammatico peso con ampie questioni morali pareva brutto, poco pubblico, magari un buon film, ma incassi scarsi.
Fare un onesto torture movie pareva brutto, cioè la violenza ce la metto che intercetto un poco il pubblico di nicchia, faccio vedere che non temo di mostrare anche le cose contro e poi, si sa, il sangue attira sempre; però no, torture movie serio, onesto e peso no, sennò mi svacca il dramma e non riesco a far vedere lo struggimento interiore.
Fare un film bergmaniano e allegorico pareva brutto, ci mettiamo qualche metaforone bello evidente, ci mettiamo lunghi silenzi che fanno lavorio interiore del protagonista, un poco di incomprensione e di sostegno dove meno te lo aspetti (che fa multi sfaccettatura della razza umana) e li ho già detti i lunghi silenzi?!

Ecco il film sembra non decidersi mai su quale strada imboccare con sicurezza e quindi le becca tutte, prendendo spesso i difetti di ogni via percorribile e poco i lati positivi (anche se, devo dire, l’inizio mi era sembrato promettente), mischia le cose creando un film piuttosto noioso, pretenzioso, con azioni sempre più assurde, un finale aperto che ci sta poco e che, alla fin fine, non dice nulla.


Ogni tanto ai canadesi parte l’embolo e fanno un torture movie complesso, se l’embolo che parte è grosso allora fanno Les sept jours du talion

lunedì 22 luglio 2013

Alice - Jan Švankmajer (1988)

(Něco z Alenky; AKA Qualcosa da Alice)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Švankmajer è il genio anni 60-80 della stop motion. Un creativo i cui cortometraggi hanno il passo dei cartoni animati, ma la profondità di opere filosofiche (non a caso sono spesso mostrati nei musei d’arte contemporanea). Qui si cimenta per la prima volta in un lungometraggio. E come se non bastasse è un film in live action, anzi un mix fra riprese reali e stop motion classica.

La storia è quella di Alice nel paesedelle meraviglie mostrata in maniera pedissequa rispetto al libro anche con parti che solitamente non vengono tenute negli adattamenti per bambini (si pensi al bambino/maiale che piange). Il tutto però declinato alla maniera di Švankmajer.
Il mondo onirico di Alice si colora del grigiore della vita d’oggi (beh di allora), in luoghi chiusi che mimano gli esterni (l’unico esterno vero e proprio è il prato iniziale che però inizia da una camera di casa), in palazzi degradati dove una serie di personaggi buffi ed inquietanti nello stesso tempo (gli animali chiamati dal coniglio per entrare in casa sono l’esempio più estremo) si muovono con fretta e furia, seppure senza mai uno scopo.

Ovviamente in mezzo a questo grigiore artificiale il genio di Švankmajer coglie una serie di idee fenomenali, il brucaliffo interpretato da un calzino con dentiera (ma tutta la scena con i calzini nel pavimento l’ho trovata bellissima); il cambio di dimensioni di Alice che è mostrato con alice sempre delle stesse dimensioni, ma con gli oggetti intorno che si rimpiccioliscono o ingrandiscono di volta in volta; il passaggio nel mondo del sogno entrando in un cassetto pieno di squadre e righelli (le gambe di Alice che spuntano dal cassetto del tavolino in mezzo al prato sono un’immagine che vale un film); personaggi viventi per lo più interpretati da oggetti inanimati rianimati (gli animali che sono scheletri ricomposti, il bianconiglio che è un coniglio impagliato che perde segatura, il già citato brucaliffo, le carte della regina di cuori che…beh sono delle carte da gioco) aumentando il senso di artificiale e l’effetto di straniamento. Tutte queste idee e l’atmosfera generale voluta dal regista danno un senso di inquietudine (così come Alice che parla anche per gli altri personaggi, che risultano quindi essere muti, così come sono muti gli oggetti) che le opere tratte dallo stesso libro non riescono mai a dare, un senso di oppressione e di sogno/incubo dove Alice sembra, tutto sommato trovarsi a suo agio, veramente nuovo (in fondo l’idea c’era anche nel classico Disney, ma un eccesso in quel senso avrebbe disturbato il pubblico infantile). A questo collabora anche il comparto sonoro, unico contrappunto uditivo se si escludono i brevi dialoghi interpretati da Alice; non c’è musica, solo i rumori più importanti che vengono amplificati fino a diventare l'unico suono esistente.


Il limiti di questo film, che è la noia e la lentezza, derivano tutti dall'idea di seguire in maniera ossessiva l’opera originale, che al cinema rende solo per le immagini e non certo per la trama senza senso.

venerdì 19 luglio 2013

Ek thi daayan - Kannan Iyer (2013)

(aka Once there was a witch)

Visto al cinema in lingua originale.

Film horror indiano… la trama è molto articolata, come sempre nei film horror che non sanno dove andare a parare, comunque inizia con un flashback di 45 minuti in cui il protagonista bambino scopre su un libro di magie come andare all'inferno… è sufficiente andare nell'ascensore del proprio condominio e digitare (of course) tre volte il numero 6… nonostante l’induismo imperante il bimbo si infila in questo inferno cristiano con la sorellina e quello che vede… beh non è altro che una normale strada indiana dopo che ha piovuto. Comunque sia da quel momento una donna che fa di tutto per dire che è una strega si infila in casa sua per sedurre il padre, ma la sera se ne torna all'inferno nel sottosuolo del condominio. Il piano della strega è uccidere la sorellina del protagonista per scopi dubbi, il bimbo lo capisce, sventa il piana e ammazza, temporaneamente, la strega, ma la sorellina muore comunque. Detto ciò si torna nel presente, il protagonista è un mago di successo, sta con una che sarà sua moglie conosce una canadese fan sfegatata che gli ricorda tanto la strega, la moglie gli dice di non dire cazzate e le due diventano amicone, il regista ci infila a tradimento due canzoni (una con un accenno di balletto niente male) poi le streghe tornano ad ammazzare gente accazzo. Show down finale all'inferno che, a questo punto, è solo il luogo dove abitano le streghe che non si spacciano per donne normali.

Filmaccio che di spaventoso non ha nemmeno la locandina e si avvicina di più ad un Twilight dei poveri, dove le streghe fanno solo da arredamento horror e sono un pretesto per mettere nel film poche canzoni. Godibile solo perché spinge così tanto sull'idiozia che va al di la del bene e del male.

lunedì 15 luglio 2013

Vita di Pi - Ang Lee (2012)

(Life of Pi)

Visto in aereo, in lingua originale.

Come dice il titolo, la vita di Pi, ragazzo indiano costretto a lasciare la terra natale dalla famiglia, naufragato in mezzo all'oceano e rimasto a vagare su una scialuppa con una tigre per giorni.

Che dire… un film che è una fiaba e che se volesse limitarsi ad essere un film per ragazzi potrebbe essere uno dei migliori mai girati… purtroppo l’impressione è che voglia essere di più, che il discorso sul racconto e sul raccontare (ampiamente trattato allo stesso livello, anche se in maniera altrettanto sfacciata, in “Big fish”) voglia sembrare più profondo di quanto non sia in questo caso.

Detto ciò la componente estetica è incredibile. Io l’ho visto su uno schermo minuscolo di discutibile qualità eppure mi ha colpito moltissimo (non oso immaginare che cosa doveva essere al cinema). Una cura tecnica in ogni scena dopo quelle del naufragio, una ricerca insistita del bello ad ogni livello che è comunque encomiabile. Ang Lee poi non si limita a questo, non si limita alla creazione di un mondo onirico quasi paradisiaco anche nelle disgrazie, ma cerca di legarlo con le sequenze del mondo “reale” che lo attorniano con delle sovraimpressioni, delle dissolvenze parziali ed altri accorgimenti che lo rendono (a livello estetico) ancor più godibile.

In sostanza, secondo me è un mezzo fallimento bellissimo da guardare.

venerdì 12 luglio 2013

Addio Miss Marple - John Davies (1987)

(Agatha Christie’s Miss Marple: sleeping murder)

Visto in VHS.

Per chi è appassionato di gialli (o di Agatha Christie) i film con protagonisti Miss Marple/Poirot sono un genere a parte. Questo è un genere dove la storia non conta perché sai già che ti piacerà, è un genere dove i personaggi non contano perché sai già che ti piaceranno, non te ne frega niente  di ste cose.

Quello che conta è che l’ambientazione vintage (soprattutto anni ’20-’30, solo in pochi casi gli anni ’50) sia impeccabile e che gli attori protagonisti siano adatti.
Questo film per la tv si occupa della prima parte con un certo impegno; non furoreggia come nei migliori esempi con Poirot come protagonista, però fa il suo lavoro al minimo sindacale portando a casa la pagnotta.

Il vero problema qui è la protagonista. Assomiglia alla mia prozia di Como, vecchietta ben avanti con gli anni, simpatica, gentile, discreta, affilata (esteticamente), ma curiosa e sempre attenta a quello che le succede attorno… si insomma, niente di che come personaggio. Non interessa, non convince… non ha appeal. Di fatto il film è perso. (Joan Hickson è comunque brava nella parte e verrà spesso utilizzata dalla tv inglese, tuttavia non mi pare proprio la scelta migliore sulla piazza).

Se poi ci si aggiunge che questo film tv si trascina avanti per 2 ore con lentezza e noia direi che è del tutto perdibile.

Per la storia rimandiamo a fonti con più spoiler.

lunedì 8 luglio 2013

Un sapore di ruggine e ossa - Jacques Audiard (2012)

(De rouille et d'os)

Visto al cinema.

Un boxer fallito con figlio a carico si trasferisce dalla sorella, li incontra una donna, ex ammaestratrice di orche che ha perso le gambe perché… beh insomma sono anche chiamate orche assassine, potrà succedere che si perdono le gambe. I due iniziano un rapporto che lei ritiene d’amore, ma lui vede più come amicizia con benefit.

Se l’incipit, i personaggi messi in gioco, gli attori ed il regista fanno subito pensare ad un film indie, arrivando a vederne la fine, questo Ruggine e ossa si rivela essere un melodramma classico. Se il genere piace il film piacerà tantissimo, se il genere risulta stucchevole il finalone con disgrazia catartica che fa crescere all'improvviso i protagonisti risulterà indigesto.

Il film è trattato con piglio autoriale alla solita maniera da Audiard, che rinuncia a sporcare (a livello estetico) la pellicola come nelle opere precedenti, rendendo più fluido il ritmo; unisce poi musica pop in accordo con quanto viene mostrato dando un’idea di iperrealtà nonostante la trama si muova fra eventi piuttosto fiabeschi.

I protagonisti sono ben delineati e Alì è un personaggio splendido, un bambino mai cresciuto che si arrabatta nella vita riuscendo sempre a farcela in un modo o nell'altro, lui dopo aver raggiunto il fondo non tenta di risalire, semplicemente si sistema bene li dove si trova e cerca di fare il meglio per se ( e questo spesso risulta essere il meglio anche per gli altri), ma è troppo ottuso per valutare gli esiti delle proprio scelte (e questo spesso provoca eventi negativi agli altri).


Tutto sommato un film bello, fatto di immagini crude, ma magnificamente orchestrate ( i corpi nudi dei due protagonisti stesi l’una sull’altro, la sequenza dell’attacco da parte dell’orca che sembra una via di mezzo fra una ripresa televisiva ed un documentario marino, ecc…). il finale stucchevole e buonista come in tutti i melodrammi mi ha infastidito, ma non cambia la bontà complessiva del film.

venerdì 5 luglio 2013

Solo Dio perdona - Nicolas Winding Refn (2013)

(Only God forgive)

Visto al cinema.

Sono un giannizzero di Refn, anche i suoi film che non mi sono piaciuti (Bleeder o Valhalla rising) comunque li ho trovati interessanti (in maniera più o meno pretestuosa). Quando sono andato al cinema ero colmo d’alterigia verso quegli adolescentelli che pensavano di essere di fronte a un Drive part II, io si che sapevo bene dei lunghi silenzi alla Refn, dei chiacchiericci inutili, dell’estetica estrema, delle inserzioni oniriche, della violenza studiata più che mostrata… poi però il film va avanti… e se anche fa piacere vedere Kristin Scott Thomas consumata dal tempo che viene violata in una maniera non prevedibile; se anche fa piacere vedere un’estetica estremizzata che riporta a Fear X o a Bronson; tuttavia i lunghi silenzi alla Refn (o di stampo orientale come ho letto da qualche parte) rompono parecchio le balle. La faccia da schiaffi di Gosling (che in Drive riusciva accettabile) qui è veramente irritante. Le sequenze oniriche (o apparentemente senza scopo) che popolano tutti i film di Refn dopo Pusher qui sono sostanzialmente inutili e appesantiscono un film che sembra già durare tre ore. La semplice trama di vendetta, giustizia e violenza (concetto di violenza che già in Bronson e Valhalla) qui è stucchevole e non offre un contraltare alla velocità limitata del film. Le sequenze di karaoke sarebbero felicemente comiche se durassero la metà.

Un film che si presta allo spoof più che alla esegesi… insomma du palle.

lunedì 1 luglio 2013

Una notte da leoni 3 - Todd Phillips (2013)

(The hangover part III)

I soliti tre vengono minacciati da un trafficante (il sempre amato John Goodman), pare che Chow gli abbia rubato dei soldi ed essendo loro l’unico suo punto di contatto sono loro che devono trovarlo e consegnarlo. Questo li porterà in Messico e quindi di nuovo a Las Vegas per concludere quello che li era iniziato.

Il film cambia il senso di marcia, anziché muoversi a ritroso, per la prima volta segue il senso giusto e tutto sommato non guasta, un cambio nella solita trama non fa che bene. L’incipit per il resto è identico, stesse dinamiche di gruppo, stesso umorismo esagerato e fisico di Galifianakis (un poco meno originale del solito, ma comunque rimane ancora la cosa migliore del film), molto velocemente però (più o meno da quando lasciano il Messico) il film si affossa, tende a voler concludere la trilogia con un ritorno alla normalità di tutti (il che vuol dire far rinsavire Alan) uccidendo completamente l’idea originale del film (perfettamente descritta nel flashback presente nel secondo film in cui Alan ripercorre gli eventi del giorno prima immaginando il gruppo come dei bambini). Inutile dire che la normalizzazione sposta l’attenzione della storia verso un lato più serio calando l’umorismo e soprattutto irrita molto per una forzatura che non serviva. Anzi, non ero proprio andato al cinema per vedere questo.

Una pessima conclusione per una serie che, probabilmente, era meglio non fosse una trilogia.