venerdì 31 ottobre 2014

Osterman weekend - Sam Peckinpah (1983)

(The Osterman weekend)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un presentatore televisivo, famoso per non fare sconti a nessun leader (politico o militare che sia), viene assunto dalla CIA per incastrare tre suoi amici che sarebbero traditori della patria e collaboratori del KGB. Dovrà fare il lavoro sporco in un weekend in cui si troveranno tutti a casa del presentatore, adeguatamente approntata con videocamere e microfoni dalla CIA.

Uno dei più isterici atti d'accusa contro la CIA, uno dei più disarticolati film di complotti a scatole cinesi. La strama non è chiara fin dall'inizio e, mano a mano che la storia prosegue, si fa sempre più disgiunta dal buonsenso.
Peckinpah si organizza con la sua regia standard (dove i rallenty sono particolarmente azzeccati; s veda il breve inseguimento in auto di una semplicità incredibile, ma tutto giocato sul montaggio e sul rallentamento delle scene) che sfocia spesso nel televisivo con un anticipo notevole sull'attuale Grande fratello.
Hauer è perfetto nella aprte dello stronzetto strafottento col ciuffo biondo e la rispsota pronta, Hopper è bellissimo per la aprte dell'introverso puttaniere (non è una sforzo recitativo enorme, ma ha la faccia e l'atteggiamento giusto), Hurt ottimo nell'agente della CIA fredo e vendicativo. C'è pure la partecipazione di un Lancaster ben utilizzato.

Ma se tutto è così perfetto perché il film è universalmente ricordato come una vaccata?
Sicuramente la trama caotica non aiuta, ma peggiora ulteriormente quando non sa più che genere dovrebbe scegliere; inizia come un thriller spy vs spy sull'idea de "La talpa", prosegue come un thriller psicologico di un gruppo di persone chiuse nella stessa casa per un weekend, continua come un "Cane di paglia" in versione famigliare e conclude il tutto con un triplo gioco che porta al più implausibile degli happy ending.
Personalmente questa schizofrenia del linguaggio gliela perdono pure (le varie parti prese singolarmente sono abbastanza efficaci, tranne quella del massacro che poteva dare di più), e se si considera l'isteria generale della storia sembra davvero un film scritto da uno psicotico; inoltre il ritmo non sembra esserne toccato. Il vero problema (per me) è il finale, assurdamente positivo, attaccato malamente con il bostik che ammazza la follia del film che lo precede, ne smorza la forza e accoppa il ritmo.

mercoledì 29 ottobre 2014

Predator 2 - Stephen Hopkins (1990)

(Id.)

Visto in Dvx.

Gli alieni del film capostipite si ritrovano in una Los Angeles spaccata dalla guerriglia fra bande rivali; nel mezzo la polizia, condotta da un Danny Glover poco credibilmente nella parte del macho. Si inseguiranno, indagheranno, si picchieranno duro.

Questo è uno dei film che avendo visto da regazzino è riuscito a lasciarmi sempre una profonda impressione pur non ricordandolo affatto. Rivedendolo oggi dopo qualche decennio ho capito perché l'avevo dimentica. Questo film è bruttissimo.
Il primo capitolo era un capolavoro dell'action con quasi niente fuori posto, un gioco al massacro con regole semplice e sempre rispettate; un antagonista potente, affascinante e stronzo fronteggiato da uno Schwarzenegger cazzutissimo.
Qui le regole sono completamente mandate in vacca, si entra nell'astronave, si vedono i trofei, si vedono tecniche di caccia e di riparazione delle ferite che vorrebbero essere un succoso soprammobile scifi, ma riescono soltanto a rendere non credibile una storia che (per quanto assurda) nel primo potevano anche farmi passare per un found footage. L'antagonista si rivela non stronzo e potentissimo, ma cavalleresco e distruttibile con estrema facilita. Il protagonista è Danny Glover... beh che dire, qui gli si vuole anche bene, ma questa non è proprio la parte per lui... e poi voglio dirla tutta, io ricordavo perfettamente che il protagonista fosse, di nuovo, Schwarzenegger, quindi si può immaginare il mio disappunto quando il poliziotto normale di "Arma letale" fa piroette con la macchina sventando una guerriglia da solo, al posto di un austriaco pompato.

La storia poi si sviluppa ripetitiva e noiosetta, in una prima parte in cui nessuno capisce niente, si inseguono questi misteriosi figuri cercando di creare un'atmosfera di paura (con scarsi risultati); nella seconda parte c'è la lotta vera e proprio, ma i problemi arrivano subito, nel primo film era una lotta sproporzionata vinta con l'astuzia e la tenacia (perché non ri poteva fare altrimenti), qui invece è una lotta quasi alla pari vinta per una tenacia dall'origine non proprio cristallina.
Personalmente lo considero un fallimento di per se, neppure lo voglio affiancare al film che lo precede.

lunedì 27 ottobre 2014

Killer klowns from outer space - Stephen Chiodo (1988)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo di clown alieni invadono una cittadina degli USA, catturano gli uomini per farne baccelli di zucchero filato per potersene nutrire. Un gruppo di ragazzi salverà il mondo.

Canonico horror scifi figlio diretto degli ultracorpi e della fantascienza anni '50 in genere innestato sull'umorismo e sulla parodia anni '80. Negli anni '80 ormai il genere horror aveva un decennio e rotti di archetipi base, aveva nelle vene i tentativi indipendenti di fare orrore con tutto (ma proprio con ogni singolo oggetto), non restava che la presa per il culo ed il film per ragazzi in declinato nei vari generi (grazie a Dante).

Qui l'idea è che gli alieni siano una razza di clown con tutti gli oggetti relativi, i colori sgargianti e i giochi, a cui poi noi (stupidi umani) ci siamo ispirati per inventare i nostri innocui pagliacci (questo non viene mai detto, ma credo fosse la base teorica del film). Quello che si si trova di fronte è quindi un film dalle scenografie felliniane, dai colori chiassosi, dalle idee visive continue (realizzate con effetti speciali d'epoca, ma buoni) e dal ritmo sostenuto. La banalità della trama è diluita nella gigantesca serie di idee nuove per i vari omicidi perpetrati dai clown; questi alieni infatti sembrano avere possibilità illimitate, escono dai cartoni per la pizza, uccidono con una valanga di torte in faccia, usano ombre cinesi animate, intrappolano nei palloncini, utilizzano pop corn/semi di piante aggressive ecc...
Se a questo si unisce la capacità di prendersi mai sul serio, ma di voler divertire con la parodia ben realizzata, il risultato finale è un film che (ovviamente) non farà mai paura, ma che conquisterà fin da subito e costringerà a non staccarsi mai dallo schermo fino alla fine.
Un must da applausi che non potrà non piacere quasi a chiunque.

PS: pare che stiano progettando un remake... tremo all'idea di quello che potrebbero fare la CG a basso costo...

venerdì 24 ottobre 2014

Dietro la porta chiusa - Fritz Lang (1947)

(Secret beyond the door...)

Visto in DVD.

Una donna indipendente si sdilinquisce per un uomo affascinante che sposerà dopo una breve frequentazione. Fin dalla prima notte di nozze però noterà qualcosa di strano, che rimarrà sullo sfondo finché non si trasferirà nella casa di lui dove conoscerà la sorella, il figlio di primo letto di cui non sapeva nulla, nonché la sua passione di collezionare stanze... (è un architetto...).

Thriller psichiatrico che ha debito continui con almeno due o tre pellicole di Hitchcock. Dettaglio non insignificante, ma sottolineato da tutti. La storia scorre verso il prevedibile con un ritmo abbastanza buono che tutto sommato fa perdonare gli attriti.
Il vero punto negativo è il finale semplicistico, non so quanto efficace all'epoca, oggigiorno certamente inaccettabile.
Il punto di forza però sta tutto in Fritz Lang. Non siamo davanti ad un capolovaro, anche nel periodo americano ha prodotto opere molto migliori; però Lang non è un idiota e non dimentica da un anno all'altro l'esperienza accumulata nel ventennio precedente. La forza di questo film è tutta nelle luci e nelle ombre.
Non siamo dalle parti dell'espressionismo pieno, ma Lang viene da quel mondo li, e sa il peso che ha un'ombra, sa che per inquietare è sufficiente oscurare i volti di un giudice e di una giuria (in una delle sequenze migliori del film dove il coprotagonista fa da imputato e accusa contemporaneamente), sa che la luce di una porta aperta su un corridoio può avere l'effetto di una coltellata, sa che una sagoma nella nebbia o una silhouette di notte possono avere un impatto notevole, sa come si usa una torcia elettrica o le ombre degli ospiti o ancora le porte aperte o chiuse.
Non un capolavoro insomma, un film un pò imbolsito dall'età, ma ancora godibile.

mercoledì 22 ottobre 2014

Hook, Capitan Uncino - Steven Spielberg (1991)

(Hook)

Visto in tv.


Peter Pan ha deciso d rimanere nel mondo normale e di invecchiare; divenuto padre di famiglia ha ormai dimenticato tutto quello che fu. Tornato a Londra però scopre che i suoi figli sono stati rapiti da Capitan Uncino voglioso di vendetta, dovrà tornare sull'isola che non c'è, riguadagnare la fiducia dei bimbi Sperduti, ritrovare la capacità di volare e battere Capitan Uncino.

Dagli anni '80, fino alla prima metà dei '90 Steven Spielberg ha realizzato (come regista, ma anche come produttore) una serie di film per ragazzi, film seri, ben realizzati e dai temi (e dai toni) vari, non fotocopiati gli uni dagli altri. In questo filone si inserisce Hook.
Qui c'è una carica eversiva molto limitata rispetto ai film precedenti o al successivo "Jurassic Park", meno cura forse ma di sicuro un risultato più modesto.
I soldi messi in ballo sono enormi e riescono ad ottenere una serie di scenografie mozzafiato, in cui la macchina da presa di Spielberg si diverte a muoversi in scioltezza (bello il beccheggio dell'inquadratura quando Spugna parla con Uncino sottocoperta).
Quello che latita però è un'idea visiva originale e vincente, i bambini sperduti sono (alla meglio) dei punk in erba, mentre i pirati sono la fotocopia di quelli del film Disney. L'altro grande difetto è una storia molto più accomodante del solito. Proprio il dettaglio vincente delle produzioni di Spielberg viene mancare; è evidente che il pubblico a cui si rivolge ha un'età media più bassa del solito, quindi mette il piede sull'acceleratore dell'avventura (cosa positiva), del divertimento (e ci va bene) e su quello dei buoni sentimenti (...caz...). Il risultato però, nell'ottica del film per preadolescenti è ottimo; ricordo ancora l'obbligo assoluto ad essere disturbato, quando, da bambino, trasmettevano questo film in tv... Quindi a conti fatti pure questa esperienza è vincente, seppur meno buona per un pubblico più adulto.
A chi come me ora non riesce più ad apprezzare del tutto questo genere di film, bisogna sapersi accontentare di un sottotesto (già presente nel Peter Pan originale) della paura del tempo che passa e di una carrellata di attori da urlo tutti utilizzati in maniera impeccabili nelle parti che più potevano dare loro risalto (ovvio Williams adattissimo alla parte del protagonista, ottimo un Hoffman libero di fare tutte le faccette che vuole, impeccabile Hoskins nelle vesti uno Spugna pensato per lui), incredibile il numero di camei (di cui mi sono accorto solo recentemente) e, infine, incredibile come ancora ad ogni visione mi renda conto di qualcuno che fino ieri non avevo mai notato (stavolta mi sono accorto che l'anziana Wendy è la mia amata Maggie Smith).

lunedì 20 ottobre 2014

Sugar man - Malik Bendjelloul (2012)

(Searching for Sugar man)

Visto in tv.

Negli anni 60-70 un cantante, Sixto Rodrigues, contestatore di origine ispanica provò a sfondare nel mondo della musica USA, fallì al secondo album. Quello che non scoprì è che in Sud Africa invece ce l'aveva fatta e divenne un cult, passando poi a essere la colonna sonora delle proteste anti-apartheid. Divenuto più famoso del Rolling Stones, ma ormai scomparso dalla scene venne creduto morto. A metà anni '90 però un gruppo di persone decisero di sapere come era morto. Quello che venne fuori fu sorprendete, era vivo e vegeto, faceva l'operaio a Detroit, dove non sa nulla del successo all'estero (e non prese mai i soldi dei diritti degli album venduti). Contatto andrà i Sud Africa per una serie di concerti sold out.

Una storia inverosimile, adatta per un film Disney, che però è tutta vera, con un protagonista talmente bello e naif da far subodorare il mockumentary fino alle ultime scene. Invece, ripeto è tutto vero.
Il documentario è ben gestito, con una cura delle immagini degne di un film di fiction, gira le interviste in maniera classica, ma tutte le immagini di raccordo sono panorami di Detroit o del Sud Africa inquadrati con lunghe carrellate, inserisce un paio di sequenze animate senza uno scopo descrittivo, ma purmante estetico e nel mostrare il mitologico protagonista lo segue camminare per le strade con lunghe carrellate laterali, lui vestito di nero in mezzo alla neve (creando una mitopoiesi sua, un'immagine gloriosa e riconoscibile che da il timbro al film ed al personaggio.

Vincitore dell'Oscar fece ben sperare essendo il primo film di Bendjelloul, che però, con un gesto sorprendente degno di un suo film, si tolse la vita nel maggio di quest'anno.

venerdì 17 ottobre 2014

Before midnight - Richard Linklater (2013)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua


Lui è ormai uno scrittore affermato che ha fatto i soldi con due libri dedicati alla loro storia (i due film precedenti sono i suoi due libri precedenti), i due stanno insieme da 9 anni e sono genitori di una coppia di gemelle, ma lui soffre per la distanza del figlio di primo letto che vive in america con una madre alcolizzata. Si trovano in vacanza in Grecia e il regalo fattogli da due loro amici (una notte in un hotel loro due da soli) diventa l'espediente per una passeggiata con l'ormai ovvio dialogo sulla loro vita.

Il terzo capitolo della saga è nel contempo chiarificatore e scadente.
Chiarificatore perché nel dialogo iniziale con gli altri personaggi Hawke sembra dichiarare che l'intensione del film non è quella di mostrare il tempo e i cambiamenti che esso induce nelle persone, ma al contrario far vedere il cambiamento di percezione nelle stesse persone; indubbiamente la differenza è poca, ma nel significato sostanziale.
D'altra parte il film è scadente perché si separa completamente dai precedenti. Questa è la prima volta che c'è una lunga introduzione con una selva di personaggi dove i due protagonisti fanno parte di un coro; non c'è un limite di tempo e non c'è l'ansia di doversi dire tutto prima che sia troppo tardi, ma c'è la volontà di farlo perché si sta litigando (l'aereo c'è, ma è all'inizio e indirettamente scatena tutti i dialoghi). Vabbè, questi sono dettagli che sarebbe stato carino mantenere, ma non sono sostanziali.
Quello che è sostanziale è che qui non si mostra la differenza di percezione circa gli stessi argomenti (amore, passato, presente e futuro), ma si cerca (immagino) di mettere in scena una piccola crisi di mezza età, anche se totalmente avulsa dagli argomenti dei film precedenti.Ok i personaggi sono gli stessi, ma il fatto che siano quarantenni non serve a nulla, sono presi dai problemi di tutte le coppie e ne discutono secondo le sensibilità personali (come in qualsiasi altro film sull'argomento), ma non c'è differenza con i personaggi di nove anni prima; se temporalmente questo film fosse stato fatto nel 2005 sarebbe stato identico, mentre gli altri film non potevano non essere fatti a 20 e 30 anni di età. L'esperimento quindi viene completamente concluso in favore di un film ricalcato sugli altri, ma con tutt'altro scopo (il dialogo a tavola fra persone di diversa età è solo un pallido contentino visto che tutti dicono le stesse cose).

Stilisticamente le immagini sono sempre delicate e bellissime, Linklater sembra trovarsi più a suo agio con dei personaggi in movimento (durante la camminata copia il proprio "Before di sunset"), quando li chiude in una macchina o in un albergo anche la sua fantasia sembra esserne limitata. Sempre bravi gli attori qui azzoppati da una sceneggiatura piuttosto coerente con i personaggi, ma che si butta sull'urlo più che sul contenuto (anche i due protagonisti hanno le loro colpe avendola scritta a sei mani con il regista), con alcuni picchi di follia (il litigio sembra veramente forzato, il personaggio femminile, ad un certo punto, sembra semplicemente pazzo).
Peccato, una conclusione sottotono per uno degli esperimenti più interessanti del cinema (dovremo aspettare il 2022 per sapere se ci sarà un nuovo seguito).

PS: nota antropologica, se è vero che gli uomini invecchiano più velocemente a 30 anni poi si stabilizzano abbastanza, le donne invece dopo il picco dei 30 crollano.

mercoledì 15 ottobre 2014

Prima del tramonto - Richard Linklater (2004)

(Before sunset)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Sono passati nove anni dal loro unico incontro, il loro appuntamento dopo sei mesi è fallito; lui è divenuto scrittore raggiungendo il successo scrivendo della loro storie, lei è un'attivista. Lui si trova a Parigi per un tour promozionale, lei va alla presentazione, ovviamente lui ha un aereo da prender entro sera, ma decide di passare un'ora e qualcosa con lei, passeggiando per Parigi e parlando di quello che c'è stato in mezzo.
Ancora una volta un breve incontro a scadenza, ancora una volta l'ansia di dirsi tutto prima che sia troppo tardi.

Il progetto di Linklater ora risulta chiaro, far passare realmente il tempo cinematografico in modo da avere gli stessi attori invecchiati e mostrare gli stessi personaggi, ma cambiati dalla esperienze. Di fatto u n'operazione enorme e intelligentissima che da sola rivaluta in toto il primo film.
Qui alla sceneggiatura mettono mano anche gli attori. Non so se sia un bene o meno. Di fatto a scrittura rimane ben costruita, non troppo noiosa, non troppo inverosimile; scade molto di più nei luoghi comuni e crea un paio di personaggi un poco più banali dei precedenti anche se molto coerenti. La cosa che funziona è la prospettiva cambiata, sono gli stessi di 9 anni prima, ma essendo cresciuti il loro punto di vista si è spostato. Il tempo è passato ed hanno un rapporto diverso con l'amore, il passato ed il futuro.

Linklater cambia gestione delle scene, immagina una lunga passeggiata per Parigi (in parte in battello), e lui insegue o anticipa i due personaggi, non sceglie più le inquadrature originale e sempre diverse, ma si butta nello stile Aronofsky con qualche buon risultato. La fotografia rimane sempre encomiabile con una densa luce a scavalco. Quello che rimane è la grandissima prova degli attori ancora una volta a loro agio e realistici.

L'incipit strettamente legato al primo capitolo, il finale nuovamente sospeso, il minutaggio limitato rendono questo film una seconda puntata vera e propria togliendogli la dignità di film indipendente inserito in un progetto più ampio; rimane un ottimo esperimento da proseguire.

PS: il film suggerisce inoltre che gli uomini invecchiano più rapidamente, mentre le donne migliorano dai 20 ai 30 anni

lunedì 13 ottobre 2014

Prima dell'alba - Richard Linklater (1995)

(Befora sunrise)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un ragazzo americano (tipicamente anni '90 con capelli unti, camice sopra le magliette e fare itnellettuale) proprone ad una ragazza francese appena conosciuta di fermarsi con lui a Vienna per una notte, non avendo i soldi per l'albergo vuole girare per la città fino al mattino dopo quando prenderà l'aereo di ritorno. La ragazza accetterà. Passeranno la notte fra un locale e l'altro a raccontarsi delle proprie vite passate, dei propri desideri, delle proprie emozioni.

Film adolescenziale che mette in campo una serie di chiacchiericci piuttosto scontati, molte volte emotivamente ovvi che colpiscono esattamente il target di romanticherie standard... eppure...
Eppure la scrittura è buona, considerando che questo è un film in cui si parla e basta (non succede nient'altro, mai) il ritmo riesce sempre ad essere tenuto; merito di una scrittura ovvia, ma sempre almeno un minimo interessante; merito della freschezza di scrittura, che mette in bocca a due ventenni quelli che sono pensieri e sentimenti consoni con l'età, magari abusati e scontati, ma sono proprio quelli; merito di una coppia d'attori (fighi, perché seguire le avventure di due cessi non interessa nessuno) veramente bravi, credibili in ogni momento; merito di un'insieme tematico che riesce a buttarci in mezzo una sensazione alla "Stand by me" di tempo che passa, di possibilità che c'erano e non ci sono più; infine merito di una regia muscolare, che si sbatte tantissimo per rendere un camminare in tondo qualcosa di godibile a livello visivo, che cerca di mettere la città non sullo sfondo, ma in primo piano, che con i movimenti di macchina da presa cerca di nascondere l'immobilità della trama, che insiste in inquadrature sempre nuove supportate da una fotografia sempre all'altezza. Inoltre ci si aggiunge un finale aperto non consolatorio, ma liberamente interpretabile... che non è poco.
Poi è ovvio, ora sappiamo tutti che questo film avrà due seguiti a distanza di nove anni che ci riproporranno questi due personaggi che si reincontreranno e dovranno fare i conti con il tempo trascorso, quindi il tema del passato e del mutare delle cose diventerà preponderante e anche le banalità diventeranno fondamentali per portare avanti un discorso più articolato.
Preso da solo è un film incredibilmente buono dato che sulla carta avrebbe dovuto essere terribile; preso nell'insieme è un esperimento estremamente interessante da giudicare nel complesso.

venerdì 10 ottobre 2014

Reality - Matteo Garrone (2012)

(Id.)

Visto in DVD.

Un pescivendolo di Napoli, con una famiglia, benvoluto da amici e parenti, partecipa alle selezioni per il grande fratello (su insistenza dei figli); passa la prima tornata. Da quel momento comincia per lui un'ossessione, una psicosi; ritiene di essere costantemente sorvegliato da qualche oscuro decisore di Cinecittà, comincia a regalare i propri avere per dare una buona impressione, vende l'attività, viene allontanato dalla famiglia.

Fiaba nera di un Garrone particolarmente ispirato. Come regia siamo al solito; camera a mano, inquadratura incollata ai personaggi (si sofferma più a lungo del dovuto o evita il campo-contro campo se riconosce un'espressione affascinante), ambiente che interviene come quinta teatrale, ma anche come evidenziatore di un mood. Però Garrone è bravo non soltanto nel muovere una cinepresa; sceglie attori i cui corpi parlino per loro, ne mostra i corpi, le manie e le imperfezioni per spiegare un'intera galassia di personaggi; scegli location butterate come i i suoi protagonisti, decadenti, kitsch e accoglienti allo stesso tempo; utilizza colori pastello bellissimi che fanno il paio con le musiche sognanti di Desplat. La trama è condotta senza enfasi e senza picchi, ma come un lento sprofondare... ma uno sprofondare quasi felice per il suo protagonista.
Infine il cast è impeccabile, a metà strada fra attori perfetti e persone prese dalla strada risultano sempre credibili, naturali, come fossero personaggi di un reality. L'accento (o il dialetto) napoletano danno un colore ed una profondità ai dialoghi che un italiano perfetto non avrebbe dato e pazienza se in una scena (ma una contata) non c'ho capito quasi nulla.

L'aggettivo felliniano è qui piuttosto fuori luogo, questa è a tutti gli effetti una favola; la magnifica scena d'apertura con un lungo pianosequenza su una carrozza trainata da cavalli bianchi detta già il ritmo del film, la seguente scena con un numero considerevole di riti kitsch per il matrimonio e la foto di gruppo dei parenti sulla piscina (perfetta per disposizione dei corpi e colori) dettano l'umore e lo stile visivo.

mercoledì 8 ottobre 2014

La calda notte dell'ispettore Tibbs - Norman Jewison (1967)

(In the heat of the night)

Visto in DVD.

Credo di non spoilerare nulla che il titolo già non sottolinei dicendo che la storia è quella di un poliziotto afroamericano del nord degli USA di ritorno da un viaggio (è andato a trovare la madre, visto che è un bravo ragazzo) si trova nella sala d'attesa di una stazione del sud, verrà accusato dell'omicidio di un uomo dallo sceriffo (scorbutico e razzista). Chiarito il fraintendimento i due saranno costretti a collaborare per scoprire l'assassino.

Film incredibilmente solido e roccioso, riesce a tenere in piedi in maniera degna almeno 3 mood distinti: un sudatissimo noir del sud, il classico whodunit (questo è forse quello più invecchiato, regge ancora, ma ha un ritmo ormai superato) e la questione razziale.
Tutti e tre questi ambienti riescono a confluire l'uno nell'alto in maniera perfetta mentre sullo schermo duellano continuamente la coppia di protagonisti. Da una parte un Sidney Poitier ormai adattatosi alla parte dell'afroamericano che lotta contro i pregiudizi; dall'altra un Rod Steiger enorme che si divora ogni scena anche soltanto con il suo sguardo disilluso ed il suo continuo masticare (meritatissimo Oscar).
Jewison sceglie una regia incollata ai suoi personaggi, a tratti voyeristica nell'insistere con primi piani e ì dettagli di oggetti o mani.
Infine la colonna sonora, con in testa l'omonima canzone cantata da Ray Charles è assolutamente sul pezzo.

lunedì 6 ottobre 2014

Italy in a day, Un giorno da italiani - Gabriele Salvatores (2014)

(Id.)

Visto in tv.

Come è noto Ridley Scott ha dato vita a quell'assurdo progetto di "Life in a day" (che non ho ancora visto) chiedendo alle perosne di tutto il mondo di inviare un filmato di una loro giornata, unico limite il giorno doveva essere 24/07/10.
A distanza di tre anni, anche in Italia si decide di replicare l'esperimento il 26/10/13 (sempre con il mantello di Ridley Scott).
Di fatto questo documentario sottolinea come le risorse della tecnologia siano qualcosa di importantissimo purché la testa che le coordina sia unica, i contributi di tutti sono importanti, ma il professionista che ne fa la cernita è vitale.

Il film di Salvatores è un documentario che punta molto sull'emozione, sulla tenerezza e sul senso larger than life di ogni utente. Per farlo non si limita a mostrare momenti positivi, ma anche scnee di tenerezza dovute alla malattia, dignità nella morte, personaggi estremi, persone che fuggono e qualcuno semplicemente in una situazione disperata (il pensionato ex dirigente d'azienda, il padre separato che attende il figlio o la ragazza che si inquadra con la tomba del ragazzo). Non c'è una storia unica, ma spesso vengono reitertamente mostrati spezzoni di uno stesso filmato come a completare una microstoria, per mostrare gli stessi personaggi cosa stanno pensando adesso.
Interessante inoltre le tecniche cinematografiche mezze in campo (spesso dagli utenti), il montaggio della ragazza prima e dopo il trucco che crea un effetto speciale d'inizio secolo, il parlare di qualcosa mentre le immagini mostrano il contrario (il ragazzo appena sveglio che dice alla madre al telefono che sta mangiando) o aggiungono senso alle parole (la ragazza che dice di voler crescere la sua famiglia a Palermo, mentre sullo sfondo si può vedere l'obelisco di Washington).

Esperienza interessante, breve e ricca di sentimenti... personalmente ho una fobia circa il tempo che passa e l'effetto finale che ne ho ricavato è stato un pò il contrario di quello voluto, il reiterare di fatti, la replica che ogni persona fa della stessa vita di tutti gli altri pensando di essere unica, mi ha dato depressivo di inutilità delle cose che pochi altri film erano riusciti.

venerdì 3 ottobre 2014

I dimenticati - Preston Sturges (1941)

(Sullivan's travel)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un regista hollywoodiano di commedie sciocche vuole fare una virata verso il cinema impegnato e a parlare di scottanti temi sociali. I produttori non sono affatto d'accordo e sottolineano come la cosa risulti stucchevole dato che lui della povertà, della disoccupazione e dei viaggi nei treni merce non ne sappia nulla. Il regista decide quindi di fingersi un senzatetto per alcuni giorni per toccare con mano la povertà di cui vorrebbe parlare. Nel suo vagabondare incontra una ragazza, ovviamente si innamorano, lui viene derubato, il ladro muore schiacciato da un treno con addosso i documenti e il cadavere viene scambiato per quello del regista. Verrà messo ai lavori forzati dove vedrà a cosa servono le commedie sciocche da cui tanto voleva allontanarsi.

Misconosciuta commedia drammatica di Sturges, dal titolo italiano che sembra neorealista e invece nasconde un film esplosivo. Questa è prima di tutto una commedia, la prima parte in particolare è una sequenza rapidissima di battute fantastiche (per lo più contro Hollywood) come nel miglior Howard Hawks. Poi si trasforma, proprio come vorrebbe fare il protagonista il film diventa dapprima una commedia agrodolce con risvolti sociali, per poi sfociare nella commedia amara sulle condizioni di vita dei diseredati, senza mai dimenticare le proprie intenzioni iniziali. Il finale poi è un inno a alla prima missione del cinema (poi persa gradualmente negli anni '30 a causa della depressione), l'intrattenimento, prima dell'impegno e prima del documentario, il cinema è sempre stato intrattenimento.

Se la sceneggiatura è eccezionale (è vero, nella seconda parte si fa troppo enfatica in diversi punti, ma riesce comunque a scorrere bene), la coppia di attori protagonisti è affiatatissima, sui due però spicca Veronica Lake (che io vedo qui per la prima volta), non sembra recitare, risulta naturale qualunque cosa faccia, dall'innamorata, alla ragazza travestita da uomo, alla donna apatica ed indifferente.

mercoledì 1 ottobre 2014

Final cut, Ladies and gentlemen - György Pálfi (2012)

(Final Cut: Hölgyeim és uraim)

Visto in Dvx, in lingua originale.

La storia di un uomo e di una donna, si incontrano, scatta il colpo di fulmine, lui la insegue, entra nel locale in cui lei si esibisce, a fine spettacolo la segue di nuovo, si amano, vengono scoperti dall'ex di lei, i due uomini si picchiano, l'innamorato vince; si sposano, lei rimane in cinta, i due litigano (lui lavora troppo e la trascura, lui la sente distante), lui si ubriaca, decide di arruolarsi e parte per la guerra.

Una storia banale, lineare come poche, con solo due personaggi. Ma questa storia è un obbligo, visto che quello che conta è, come sempre dovrebbe essere, la forma.
Pálfi tira fuori il cinefilo nerd che c'è in lui e costruisce un film incollando insieme sequenze prese da oltre 500 film, utilizza solo musiche tratte da alcuni di quei film e la lingua originale (anche se in realtà parlano pochissimo). L'effetto è incredibile e straniante. Se all'inizio si fa fatica a capire la storia (ecco perché è necessario che sia lineare) e ad un certo punto il montaggio serrato è stato addirittura disturbante, l'insieme è però un'opera grandiosa e folle. Gli accostamente sono innumerevoli e fantastici, inutile cercare di descrivere i momenti migliori, copioincollo uno dei svariati commenti che si possono trovare sul web.
Marylin Monroe with "Put the blame on Mame" in the background, In the mood for love's soudntrack as a companion to Raiders of the lost Ark, the smooth score of Twin Peaks illustrating Psycho's shower scene, the multiple uses of Penelope Cuz's "abre los ojos" line.

Che dire, un'opera al di la del bene e del male, talmente estrema da non essere ancora uscita al cinema per non aver ottenuto tutti i diritti di riproduzione.
Volendo trovare dei nei forse era evitabile l'utilizzo continuo di alcuni film in favore di altre grandi opere lasciate fuori e volendo si potevano non mettere i telefilm che invece sono stati inseriti (di fatto un mondo a parte). Però siamo onesti, solo Pálfi  ha avuto le palle di mettersi giù a fare un lavoro improbo, e le regole se le fatte lui (si è anche inserito una breve sequenza del suo "Taxidermia"). Bellissimo il titolo che sembra suggerire che tutto il cinema fin qui realizzato fossero solo materiale realizzato per costruire questo film che, dopo oltre un secolo, ha ottenuto il final cut.

Per un elenco piuttosto completo dei film utilizzati guardare qui.