venerdì 30 novembre 2018

Hunger Games: la ragazza di fuoco - Francis Lawrence (2013)

(The Hunger Games: catching fire)

Visto in Dvx.

Dopo aver vinto gli Hunger games dell'anno precedente con un colpo di mano che ha insinuato il tarlo della rivolta, katnyss viene assoldata dal governo per un giro di rappresentanza nei vari distretti dove dovrà mostrarsi connivente. Lo spettacolo, nonostante l'impegno, non funzionerà. Per sbarazzarsi di lei, il governo, organizzerà degli Hunger Games speciali dove si scontreranno solo i vincitori delle passate edizioni.

Al secondo capitolo della saga il film guadagna in una sceneggiatura con più colpi di scena e movimenti di trama che permettono di mantenere ancora alto il ritmo e, pur senza inventare più nulla (la potenza del massacro per divertimento è ormai affievolita), mantiene un certo grado di originalità. L'originalità è tutta negli elementi seminati nel primo film; la doppia storia d'amore/affetto della protagonista che comincia a diventare più strutturata, ma soprattutto la creazione di un'eroina.
Perchè in effetti tutto il film (anzi la saga), parlano della mitopoiesi, di come una ragazza diventi un vessillo di una ribellione nonostante a lei non importi molto della lotta, ma persegua solo obiettivi personali (certamente generosi, riferiti alle persone amate, ma comunque per il proprio bene); magnifico in questo senso il costante spaesamento della Lawrence, ma ancora di più tutta la prima mezzora in cui lei collabora volontariamente con il governo incrementando però la propria fama di rivoluzionaria. Che io ricordi, mai un'eroina è stata così ancti eroica e mai un'eroina è stata così passiva.

Il comparto estetico vive completamente delle scelte fatte nel primo capitolo, mentre il cast sembra voler giocare d'accumulo, dopo i Sutherland e i Tucci già presenti nel primo, ci aggiungono un insperato Philip Seymour Hoffman. Nel mentre la Lawerence continua con una recitazione incredibile che culmina con una primissimo piano finale tra i più convincenti della storia del cinema.

Il film, ovviamente, perde molto nel non essere un capitolo finito, con una storia verticale sufficiente per reggersi da solo come invece era il primo.

mercoledì 28 novembre 2018

L'odio esplode a Dallas - Roger Corman (1962)

(The intruder)

Visto in Dvx, in lingua originale.

A Dallas dieci ragazzi di colore vengono ammessi, per la prima volta, in una scuola peer bianchi; la posssibilità è data da una legge che tutti sembrano essere intenzionati a seguire anche se nessuno sembra apprezzare. Un uomo arriva in città con il preciso intento di fomentare la folla per riuscire a far abolire la legge a colpi di protesta popolare e sotterfugi.

Eccezionale film di Corman, per la prima volta (per mia esperienza) nei panni dell'autore politico che tocca un tema all'epoca attualissimo, ma che, nel contempo, precorre alcuni dei fatti (prevedibilissimi) che succederanno in Mississippi.

Il film si pone per essere il migliore della filmografia del regista. Una sceneggiatura solida che induce lo spettatore a seguire le vicende di un protagonista negativo e viscido. Un climax ben modulato che alterna le vicende private a quelle pubbliche. Una serie di scelte di casting perfette; ogni singolo personaggio ha la faccia e il fisico adatto, tutti sono in paerte... la qualità delle recitazione un pò meno; ma Shatner è una scelta magnifica, affascinante, energetico, gigioneggia in maniera perfetta lavorando sullo stare sopra le righe senza mai cadere (solo in paio di momenti in maniera eccessiva) dando corpo a un personaggio che riesce a comunicare negatività con un sorriso o con il suo continuo tirar su di maniche.
Infine c'è la regia; molti primi piani che danno spazio agli attori (Shetner soprattutto) di dare il meglio, alcuni carrelli, inquadrature dal basso e una scena madre, quella del discorso pubblico, a metà fra il monologo e il dialogo fatto da un campo/contro campo con la folla.
La fotografia, nelle immagini trovate su internet sembra essere precisa e pulita, purtroppo la versione che ho trovato è piuttosto malmessa e non è possibile giudicarla.
L'unico neo è il finale, uno scale down troppo rapido e troppo poco credibile che spreca tutta la tensione accumulata; con una quindicina di minuti in più sarebbe potuto venire fuori un capolavoro.

L'impegno sociale del film sembra essere distantissimo dalle produzioni sci-fi anni '50 o dal filone alla Edgar Allan Poe di quegli stessi anni, ma rispecchia la stessa sfrontatezza nel voler toccare ogni tema che salti in mente al regista e la sua precisa volontà di cogliere lo zeitgeist del momento che si stava vivendo (che negli anni '70 lo porterà alla più onesta e sfacciata exploitation).
Il film fu accolto malissimo, il fratello del regista (qui produttore) fu accusato di comunismo e, a conti fatti, fu l'unico fiasco della carriera di Corman.

lunedì 26 novembre 2018

Bed time - Jaume Balagueró (2011)

(Mientras duermas)

Visto in DVD.

Un portiere di condominio servizievole e gentile (e depresso), ama, in realtà, vedere la gente soffrire; mantenendo una facciata pulita si impegna quotidianamente per peggiorare la vita dei condomini.
Detto così è cosa di poco conto, ma dire di più sarebbe spoiler; anche se in quasi tutte le immagini si capisce uno dei punti fondamentali...

Thriller malatissimo di grande stile ed efficacia. Comincia con una calma olimpica giocando con le percezioni dello spettatore e smontandole tutte senza dare nessun elemento per capire le motivazioni, ma ancora di più, fin dove si spingerà.
La sceneggiatura è semplice, ma congegnata alla perfezione e da la possibilità di creare senquenze incredibile; possibilità che Balagueró coglie al volo, come nella scena in cui il portiere rimane bloccato dentro l'appartamento della ragazza (perfetta per la tensione continua e per la capacità di far parteggiare per il protagonista che già si è imparato ad odiare).

Finalmente dismessi i panni del regista di found footage, Balagueró, può finalmente dimostrare di saper essere elegante e deciso e capace di creare un film dal pacchetto estetico adatto alla storia raccontata e semplicemente preciso.

Ottimo anche il cast che sembra totalmente in parte con una menzione d'onore per Luis Tosar che recita per sottrazione (non per moda, ma perchè richiesto da un personaggio che si nasconde dietro un falso sorriso) riuscendo a far trasparire i suoi reali sentimenti con un solo sguardo trattenuto.

Il film regge benissimo per tutta la sua durata con momenti apertamente weird e altri di pura tensione; con l'aggiunta di rendere sempre credibile una storia che di credibile ha ben poco e di far empatizzare con vitteme realmente innocenti. Il finale è un anti climax forse un pò troppo spinto, ma assolutamente non tranquillizzante o consolatorio, anzi.
Inoltre il film presenta uno degli omicidi più efficaci (per effetto disturbante sullo spettatore).

venerdì 23 novembre 2018

Anna Karenina - Clarence Brown (1935)

(Id.)

Visto in Dvx.


Seconda versione cinematografica del libro di Tolstoj e seconda versione interpretata dalla Garbo (la prima, degli anni '20, era muta).
Personalmente sono un amante dei melodrammi dagli anni '50 in poi, pieni di agnizioni, sentimenti trattenuti e scene madri; mentre sono piuttosto allergico a quelli degli anni '30, più stucchevoli, enfatici e banali e, solitamente, invecchiati male.
Per questa versione di Anna Karenina i presupposti erano dei peggiori; la Garbo veniva spesso usata per i film più reazionari possibili (ancora soffro nel nominare "Grand Hotel" che pure aveva degli spunti buoni). Ecco i difetti supposti sono esattamente quelli che il possiede, ma vengono tutti contenuti in due o tre scene; gli amoreggiamenti sentimentali o le sofferenze dei due amanti insieme vengono motlo contenute in favore della battaglia solitaria della protagonista, momento in cui il film regge molto meglio.

La Garbo è indubbiamente brava a giocare di negazione, ma più che dal treno, viene ammazzata dal doppiaggio italiano che appiatisce e rende la sua performance più banale.
La regia classicheggiante tenta però un dinamismo lodevole; cerca l'nquadratura inusuale per intrudurre alcune sequenze (la partita di croquet) o per rendere più chiaro l'avvenimento inquadrato (il matrimonio) e fa un uso contenuto, am entusiasmante, del dolly e dei carrelli (si veda l'inutile, ma bellissima seuqenza el banchetto inziale o la bellissma e utile camminata di Anna sulle scale mentre lascia la casa).
I personaggi sono macchiettistici e la storia non rimane fedele al libro (cosa non fondamentale), ma incredibilmente il film regge benissimo e la visione riesce a rimanere un'esperienza tra il paicevole e l'ottimale nonostante tutto il mio razzismo.

mercoledì 21 novembre 2018

Two sisters - Kim Ji Woon (2003)

(Janghwa, Hongryeon AKA A tale of two sisters)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Due sorelle tornano nella casa paterna dopo un ricovero. Con loro vivrà anche l'odiata matrigna che, a onor del vero, sembra tentare davvero di ricucire il rapporto, ma la testardaggine di tutti e i problemi mentali che sembrano avere tutti renderanno i rapporti sempre più tesi... e l'impressione che ci sia anche qualcun altro nella casa si farà sempre più insistente.

Film coreano fatto di twist plot (almeno due) dosati nella maniera standard per l'oriente, e cioè ammazzando il movimento in tre atti della sceneggiatura a cui siamo abituati rendendo semplicemente imprevedibile il finale (non tanto per la svolta, quanto per il modo e i tempi con cui ci arriva).

Il pacchetto è, come sempre in questi casi, perfetto; con una location bellissima  e adatta (una casa barocheggiante e gigantesca), una fotografia nitida, attori belli e distanti e vestiti pulitissimi; un insieme perfetto per ospitare il male e l'oscuro e ancora migliore per essere sporcato con il sangue.

Il punto fondamentale è, ovviamente la trama. Non si tratta di un horror anche se flirta con il genere; personalmente ho trovato efficace per suspense solo la scena del dopo cena con gli amici epilettici (assolutamente ben realizzata con continui cambi di prospettiva e la regia che gioca con le aspettative del pubblico). Il resto del film è a metà strada fra il dramma familiare e il thriller psicologico.
Il problema a mio avviso è che, un film del genere, con la sua vera forza nella trama che ribalta la situaizione per almeno due volte, deve essere perfetto nel descrivere ciò che accade; la storia, invece, mi è parsa piuttosto confusa, tutti gli elementi del finale sono rintracciabile, ma tirare le fila nel dettaglio è un lavoro più complicato di quanto non dovrebbe.

lunedì 19 novembre 2018

Bunny Lake è scomparsa - Otto Preminger (1965)

(Bunny Lake is missing)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una coppia di fratelli americani si trasferiscono in Inghilterra, con loro la figlia di lei; il primo giorno di asilo la  bambina scompare. Nonostante le ricerche sembra che nessuno l'abbia mai vista (compreso lo spettatore); le indagini, quindi, cominciano a cambiare corso.

Thriller psicologico affascinante per il ritmo rilassato e la gestione dei tempi, oltre che per i continui cambi di prospettiva che sono il vero punto di forza.

Preminger alla regia porta avanti il suo solito stile fatto di piccoli piani sequenza e un uso smisurato del dolly che dona dinamismo anche alle continue scene in interno, da profondità alle inquadratura, chiarisce la geografia degli spazi e verticalizza l'andamento dei personaggi. Una regia che è sempre gustosa, ma che in questo caso diventa magnificamente funzionale per la gestione degli spazi; la scuola è piccola e stretta, ma su molti piani e con molte stanze, i movimenti di macchina da presa creano un ambiente claustrofobico e gestiscono gli interni come un labirinto dentro cui si muovono personaggi sempre al limite fra normalità e magnifica weirditudine.
Preminger però, assume la lezione di Hitchcock, e gestisce il tutto con un ritmo calmo, ma spietato e si cala perfettamente nel contesto, sfruttando l'ambientazione infantile e dando all'intero film il passo della favola nera piuttosto che dell'horror puro (le continue canzoni e musiche infantili, il negozio di bambole di notte, la fuga dall'ospedale e lo showdown finale).

Il vero difetto si trova nel finale esagitato e non totalmente credibile. Perfettamente in linea con quanto accaduto fino a quel momento e con un twist a effetto, rimane però un'esagerazione.
Lynley mattatrice che passa da normalità a follia in maniera perfetta, Olivier contenutissimo che sparge autorità e autorevolezza (e magnetismo) con la sola presenza.

PS: titoli di testa eccessivi, ma originali, di Saul Bass.

venerdì 16 novembre 2018

Il caso Mattei - Francesco Rosi (1972)

(Id.)

Visto in Dvx.

La vita (professionale) di Mattei, presidente dell'ENI, viene ripercorsa a ritroso, a partire dalla morte in un incidente aereo; da lì, con una linea temporale spezzettata da continui movimenti in avanti e indietro nel tempo e con una linea narrativa interrotta da inserti "di reprtorio" (che spesso di repertorio non sno) interviste, momenti apertamente metacinematografici, viene riassunto il personaggio. Il Mattei di Rosi è un uomo solido, sicuro e copmentetne fino allo sfinimento, il classico eroe buono che combatte contro tutti a rischio per la propria vita per il bene, in questo caso, dell'Italia.
Forse in questo c'è l'unica vera pecca del film, si tratta di un film a tesi che non vuole mostrare il dibatutto personaggio Mattei, ma ne crea uno a immagine e somiglianza di quelle idealizzato dal regista; dopo questo film non vi sono dubbi sulla positività del presidente dell'ENI, così come non vi sono dubbi che il suo incidente aereo non fu molto accidentale.
Tuttavia si tratta di un film a tema quasi dichiarato e la via per percorrerlo è la migliore, non la mera santificazione, ma la commistione di mezzi (il documentario, l'intervista, la fiction) per arrivare all'obiettivo rende il tutto più digeribile.
E qui si arriva invece alla grande idea del film, un'opera di fiction che è un  film inchiesta basato su alcuni fatti e molte ricostruzioni; un film che utilizza gli stilemi propri del documentario (le interviste, il regista che interviene all'interno del suo film, immagini di repertorio, titoli dei giornali) legate insieme da lunghe sequenze di fiction utili a ricostruire pezzi di narrazione mancante, ma in molti casi, utili solo alla creazione del mood (si pensi alla moglie assalita dai fotografi all'inizio, così come l'intero incipit con il grattacielo che si sveglia o l'aereo che cade). La commistione di generi sembra funzionare perfettamente rendendo affascinante ogni passaggio, con giusto un lieve eccesso nell'intrvista doppiata al giornalista americano verso il finale.
Rosi non si tira indietro alla costruzione di immagini ad effetto (le inquadrature con le magnifiche fiammate che fanno scappare le donne in pianura padana o quella che colora i volti delle persone nel deserto) e affida la parte di fiction a un Volontè (scegliere questo attore è sempre stata una precisa decisione politica) al solito magnifico, ma sorprendente per misura (un altro merito del regista suppongo).
Un film magnifico, sorprendnete ed estremamente efficace, che avendo tutte le sue intenzioni nel contenuto non dimentica la forma, ma anzi la sfrutta in ogni modo per ottenere il massimo dalla sceneggiatura.

mercoledì 14 novembre 2018

Terra e libertà - Ken Loach (1995)

(Land and freedom)

Visto in DVD.

Anni '90, un anziano inglese muore, la nipote scopre, nelle sue vecchie lettere, la storia del suo viaggio in Spagna per combattere contro Franco durante la guerra civile. La guerra, la politica, l'amore e l amorte.

Un film di Ken Loach che, tecnicamente è molto poco alla Ken Loach. A livello tematico invece riesce ad essere in linea con l'intento politico del cinema del regista inglese, pur se con dei distinguo.
Si, perché, questo film riesce nella difficile operazione di dare un'aura di eroisma pur mostrando tutti i contrasti interni, gli omicidi intestini e quanto di più antieroico si possa (ok... senza esagerare); un'epica fatta anche di difetti e questo, forse, è la vera forza del film.

Per il resto si tratta di un film storico di guerra molto chiacchierato e poco combattuto; a livello storico è scarsamente significativo perchè, al di là di mostrare una guerra molto sottovalutata fuori dalla Spagna, non spiega nulla. Ma sui dissidi interni alle fronde anti-fasciste da dignità nonostante le gravi conseguenze.
Più che un film storico vero e proprio una grande parabola su quanto sarebbe potuto essere, ma non è stato.

Tutto questo condito con una tale enfasi e un ritmo rilassato che in qualunque momento questo film sarebbe potuto deragliare verso il fallimento; invece Loach (in uno dei suoi momenti migliori) riesce perfettamente a bilanciare gli elementi.

lunedì 12 novembre 2018

Il gobbo di Notre Dame - Jean Delannoy (1956)

(Notre-Dame de Paris)

Visto in Dvx.

La storia del libro di Victor Hugo è stata presa piuttosto pedissequamente con tanto rispetto per il testo scritto.
Il problema di questo film è tutto qui, ha più rispetto per il libro che per il cinema; fa un compitino preciso e pulito, ma non crea niente dal punto di vista visivo.
Se il film degli anni '30 basava tutto sulla componente visiva e sull sorpresa suddividendo l'hype sul trucco di Laughton come Quasimodo, sulle scenografie e sul gioco di luci; questo film invece smonta l'effetto gotico del campanaro trasformandolo in un comune mostrillo senza molto pathos o sofferenza (niente a che vedere con l'espressione sempre dolente del suo predecessore), smonta le scenografie esagerate e inverosimili in favore di uno sforzo notevole comunque (la cattedrale ricostruita) in favore di una normalità insignificante, infine le luci, così come le ombre o la fotografia sembrano essere state dimenticate, i colori differenti che definiscono i vari personaggi sono un espediente già vecchissimo negli anni '50.

L'effetto finale è quello che dicevo, un dramma onesto e pulito, perfetto per la domenica pomeriggio, ma senza alcun motivo di reale interesse che non riesce a trasmettere mai nulla, né l'amore, né il dramma.

PS: cast all star completamente buttato.

venerdì 9 novembre 2018

The lobster - Yorgos Lanthimos (2015)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un futuro uguale al mondo attuale, ma in cui la solitudine non è accettata; i single vengono portati in un albergo dove hanno 45 giorni di tempo per trovare un partner, in caso contrario verranno trasformati in animali. Un uomo fugge dall'hotel e si unisce a un gruppo di ribelli in cui i rapporti di coppia sono vietati; ovviamente sarà proprio lì che si innamorerà.

Come sempre in Lanthimos una metafora semplice e chiara viene utilizzata come idea base per la creazione di un intero universo; articolato, stratificato e dettagliato al massimo. Come sempre in Lanthimos i colori desaturati e la recitazione scarna sono cifre stilistiche (ma che differenza se a recitare ci metti qualcuno capace di farlo, Farrell e la Weisz trasmetto tutto con un labbro vagamente mosso o un'espressione imbronciata).
Come sempre il mondo gelido che viene creato vive del grottesco che ne sta alla base, mai aperta ironia, ma sempre uno stridor di denti che può essere divertito se si ha abbastanza cinismo.
Come sempre è il mood a fare il film e non la storia.
Ma al contrario del molto elogiato "Kynodontas", qui il metaforone non rimane congelato in sé stesso e, con la parabola di Farrell diventa storia, la narrazione diventa fondamentale e non ci si trova davanti a un affresco senza scopo; anzi è la narrazione stessa che permette all'affresco di acquisire profondità e senso.
Ad ora (tra quelli che ho visto), il film più bello di Lanthimos che, comincia con molta calma, a non rimanere chiuso nella torre d'avorio della spocchia autoriale, riuscendo a trasformare la sua metafora ombelicale in una allegoria potente e distruttiva (l'amore come obbligo, negazione od ossessione; la solitudine come problematica sociale inaccettabile).

mercoledì 7 novembre 2018

La sindrome di Stendhal - Dario Argento (1996)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una ispettrice di polizia sulle tracce di un assassino viene da lui assalita e violentata. Rimarrà sotto shock, nell'eterna attesa del suo ritorno; quando questo, effettivamente succederà le conseguenze per lei saranno anche peggiori.

Dopo la sua breve (e deludente al botteghino) esperienza americana, Argento torna in Italia e comincia il suo totale declino. Già in passato aveva realizzato film che non mi sono mai piaciuti; ma la regia fantasiosa e mobile è sempre stata un elemento determinante e alcune idee di massa in scena o sceneggiatura erano valori aggiunti su cui ci si poteva contare. Con questo film si perde tutto.

La trama raffazzonata con qualche buco e gravi problemi di ritmo e continuum sono una costante dell'Argento sceneggiatore che, però, invecchiando sembra non staccarsi mai dai suoi cliché e da frasi stupide o troppo enfatiche messe in bocca a chiunque.
La storia poi sembra un ritorno al passato (splatter, squilibri psichiatrici, storia con twist plot), ma dopo 20 anni di onorata carriera si comincia a vedere pigrizia in questa scelta, più che un modo per creare qualcosa di personale; l'aggiunta del dettaglio fantasy con la protagonista che si sente entrare nei quadri è un espediente senza nessun significato nella trama che permette una buona soluzione (il flashback con la "Ronda di notte" di Rembrandt) e poi tanti riempitivi.
Ovviamente da condannare la scelta della figlia come protagonista, scelta chiaramente sbagliata (particolarmente per i vari risvolti psicologici che dovrebbe essere in grado di dare a personaggio) per età e aspetto, oltre che per capacità. Va ammesso però, che un pò tutto il cast non brilla, denotando, ancora una volta, un problema del regista oltre che degli attori.

Il film viene indicato come il primo italiano a utilizzare il CGI, in maniera, ora, datata, e complessivamente non particolarmente utile.

In poche parole siamo lontani dalla totale incapacità degli ultimi anni; non raschia il fondo, ma dimostra di essere stanco realizzando un film che, più che brutto, è inutile.

lunedì 5 novembre 2018

La bambola del diavolo - Tod Browning (1936)

(The Devil-doll)

Visto qui, in lingua originale.

Due carcerati fuggono e si rifugiano nella casa nella palude di uno dei due. L'altro scoprirà presto che il suo nuovo amico è uno scienziato ch sta studiando il modo per rimpicciolire le persone. Morto lo scienziato, l'altro fuggitivo e la moglie dell'ex amico se ne andranno a Parigi pper utilizzare umani diminuiti di dimensioni per vendicarsi degli uomini che l'hanno sbattutto in prigione.

Difficile dire, a cuore leggero, che questo è un bel film, funzionant ed efficace. Più facile ammettere che è un piccolo cult, fatto di tante facce diverse, quasi tutte non efficaci prese singolarmente, ma buttate nell'ampio calderone fa abbassare la difensiva a porta a casa il risultato.
Un film che inizia con un'evasione e prosegue con un mad doctor classico, una moglie di Frankenstein claudicante, un Lionel Barrymore che si traveste da vecchietta (imitando in maniera sconcertante Lon Chaney di "Unholy three"), un revenge movie che diventa anche il capostipite dei film horror con bambole assassine e una chiusura con dramma famigliare. Tutto insieme, tutto come se potesse funzionare.

L'effetto finale è altalenante, per ritmo ed efficacia e la regia di Browning appare piuttosto passiva.
Ma i motivi di interesse sono altri. Gli effetti speciali risultano un pò datati all'inizio (semplici sovrapposizioni senza interazioni fra le creature rimpicciolite e quelle a dimensioni normali), ma diventano assolutamente di livello con l'attività omicida (ricostruzioni in studio di scenografie enormi) e Barrymore en travesti per attuare la sua vendetta senza essere riconosciuto è la classica idea cretina che diviene clamorosa per la convizione con cui viene portata avanti.

Bravo come sempre Barrymore, adatti, ma senza enfasi la O'Sullivan e Lawton, macchiettistici gli altri personaggi principali.

venerdì 2 novembre 2018

Légami! - Pedro Almodóvar (1990)

(Átame!)

Visto in DVD.

Un ragazzo appena uscito dal manicomio cerca un'attrice porno da cui è ossessionato. la trova e la rapisce per obbligarla ad innamorarsi di lui. Fra i due si instaurerà un rapporto, ambiguo, di amore/paura.

Il film successivo a "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" e, quindi, al successo internazionale, è un film decisamente più canonico per gestione e scansione dei tempi, solo il tema sembra voler essere atipico.
La storia di una sindrome di Stoccolma (?) che diventa amore vero è, in tutto e per tutto, un romanzo d'appendice (il finale eccessivamente positivo tanto contestato si inserisce in questo contesto) d'altri tempi, un melò sul sadomasochismo.
Un film sentimentale e, a suo modo, dolcissimo, che dall'ironia dell'inizio deraglia sempre di più su un sentimentalismo classicissimo.

L'estetica è quella almodovariana, ma meno caricaturale, i colori accesi ci sono, gli interni ampi e colorati; ma la fotografia tende di più al pastello.

Film molto bello, molto classico, ma molto maltrattato per il suo essere così insoddisfacente per chi si aspetta un film romantico standard e anche per chi si aspetta un film totalmente fuori dagli schemi. Questo è Almodovar.

PS: bravissimi i due protagonisti, fondamentali per la riuscita del film.