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venerdì 26 ottobre 2018

Kill Bill: Vol. 2 - Quentin Tarantino (2004)

(Id.)

Visto in DVD in lingua originale sottotitolato in spagnolo.


"Kill Bill" l'ho visto al cinema e da allora l'ho visto oltre la decina di volte, ma in effetti non mi era mai capitato di vedere il secondo senza vedere prima il Vol.1.
Questo secondo capitolo si caratterizza per un ritmo più rilassato, una predominanza dei dialoghi sull'azione e su una sorta di resa di conti interna ai vari personaggi. Le dinamiche tra i vari caratteri permettono alla vicenda di avere dinamismo senza scadere nel già visto (la sposa non arriverà a uccidere tutti e non è infallibile), assieme alla divisione in capitolo senza ordine cronologico è il vero motore del movimento interno del film.

Il chiacchiericcio (che ha fatto allontanare diverse persone dal film) è anche questo un buon sistema per non diventare la fotocopia del primo, mentre lo scontro finale tutto giocato sui dialoghi, pur essendo un poco frustrante, riesce a rendere il climax che con uno scontro "normale" si sarebbe rischiato di sprecare; in poche parole, quanto difficile è rendere lo scontro finale dopo 4 ore di hype? Tarantino supera il problema con uno showdown emotivo e un duello di parole.

In ogni caso i momenti d'azione non mancano, lo scontro de La sposa con Elle dentro la roulotte è obiettivamente bellissimo (da applausi la parte iniziale in cui Elle non riesce a estrarre la katana) e la breve scaramuccia tra La sposa e Bill entrambi da seduti è un magnifico momento di giocoleria marziale.

L'estetica rimane quella altissima di Tarantino che, per questa coppia di film, raggiunge vette incredibile, semplicemente più polverosa e accaldata per l'ambientazione western. Ecco lo switch principale tra i due film, lo sanno anhce i sassi, è questo passaggio dal wuxia al western. Al di là delle citazioni dirette e ossessive ("Sentieri selvaggi" e Morricone sono presenze costanti) e quelle più sottili e spesse volte forzate; al di là di tutto questo quello che rimane è lo spirito di "Duello al sole", base americana per ogni film di amore e odio (in stile western) che sarebbe scontato ritenere il padre putativo di questo "Kill Bill: Vol. 2", ma che rimane sottotraccia per il dinamismo della trama riuscendo però a esplodere enormemnte nello showdown finale (per questo così efficace) esemplificato dal perfetto primissimo piano piano di Uma Thurman mentre abbraccia sua figlia guardando Bill, un misto di amore e rabbia che sarebbe da mettere in un museo.

Dopo molte visioni per la prima volta mi è sembrato di vedere qualche momento di invecchiamento del film, in alcuni abiti della Thurman ancora anni '90 così come in certe dissolvenze incrociate; ammesso che ciò sia vero (e non una scleta precisa), rimane comunque un film senza tempo, un film magnifico che ha da invidiare al primo le coreografie quanto il primo deve invidiare a questo i dialoghi.

venerdì 19 ottobre 2018

Marebito - Takashi Shimizu (2004)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un videoamatore (in realtà un tizio ossessionato dall'idea di inquadrare il terrore con la sua pessima videocamera) si introduce nel labirintico sottosuolo di Tokyo; troverà un'enorme caverna sotterranea con costruzioni abbandonate e una luce dalla provenienza ignota; incatenata ad una parete troverà un giovane e bellissima donna, piuttosto palliduccia. Come fossimo in uno dei Guine pig la porterà a casa... purtroppo lei è una creatura che si nutre solo di sangue e lui sarà costretto a procurarglielo, che sia il proprio, di un animale o di altri esseri umani è questione di poco conto.

Film dell'ottimo Shimizu, realizzato con un presupposto un pò del cazzo (cercare il terrore per inquadrarlo... ma che vuol dire?! e le creature del sottosuolo... vogliamo parlarne?), realizzato a costo bassissimo in poco tempo con la partecipazione straordinaria di Tsukamoto.
Regia accettabile (che nella prima parte ricorre alla camera a mano), ma che viene ammazzata, nella gestione del ritmo, da una trama laboriosa e da una voce fuori campo che dovrebbe rappresentare i pensieri del protagonista, ma in definitiva è il veicolo principale per esporre l'inquietudine che lo spettatore dovrebbe provare... definire questa cosa didascalica è un eufemismo.
Il film, già un poco lento, rallenta ulteriormente nella seconda parte con il rapporto con la donna del sotterraneo che fa deragliare la comprensibilità della vicenda e rende impossibile capire dove voglia andare a parare, o più semplicemente quali fossero le intenzioni iniziali.

L'unico punto di forza è qualche momento azzeccato nella sequenza dei sotterranei che lascia sperare qualcosa che non arriverà mai.
Sinceramente la qualità è ottima se si considera l'extremly low budget, peccato, perché mancano le idee.


mercoledì 30 maggio 2018

Lei mi odia - Spike Lee (2004)

(She hates me)

Visto in Dvx.

Un impiegato di un'industria farmaceutica viene licenziato per uno scandalo; per sopravvivere si vedrà costretto a vendere il proprio seme... facendo sesso con donne lesbiche con intenti materni... tutto questo è un progetto della sua ex quasi moglie che l'ha lasciato dopo aver scoperto la propria omosessualità. Naturalmente troverà anche il tempo per portare in tribunale la sua ex ditta perché tutti sapevano che erano cattivi, ma nessuno li ha fermati.

Terribile film di Spike Lee (ma dopo i primi anni '90 ne ha imbroccati davvero pochi) che, come spesso, latita completamente nella sceneggiatura non sapendo che cosa vuol essere.
Potrebbe essere una commedia romantica, ma non ne ha il tono complessivo, è troppo ingarbugliata, e la parte più onestamente da commedia si perde nel sociale; potrebbe essere un drammetto sulla crisi, ma non ne ha il piglio troppo sopra le righe e i continui cambi di tono; potrebbe essere un film di denuncia (sic), ma relega questa parte a un finalino striminzito attaccato al resto del film con la colla.
Sembra che Lee avesse in mente una commedia, ma che dovesse a tutti i costi metterci un contesto sociale altrimenti non avrebbe tollerato di riderne e che all'ultimo abbia pensato di essere come Oliver Stone e doverci mettere un poco di Watergate. Il risultato finale è imbarazzante.

Su tutto questo non intendo commentare il punto più alto (la regia e la fotografia sempre ottime con picchi davvero eccellenti) o quello più basso (il siparietto indecente di una delle Bellucci peggiori che riesce a trascinare nel ridicolo anche Turturro) perché l'esito del film si gioca su tutto il resto.

PS: e neanche sono stato lì a parlare dell'uso imbarazzante dell'imbarazzante CGI.

venerdì 4 agosto 2017

Ghost in the shell 2. L'attacco dei cyborg - Mamoru Oshii (2004)

(Innocence)

Visto in Dvx.

A quasi 10 anni dal precedente, viene realizzato dallo stesso Oshii questo seguito (dal titolo italiano piuttosto fuorviante... sembra un episodio di "Star Wars").
Il film parte da dove terminava il precedente, con il sopravvissuto del primo episodio che, assieme al compagno umano dell'androide scomparso, viene incaricato di scoprire cosa c'è dietro un attacco coordinato da parte di alcune unità cyborg. L'indagine li porterà a doversi scontrare con mondi virtuali, alterazioni della realtà, ma soprattutto sfruttamento di vittime innocenti

So che, dalla descrizione che ho fatto, questo film sembra il fratello sfortunato del primo. Eppure questo seguito è contemporaneamente qualcosa di più e qualcosa di meno di "Ghost in the shell".

Le componenti migliorative sono essenzialmente contenute nella maggiore cura all'estetica (decisament epiù influenzata dalla fantascienza di quegli anni, quella figlia di "All is full of love" o della Apple) nel dettaglio direi ch....
Mantenuti gli stilemi minimi (un tratto noiresco) viene itnrodotto la CG (che usualmente non amo), utilizzata in maniera intelligenti e non troppo invasiva, riesce, nonostante i limiti dell'epoca, a essere efficace. Il tratto poi si è molto raffinato, è più adulto, più ricco di ombre, più realistico.
La fotografia è decisamente più curata, maggiore la tridimensionalità grazie al computer, un uso maggiore e più cinematografico della profondità di campo (si pensi al colloquio iniziale nel laboratorio).
La componente action è aumentata, il livello sempre buono, anche se non ci si deve aspettare che sia la parte preponderante.
Inoltre il tema assume un respiro più ampio pur mantenendo la medesima profondità. C'è un discorso maggiore sul rapporto fra realtà e finzione  (la lunga sequenza nella magione dell'haker è un topos di Oshii, fissato con l'alterazione dei piani della realtà)  e nel finale anche una considerazione molto calzante sul rapporto tra ciò che viene percepito come vivo e ciò che lo è (aumentando il discorso già efficace iniziato nel primo capitolo)

Le componenti peggiorative sono tutte legate all'enfasi...
I dialoghi sono sempre pregnanti, ma sembrano scritti da un parvenu, declamano più che suggerire e lo fanno con eccessiva retorica. Di fatto l'elemento centrale del primo capitolo diventa ipertrofico (e stupidamente ipertrofico) in questo, eccessivo, con troppe citazioni fighette.
Siamo chiari, non è un problema insormontabile, ma è l'elemento che fa scadere questo film dall'essere migliore dell'altro; direi quindi che i due si trovano alla pari.

lunedì 26 settembre 2016

Saved! - Brian Dannelly (2004)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ragazza, fervente cristiana, fa sesso con il suo ragazzo, fervente cristiano, che ha scoperto di essere gay. Lo fa con le migliori intenzioni, visto che le apparso Gesù per dirle di farlo per farlo guarire... Ovviamente se si fa sesso la possibilità di una gravidanza è dietro l'angolo. Ovviamente in una scuola cristiana una gravidanza pre matrimonio causerà problemi.

Film che guardo solo per due motivi di scarso interesse, la presenza di Culkin in un raro momento in cui risulta pulito dall'eroina (credo durante le riprese e basta) e perché è stato prodotto dal leader dei REM (mi aspettavo concedessero qualche canzone).
Il film inizia bene come un'ironia aggressiva e grottesca dei fanatici cristiani made in USA, non totalmente efficace, ma abbastanza folle da azzeccare diversi momenti (il Gesù che appare in piscina e che chiede di guarire il ragazzo gay è un'ottima trovata).
Il problema viene dalla mancanza di coerenza fra tutte le idee che si vogliono mettere insieme, ci si perde dietro alla ragazza ebrea, al Culkin ribelle, ai genitori che si innamorano ecc... perdendo ogni senso e ritmo. Poi ovviamente il genere cambia, il film perde mordente e cerca di diventare consolatorio più che grottesco, finendo in un happy end fastidioso quanto poco credibile.

Un film scritto male, che regge solo per qualche decina di minuti.

venerdì 26 agosto 2016

L'alba dei morti dementi - Edgar Wright (2004)

(Shaun of the dead)

Visto in DVD; in lingua originale sottotitolato in inglese.

Film di zombi con agnizioni familiari con due protagonisti che sono degli adolescenti mai cresciuti. Il classico film di Pegg/Wright in ambiente romeriano con spiccato accento comico.

Al di la della gustosa regia di Wright che qui è in grande spolvero senza gli eccessi (comunque ottimi) di "Scott Pilgrim", con dinamismi perfetti, giochi di montaggio che oggigiorno sono in pochi a realizzare e piccoli piani sequenza; al di là di tutto questo quindi (che già basterebbe) c'è tutto quello che negli altri due episodi della trilogia del cornetto mostreranno ampiamente. Qui c'è affetto e profonda conoscenza del genere parodiato e l'ironia non viene utilizzata per battute idiote o gag slapstick completamente disgiunte dal racconto. Qui si gioca con un pubblico trattandolo alla pari, Wright sa che noi sappiamo che è un film di zombi, sa come funzionano questi film, ci continua a dare notizie che qualcosa di strano sta succedendo, ma tenendolo sempre sullo sfondo (pur essendo spesso pervasivo, come il suono dell'amblanza che obbliga i personaggi a parlare a voce alta per sovrastarlo); gioca con le aspettative e continua a creare suspense o scene action con i normali gesti della vita quotidiana (la preparazione al mattino del protagonista) e inserisce queste situazioni in un mondo normale dove tutti, normalmente, si comportano come zombi senza neppure accorgersene. Tutto questo lavoro di fino fatto con le aspettative è, decisamente, l'aspetto migliore del film e la lunga prima parte è quella meglio riuscita e più gustosa.
Nella seconda parte (quando l'epidemia esplode e con lei la trama) il film perde, per ovvi motivi, tutto il gioco iniziale, ma mantiene il ritmo, acquisisce una selva di citazioni (mai fini a sé stesse; ed è questa la grande forza di Wright) e riannoda tutti i fili lasciati fino a quel momento in sospeso (miriadi di dettagli anticipati nella prima parte vengono ripresi e riutilizzati giustificandone la presenza all'inizio, anche i videogame usati dai protagonisti vengono sfruttati per creare sequenze su quello stile).

Sarò sempre più affezionato a "Hot fuzz" questo è ovvio, ma anche qui siamo davanti a un film quasi perfetto.

venerdì 1 luglio 2016

Primer - Shane Carruth (2004)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Due amici ingeneri di quelli fini che lavorano nel garage stanno costruendo una macchina... non ricordo con quale scopo. Toh che fortuna, la macchina appena costruita viaggia nel tempo, ma solo tra due punti specifici (l'accensione e lo spegnimento); quindi niente visita ai dinosauri, ma sono abbastanza ore per poter giocare in borsa (vincendo) e per poter aggiustare un paio di problemi sociali. Ma si sa, a giocare con i viaggi nel tempo si finisce per creare paradossi.

"Primer" è importante perché ha dimostrato che la fantascienza a basso costo (se rinuncia agli effetti speciali) può funzionare benissimo. Con un'idea forte, una parte introduttiva che permette di spiegare (non troppo chiaramente) i meccanismi fisici alla base, un'estetica mumblecore e un ritmo da thriller si può creare qualcosa di ottimale. Senza questo film, forse non avrebbero mai realizzato quel piccolo gioiello di "Coherence".
Si la presa diretta della scifi da appartamento rende bene; se si superano i primi dieci minuti di supercazzole che giustifichino l'intera trama l'effetto finale è garantito.

Fatto con due euri si può soprassedere alla scarsa qualità dell'immagine; mentre non si può non notare l'intelligenza dell'idea (che introduce un viaggio nel tempo del tutto atipico) e un mood generale sempre inquietante (anche le chiacchiere fra colleghi dell'inizio hanno un effetto perturbante).

Non impeccabile, non chiarissimo, ma ha un'idea esportabile che rivitalizza un genere altrimenti preda solo delle grandi produzioni. E comunque rimane un film con una trama di prim'ordine dai colpi di scena assicurati.

PS: per chi proprio non riesce a capire come funzioni; qui sotto uno schema

venerdì 17 giugno 2016

Un bacio appassionato - Ken Loach (2004)

(Ae fond kiss...)

Visto in DVD.

L'insegnante di musica di una scuola cattolica si innamora (ricambiata) del fratello di una delle sue allieve... una famiglia originaria del Pakistan. Esplode la passione, ma non senza conseguenze. La loro convivenza diventa un punto di rottura con il lavoro di lei, ma soprattutto è l'elemento della dissoluzione dell'armonia familiare di lui (non solo lei non è mussulmana, ma lui era già promesso sposo di una cugina!) con conseguenze imprevedibili.

Non è un brutto film. Un po' banale e un po' troppo lungo per quello che offre, ma non è un brutto film. Loach dirige bene una storia d'amore travagliato...
Il problema di Ken Loach quando fa un film a tesi è che si incarta, pur mantenendo la fluidità del racconto perde lucidità e si lascia trasportare dalle emozioni.

perché fa specie vedere un Ken Loach votato alla più pura storia d'amore; ma fa ancora più effetto vedere che Loach si lascia portare dal più classico plot hollywoodiano pur di arrivare al suo obiettivo. E l'obiettivo ovviamente non è tale da giustificare il prezzo. Si arriva a mostrare l'ipocrisia di ambo le civiltà, il peso dei credi religiosi, lo scontro inevitabile anche in chi non ha pregiudizi. Si arriva a mostrare tutto questo, ovviamente, ma passando per i più ovvi dei cliché e le più banali svolte narrative. Si toccano tutti i punti che interessavano al regista, ma quello che si ottiene nel finale è la morale che l'amore vince tutto, anche i pregiudizi. Un po' poco e un po' troppo scontato.
A questo si può aggiungere qualche scena madre di troppo  eil quadro è completo.

Quello che si può dire in sua difesa è che tratta l'argomento con una serietà che se fosse un film con Julia Roberts nessuno gli avrebbe riconosciuto. In questo, se si vuole, si può trovare un'idea innovativa.

lunedì 25 aprile 2016

Izo - Takashi Miike (2004)

(Id.)

Visto i Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un samurai di fine '800 viene barbaramente crocifisso. Tornerà in vita e attraverserà il tempo e lo spazio senza un ordine massacrando chiunque capiti sul suo cammino; viene ferito, ma non può morire di nuovo.

Un film linearissimo nella trama, solo una spremuta di sangue che procede senza nessuna logica apparente; di fatto un film sperimentale, pieno di possibili letture (massacra autorità civili e religiose). in definitiva però si tratta di una sequenza anarchica di scene ripetitive che potrebbero essere anche soltanto un percorso iniziatico verso il nichilismo più totale (rappresentando la vita stessa; come viene indicato nel noto sutra in cui viene indicato di uccidere chiunque si incontri per strada, compreso il Buddha)... eppure funziona. Siamo davanti a un film surreale anti-narrativo di due ore che però non annoia troppo, un film ben condotto e ben narrato; dunque un film che funziona nonostante l'assenza di logica (un po' come accadeva per INLAND EMPIRE). Quello che funziona meno, invece, sono i dialoghi; filosofeggiamenti che chiariscono un poc le idee dicendo ovvietà e togliendo gran parte del fascino e tutto questo affossando il ritmo.

Dal punto di vista tecnico è enorme. Si cerca sempre la buona inquadratura come minimo (ma d'altra parte è evidente da anni che Miike è prima di tutto un esteta del cinema, bastino i suoi mediometraggi per "Masters of horror" o in "Three extreme" per definire quanto può essere pesante la mano del regista sulla fotografia). Il registro del film permette anche picchi di lirismo come nella scena dell'incontro con le famiglie (che verranno massacrate) o nel campo dei fiori che parlano al protagonista. Vi sono anche continui giochi di montaggio, dove i più frequenti sono con brevi segmenti di scene che si riferiscono ad episodi indipendenti, ma che suggeriscono quanto sta avvenendo in parallelo.
Da sottolineare anche (e soprattutto) il lavoro del sonoro (anzi, più che altro della sua assenza) come mezzo espressivo; si pensi anche solo alle canzoni alla chitarra (con cantante presente sulla scena... e mai ucciso!) con serie di scene di repertorio di brutalità o sesso.

mercoledì 16 marzo 2016

Three... extremes - Fruit Chan, Chan Wook Park, Takashi Miike (2004)

(Saam gaang yi)

Visto in Dvx.

Tre registi orientali (uno cinese, uno sudcoreano e uno giapponese) tutti e tre sono famosi per la loro tecnica eccessiva e si incontrano proprio sul tema dell'eccesso, per contenuti o manierismi.

Dumplings. Segmento di Fruit Chan. Per ringiovanire (e far concorrenza all'amante del marito), un ricca signora si rivolge a una donna che vive nei bassifondi, ma che sembra ben conosciuta. Lei realizza dei ravioli di carne che hanno la dote di far sembrare più giovani le persone; l'ingrediente segreto è la carne umana, anzi di feto.
Film dalla trama pretestuosa utile solo a cercare di creare spasimi durante le (frequenti) scene in cui la protagonista mangia i ravioli. Dal punto di vista tecnico ben costruito, con colori carichi e suoni aumentati per rendere maggiormente gli avvenimenti mostrati. Sicuramente bello da vedere, ma di fatto gira tutto attorno all'assunto iniziale, terminata l'ondata di novità dell'idea il film esaurisce il suo interesse.
Nella parte della protagonista la cantante Miriam Yeung che finora conoscevo per parti decisamente più delicate.

Cut. Segmento di Park Cahn Wook. Un regista viene imprigionata nel proprio set, mentre un maniaco (una sua comparsa di un film passato) lo minaccia; le richieste continuano a cambiare e le motivazioni non sembrano chiare, ma vorrebbe che uccidesse una bambina (per dimostrare di non essere un uomo perfetto) o taglierà un dito per volta alla moglie (famosa pianista).
Qui la trama sembra decisamente migliore e l'assunto di base è ottimo e offre spunti per tenere in piedi un film anche più lungo. Purtroppo ho trovato il film troppo complicato, troppo confuso nelle intenzioni e nella linea da seguire nello svolgimento, rendendo annacquato l'interesse e l'effetto della sfida fra le due personalità in gioco, oltre ad ammazzare completamente l'effetto potente del plot; bella l'idea, ma gira a vuoto.
Inoltre la scelta del registro grottesco, con molti momenti quasi comici (e un villain perfetto per una parodia vera e propria).
Peccato, perché Cahn Wook è il grande regista che si conosce,  anche qui infatti c'è molta arte e una macchina da presa sempre in movimento (soprattutto si passa spesso dai mezzi busti ai primissimi piani); anche se meno debordante e fantasioso rispetto ai film subito precedenti e successivi a questo (dell'anno prima è "Oldboy" e del successivo "Lady vendetta").

Box. Segmento di Takashi Miike. L'episodio del regista giapponese è crtamente il più lento e complesso, più serio... in una parola è il meno cazzone dei tre. Miike dimostra fin da subito chi comanda allestendo un film che è costituito da un impianto nella messa in scena impeccabile sotto ogni dettaglio. La sequenza del flashback delle due sorelle quando si esibivano da piccole è di per sé un capolavoro di arte totale sostanzialmente perfetto; la scenografia, i gesti degli attori, le inquadrature filtrate attraverso oggetti che pendono dal tendone, le luci, il trucco (anche quando se lo stanno togliendo), la musica spezzata o la totale assenza di suoni; qui tutto è estremamente ragionato e tutto concorre in maniera equipollente alla realizzazione del mood.
Di fatto il film si muove sulle rotaie dell'opera d'arte perturbante per tutto il tempo.... Della storia ci ho capito poco, ma il corto mi ha intrattenuto con arte fino a 5-10 minuti dalla fine. Decisamente il migliore.

mercoledì 15 ottobre 2014

Prima del tramonto - Richard Linklater (2004)

(Before sunset)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Sono passati nove anni dal loro unico incontro, il loro appuntamento dopo sei mesi è fallito; lui è divenuto scrittore raggiungendo il successo scrivendo della loro storie, lei è un'attivista. Lui si trova a Parigi per un tour promozionale, lei va alla presentazione, ovviamente lui ha un aereo da prender entro sera, ma decide di passare un'ora e qualcosa con lei, passeggiando per Parigi e parlando di quello che c'è stato in mezzo.
Ancora una volta un breve incontro a scadenza, ancora una volta l'ansia di dirsi tutto prima che sia troppo tardi.

Il progetto di Linklater ora risulta chiaro, far passare realmente il tempo cinematografico in modo da avere gli stessi attori invecchiati e mostrare gli stessi personaggi, ma cambiati dalla esperienze. Di fatto u n'operazione enorme e intelligentissima che da sola rivaluta in toto il primo film.
Qui alla sceneggiatura mettono mano anche gli attori. Non so se sia un bene o meno. Di fatto a scrittura rimane ben costruita, non troppo noiosa, non troppo inverosimile; scade molto di più nei luoghi comuni e crea un paio di personaggi un poco più banali dei precedenti anche se molto coerenti. La cosa che funziona è la prospettiva cambiata, sono gli stessi di 9 anni prima, ma essendo cresciuti il loro punto di vista si è spostato. Il tempo è passato ed hanno un rapporto diverso con l'amore, il passato ed il futuro.

Linklater cambia gestione delle scene, immagina una lunga passeggiata per Parigi (in parte in battello), e lui insegue o anticipa i due personaggi, non sceglie più le inquadrature originale e sempre diverse, ma si butta nello stile Aronofsky con qualche buon risultato. La fotografia rimane sempre encomiabile con una densa luce a scavalco. Quello che rimane è la grandissima prova degli attori ancora una volta a loro agio e realistici.

L'incipit strettamente legato al primo capitolo, il finale nuovamente sospeso, il minutaggio limitato rendono questo film una seconda puntata vera e propria togliendogli la dignità di film indipendente inserito in un progetto più ampio; rimane un ottimo esperimento da proseguire.

PS: il film suggerisce inoltre che gli uomini invecchiano più rapidamente, mentre le donne migliorano dai 20 ai 30 anni

mercoledì 11 dicembre 2013

Il mio nuovo strano fidanzato - Dominic Harari, Teresa Pelegri (2004)

(Seres queridos)

Visto in tv.

Lei ebrea, lui palestinese, sono fidanzati e hanno deciso di andare a cena con la famiglia di lei, che ancora non sa che lui è islamico. Questo in realtà sembra un problema secondario se confrontato con la famiglia che li dovrà accogliere, matriarca sotto stress con marito (forse) traditore, un fratello da poco ortodosso e una sorella ninfomane con figlia (problematica) a carico… La serata non andrà come previsto. Ah già c’è pure un nonno cieco e un anatroccolo randagio a chiudere il cast.
Commedia degli equivoci spagnola ad altissimo ritmo (per tutta la prima metà almeno) che per gestione dei tempi, efficacia delle battute (alcune sono usurate, come il gioco con l’anziano non vedente, ma complessivamente il film diverte nella prima parte) e fotografia dai colori brillanti deve tutto alle prime opere di Almodovar. Certo i temi e i colori sono comunque più castigati dell’originale (ah beh e le scelte di regia non sono neppure paragonabili).
Il tutto si distacca dal classico per l’introduzione del rapporto di convivenza fra le due entie nemiche per eccellenza; anche se la cosa è comunque un sotterfugio che viene rapidamente messo in secondo piano.
Nella seconda metà (l’arrivo del personaggio del padre smemorato e le scene in ufficio) il ritmo cala, la sospensione dell’incredulità (già messa a dura prova) vacilla e complessivamente il gioco si rompe del tutto nel finale irrisolto, frettoloso e gaio per niente.
In definitiva un buon film con alcuni difetti, che se rappresentasse la commedia media spagnola allora la cinematografia iberica sarebbe una delle migliori al mondo.
Ah già, non l’ho detto, tutto (e sottolineo tutto) il cast è assolutamente in parte, credibile e divertente.
PS: assicuro che la locandina italiana è terribilmente fuorviante.

sabato 30 novembre 2013

Shall we dance? - Peter Chelsom (2004)

(Id.)

Visto in tv.

La trama non la scrivo neanche, è piuttosto prevedibile.
L’ho guardato perché mentre lavoravo al computer volevo avere un rumore di fondo che mi facesse compagnia… eppure tutto sommato ho dovuto seguirlo, almeno nel finale.
Diciamolo subito che non è una pietra miliare, ma un film riempitivo, che si può raggruppare con i film per la tv (davvero mi risulta difficile capire perché avrei dovuto pagare per guardarlo) ed in quest’ottica si fa apprezzare, anzi direi che batte i suoi colleghi senza troppo sforzo.
Una storia facile di riscatto e amore che si muove con ritmo, trova sfoghi comici (in realtà a volte eccessivi; mi fa male vedere il grande Tucci costretto in un ruolo così idiota) per sostenere l’inesorabile susseguirsi di tentativi goffi, piccoli successi, incomprensioni, inganni, grandi successi, riconciliazioni. Si sa che andrà così, ma una volta entrati nel mood e nel ritmo si attende con piacere il naturale sviluppo.
Richard Gere m’è pure sembrato in parte, uomo di mezz’età, un tempo sex symbol, che cerca di riciclarsi per riuscire a dare un senso alla sua vita e una scossa al matrimonio, una compagnia di ballerini le cui caratteristiche (nonché l’esito finale) è scritto in faccia e una serie di sequenze di ballo non enormi, ma accettabili. In tutto questo però, mi sconvolge dirlo, la Lopez non centra proprio niente; immagino sia stata messa per accontentare il folto gruppo di accompagnatori maschili al cinema, però ha un ruolo limitato, ininfluente nei confronti della trama e senza un reale peso (anche se nella sceneggiatura il peso glielo applicano a forza). Una regia decente e qualche dialogo molto bello (inutile, gli americani nei dialoghi sono ancora i migliori) chiudono la faccenda.
In poche parole, non è niente di che, ma per riempire un’ora e mezza questo è un ottimo tappabuchi che, se si è pronti al genere, non può lasciare insoddisfatti.

lunedì 15 ottobre 2012

Sud pralad - Apichatpong Weerasethakul (2004)

(Id., aka Tropical malady)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Al secondo film Joe mi sorprende nuovamente; mette da parte l’inutilità della trama casuale e costruisce una storia d’amore omosessuale tra due soldati… mette da parte l’inutilità, è vero, ma non rinuncia alla noia.
Comunque il film è girato in maniere, a mio avviso, troppo amatoriale e il ritmo totalmente assente affossa quel poco che poteva esserci… questo almeno a metà film.

Perché poi ad un certo punto, con un aggancio che non ho ben capito, nella seconda metà Joe si mette a raccontarmi della storia di un fantasma della foresta che cambia forma e che passa da cacciatore a preda di un soldato… il tutto riuscendo a mantenere il ritmo assente della prima parte. Nell’inquadratura finale finalmente Joe si decide a mostrare l’unica immagine realmente cinematografica sei suoi due primi film.

Detto ciò come va considerato un film del genere? Personalmente non ritengo vada troppo interpretato, perché credo che Joe sia più propenso ad una autorialità criptica fine a se stessa; dunque quello che rimane è solo un film doppio senza un grandissimo senso che non possiede una propria personalità cinematografica.

Bravo Joe, continua così.

lunedì 23 luglio 2012

Mare dentro - Alejandro Amenábar (2004)

(Mar adentro)

Visto in DVD.

Storia.
Diciamolo subiti che il film parteggia per l’eutanasia, ma tenta e (in minima parte) riesce a darne una visione multipla e sfaccettata con diversi punti d vista. Ma decisamente non è questa la parte affascinante della storia. La componente davvero avvincente è il balletto di personaggi che girano attorno al protagonista e come gli altri reagiscano alla decisione (e alla pervicacia) di Bardem. Il film si dilunga spesso sul passato del protagonista e sulla sua condizione attuale, ma ciò che vince sono le relazioni complesse che ha con i comprimari, la ragnatela di sentimenti contrastanti che crea e il modo che ha ognuno di assecondarlo o aiutarlo.

Detto ciò Amenábar costruisce un film abbastanza dinamico su di un personaggio centrale incapace di muoversi, ma con la regia ne rende bene il senso complessivo di vivacità, quantomeno interiore. Le scene sono sempre ben curate e pulite e la macchina da presa di prende la briga di muoversi senza doversi giustificare sempre.

Complessivamente un film scontato a priori sullo svolgimento che prenderà, ma pieno di spunti e motivi di interesse. Non da ultima l’interpretazione tutta sorrisi e smorfie di Bardem.

giovedì 22 dicembre 2011

La vita è un miracolo - Emir Kusturica (2004)

(Zivot je cudo)

Visto in tv. Bosnia 1992. Luka, ingegnere arrivato da Belgrado in un paesino di montagna con moglie soprano un po' nevrotica e figlio abile calciatore, vede la sua vita mutare rapidamente. Lui e' li' per costruire un tratto di linea ferroviaria ma la guerra scoppia, la moglie se ne va, il figlio viene fatto prigioniero e lui e' richiamato nell'esercito. Per di più, quando gli viene affidata una giovane prigioniera musulmana se ne innamora. (mymovies).

Kusturica fa il solito film caotico, per accumulo di immagini implausibili e grottesche, dove il dramma è unito all’ironia e all’irreale… ma stavolta pare eccessivo. L’incipit è confuso come non mai, ma quel che è peggio sembra esserlo apposta, senza un motivo che non sia di farlo alla “Kusturica”. Ma volendo anche Underground aveva un intro eccessivamente casinista… Poi il film si libera della zavorra e porta avanti la storia d’amore impossibile fra il serbo e la bosniaca, mentre accumula frecciatine contro la stampa ed il diffuso menefreghismo nei confronti della guerra a Sarajevo… Ma anche qui le poche immagini surreali (come la visione fluttuante nell’aria del protagonista che taglia l’albero con il figlio) sembrano messe li a bella posta e non si vede neppure una grande idea veramente originale.

Tutto sommato un film che, dopo il pesante inizio, si fa visibile senza problemi e dipana un melodramma anche notevole… Ma non è un granché se si considera chi c’è dietro la macchina da presa.

martedì 30 agosto 2011

Pusher II - Nicolas Winding Refn (2004)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Sangue nelle mie mani.

Torna in campo Tonny; appena uscito dal carcere cerca di riallacciare i rapporti col padre (che è uno che traffica in auto rubate), ma tutti i suoi tentativi sembrano continuamente fallire; nel frattempo si fa avanti una donna che sostiene d’avere appena partorito suo figlio. In contemporanea un suo amico gli chiede di accompagnarlo ad un appuntamento con Milo, dove compra della droga che perde subito per stupidità, questo sbaglio l’amico lo riverserà tutto su Tonny che si ritroverà ad avere un debito senza aver fatto nulla.

Siamo dalle parti del film precedente, con un’umanità che sguazza i bassifondi mostrata senza filtri (anzi con un bel po di gusto per l’eccesso), una serie di falliti di cui Tonny sembra essere il rappresentate assoluto, qualunque cosa faccia o non faccia si rivolterà contro di lui. Che poi Tonny, di per se, sarebbe solo un idiota arrogante, ma ,messo in queste situazioni, diventa una vittima di una nemesi imbattibile. Il tutto però declinato verso il rapporto padre e figlio (che è il grande argomento di questa seconda puntata).

Oltre al cercare di rimanere a galla, dal primo capitolo è mutuato lo stile della regia ed il finale aperto (finale stupendo nel film precedente, meno geniale e più improntato verso l’ottimismo in questo). Quello che cambia è il mood generale, il film è meno claustrofobico, meno ansiogeno, la tensione latita molto di più, in definitiva risulta un film di mala, crudo e godibile… la potenza del predecessore è tutta un’altra cosa.

sabato 14 maggio 2011

Paranoia agent - Satoshi Kon (2004)

(Môsô dairinin)

Visto in Dvx.



Una disegnatrice di… pupazzi diciamo, viene aggredita da un ragazzo su rollerblade impugnante una mazza da baseball, dopo di lei vengono colpite altre persone che gravitano attorno a quel caso, due poliziotti si mettono ad indagare, ma le aggressioni proseguono aumentando in numero sempre su persone che si trovano in una situazione senza via d’uscita… che l’aggressore non esiste e si tratti solo di una scusa o di isteria? D’altra parte aumenta a dismisura anche la pervasività di Maromi, un pupazzo (ma in realtà una sorta di marchio, un po come Pukka) disegnato proprio dalla ragazza aggredita per prima; le cose ovviamente saranno collegate.

Contenitore di tutto quello che il grandissimo Satoshi Kon non era riuscito a infilare nelle sue opere precedenti, questa serie televisiva si fa ricordare per la fantasia sfrenata e le idee magnifiche (la puntata dei tre suicidi, o il micro episodio del ragazzo che deve passare l’esame ma starnutisce fuori le formule oppure l’episodio realizzato palesemente solo per spiegare la realizzazione di un cartone animato), ma anche per l’andamento altalenante alla “Twin peaks” dove ad ogni risposta data corrisponde una nuova domande. Ovviamente essendo questa un’opera-patchwork soffre di una certa indipendenza dei vari episodi collegati in maniera solo superficiale tra loro.


A favore dell’operazione va anche concessa un’accuratezza nel disegno, nei movimenti e negli sfondi paragonabile a quella dei lungometraggi del regista; inoltre bisogna sottolineare la grandezza realizzativa nei diversi stili di disegno che delineano alcuni episodi o alcuni “mondi” di cui non dirò di più. Infine gli va concessa un lodevole lavoro di fino nell’inserire migliaia di riferimenti propri della cultura giapponese che rendono la comprensione molto più ostica per un occidentale, ma che rendono l’anime molto più sfaccettato e denso della media dei lavori televisivi.

Alla fin fine l’ho trovato un bel lavoro, con momenti migliori e altri episodi quasi al limite del semplice riempitivo; un anime obbligatorio per gli estimatori del regista, ma ovviamente non a livello dei lungometraggi. Inoltre l’ho visto per godermi l’ultima opera realizzata dal regista recentemente scomparso, in attesa del suo film che uscirà postumo...

PS: un encomio anche alla sigla d'apertura con tutti i coprotagonisti che ridono sguaiatamente in scenari improbabili (bella anche la canzone), nonchè a quella di chiusura dove gli stessi dormono circondando Maromi sottolineandone la centralità nella storia; inoltre bella anche l'idea delle anticipazioni dell'episodio successivo poste come il racconto di un sogno (e quindi poco comprensibili) fatte da un vecchio presente nella storia messo nelle stesse ambientazioni della sigla d'apertura.

martedì 29 marzo 2011

L'alba dei morti viventi - Zack Snyder (2004)

(Dawn of the dead)

Visto in Dvx.
Mi sono approcciato a questo film con molte riserve, semplicemente perché trovavo inammissibile un remake (anche solo ideale; per via dello stesso titolo) del film di Romero… eppure mi son dovuto ricredere.

Alla fin fine non è un remake, è solo un classico film di zombie post-romeriano che introduce giusto un cambiamento: gli zombie sono centometristi. Se nell’originale lo zombie era un cadavere semovente e, come tale, aveva evidenti ed ovvie difficoltà motorie in questo film no; anzi, non conta quanto fosse anziano, obeso o incinto l’umano quand’era in vita, quando diventa zombie, salta, balla, ha una forza sovraumana, un’agilità invidiabile e corre come se dovesse scappare da Bolt. Ecco questo lo volevo dire subito, perché questa è evidentemente la cazzata peggiore e via il dente, via il dolore. In realtà devo spezzare una lancia; con quest’idea si crea un mostro drammaticamente migliore, voglio dire, se lo zombie si muove come un vecchio sui trampoli, per carità lo temo, ma lo temo mentre lo supero con una bicicletta con le gomme a terra; mentre se lo zombie mi sta dietro anche se guido la macchina, certamente risulta più cazzaro, ma anche più pericoloso… Non la apprezzo stà innovazione, ma la comprendo e posso accettarla (vah che open minded che sono).

Poi il resto del film è eccezionale. In primo luogo impiega 5 minuti netti ad entrare nel vivo. Dalle scene di vita quotidiana al primo attacco alla protagonista non passano che pochi istanti e se questo fa immediatamente dire “ecchecazz…” bisogna ammettere che funziona; il film non si perde in preamboli, crea un mood ottimale comunque e rimane tecnicamente corretto. Si perché alla fin fine se non ci sono stati avvertimenti prima che la bimbetta azzanni il compagno alla donna è solo perché lei non li ha ascoltati; la radio, la tv, ma anche quello che stava succedendo all’ospedale erano indizi, che però sono stati evitati, perché la protagonista stava facendo altro. La rapidità sgomenta, ma è magnifica nel creare allo spettatore e alla protagonista lo stesso effetto sorpresa.

Poi il film azzecca tutti i mood. C’è questo senso di apocalisse totale e nichilista che pervade il film quasi dall’inizio e che esplode nel finale. C’è il crollo di ogni schema sociale e nella magnifica fuga in macchina dell’inizio vengono sbattute in faccia fin da subito tutte le atrocità, così per togliersi ogni dubbio (dalla vittima innocente aggredita senza che nessuno faccia nulla, all’homo homini lupus). Eppoi c’è suspence; si perché devo ammettere che nella fuga finale in autobus la tensione l’ho sentita anch’io che solitamente sono abbastanza refrattario. Infine c’è quel finale ottimistico (e dopo un film così tetro è un sospiro di sollievo) che prosegue nei titoli di coda, nei quali con poche immagini ben selezionate (applausi alla regia) si rovesciano completamente i presupposti. Ah già, credo sia pure meritevole la piccola sequenza di ritorno alla normalità (o pretesa tale) dentro al mall a metà film.

Infine c’è la regia. Come detto c’è il finale che gioca con le aspettative del pubblico appena create; ma c’è anche una fotografia curatissima e un uso della macchina da presa mai visto in un film horror di questo genere (di nuovo rimando alla fuga in macchina dell’inizio). Poi ci sono pure degli effetti speciali di livello e un evidente sentore di tanti soldi spesi; e pure spesi bene.

Si insomma una stupenda sorpresa che non solo non delude, ma convince in quasi ogni dettaglio.

PS: due chicche, una la canzone di CashThe man comes around” che ci sta con i titoli di testa, ma anche con tutto il mood del film (ottima scelta); e poi la scena del bimbo zombie, idea mai sfruttata se non da Jackson (e comunque in un film comico) degna del miglior film di serie b.

martedì 30 novembre 2010

Crimen Perfecto - Alèx de la Iglesia (2004)

(Crimen Ferpecto)

Visto in DVD.

Altra commedia nera per de la Iglesia, un poco meno nera ed un po più commedia del precedente “La comunidad”.

La storia di un uomo che impronta l’intera sua esistenza sullo stile e sul fascino, fra abiti perfetti, donne bellissime ed un lavoro impeccabile; che però si trovo ad uccider per sbaglio un concorrente; l’unica testimone è la più brutta delle sue colleghe che approfitterà del vantaggio conseguito per sfruttare in ogni modo il protagonista.

Al di la della regia sempre dinamica di de la Iglesia, il film risalta particolarmente per il discorso anti convenzionale nei confronti del tema della bellezza. Qui in questo film l’essere brutti fuori significa esserlo anche dentro, e la brutta protagonista non cerca una giusta rivalsa, ma un’umiliante sconfitta dell’avversario divenendo peggiore di lui. La simpatia del pubblico poi non può che essere attratta dallo stiloso protagonista maschile.

Interessante, anche se superficiale, il discorso sull’estetica che viene gridato nella scena dell’ascensore. Veritiero e cinico nello stesso tempo.

Certo, “La comunidad” è decisamente migliore ed il finale di questo film delude un poco, ma rimane una delle commedie più interessanti degli ultimi anni.