lunedì 18 febbraio 2019
Accattone - Pier Paolo Pasolini (1961)
Visto in Dvx.
Accattone è un indolente che disprezza il lavoro e vive di espedienti con gli amici del quartiere e fa prostituire la propria compagna; quando questa viene arrestata lui ne cerca un'altra, la porta a fare la vita, ma, forse, si innamora. Proverà a lavorare, ma durerà una giornata.
Il primo film di Pasolini è un bignami di quanto avverrà subito dopo. Partendo dal neorealismo Pasolini si infila nei bassifondi dell'Italia dell'epoca, mostrando una Roma butterata, con edifici cadenti e un'umanità allo sbando, che vive e sopravvive. Il protagonista è un figlio di quell'ambiente, un protagonista passivo, né buono, né cattivo, vittima di sé stesso che fa del male a chi gli sta intorno.
Dal punto di vista tecnico ci sono già i rigidi movimenti di macchina dei film successivi e le passeggiate con carrelli di "Mamma Roma", qualche ingenuità di troppo nei continui primi/ssimi piani e un montaggio tagliato con l'accetta; entrambi figli del digiuno totale dell'autore per il mezzo cinematografico (possibile che l'impronta vera e propria l'abbia data Bertolucci, qui aiuto regista, che avrebbe esordito solo l'anno successivo).
Nel complesso il film è un dramma sociale che prende a piene mani dalla sensibilità di un ventennio prima, ma con l'occhio acuto e attualizzante del Pasolini scrittore. Assolutamente efficace, tuttavia non paragonabile al successivo "Mamma Roma", forse per la maggior esperienza del regista, forse per la presenza di un fiammeggiante Magnani.
mercoledì 14 dicembre 2016
Viridiana - Luis Buñuel (1961)
Visto in Dvx.
Una novizia che sta per prender ei voti di clausura, va a salutare lo zio (l'unico parente rimastole che l'ha mantenuta fino a quel momento) prima di separarsi dal mondo. La decisione di salutare lo zio non è una cosa così immediata, data una viscerale repulsione che lei prova per il parente.
Durante la permanenza a casa dello zio, lui la seda nel tentativo, non andato a buon fine, di violentarla. Per quanto il gesto sia terribile, l'intento sarebbe stato quello di costringerla a sposarlo data l'infatuazione dell'anziano. Lei ne rimane sconvolta, ma lui di più e si uccide. Lei erediterà parte die beni, assieme al proprio cugino, ma per sfruttarli decide di non prendere più i voti e aprire la magione ai poveri del paese; neanche questa decisione che non andrà a buon fine.
Per quel poco che lo conosco, questo film è uno dei più godibili di Buñuel; non lesina in simbolismo, contorcimenti psicologici o chiacchiericcio ricco di spiegazioni non necessarie, ma la storia riesce a fluire indipendente da tutto il sovraccarico e gli eventi si dipanano con grazia.
I simbolismi (dettagli fondamentali del film) sono continui, ma spesso poco invasivi, quando invece è pesantemente evidente l'intento allegorico spesso è esteticamente appagante (su tutti la corona di spine che brucia nel finale); personalmente ho trovato esagerata e stucchevole solo la reinterpretazione dell'ultima cena, esageratamente urlata in faccia allo spettatore.
Il film inoltre, al di là di un vago anticlericalismo (più preteso dai critici, a mio avviso, dato che in questo film ne ho visto meno che in molti altri), è un'affresco grottesco sulle tenebre dell'animo umano; viene presentata la storia di una santa in pectore circondata da una serie di personaggi coerenti, ma pessimi, ognuno egocentrico e facile a lasciarsi andare a gesti immorali; una mancanza generalizzata di buon cuore in cui la parte del leone la fanno proprio quei poveri che lei vorrebbe salvare (se posso direi che era ora che Buñuel uscisse dal politicamente corretto socialista). Una mancanza di cuore che però è rivolta solo agli esseri umani, dato l'interesse per gli animali che un paio di personaggi riescono ancora a provare.
Dal punto di vista della regia Buñuel regala tre parti importanti. Una regia di un dinamismo elegante che non avevo mai notato nel regista spagnolo. Una fotografia in bianco e nero densa e interessante. Una cura per il contenuto delle scene mostrate anche maggiore che nei suoi precedenti lavori (basterebbe la notevole costruzione dell'angelus dei poveri nel prato dove montaggio, inquadrature e fotografia sono un tutt'uno con il contenuto; dal lato opposto si pensi invece allo zio che cerca di violare la nipote sedata e vestita da suora mentre la bambina li spia dalla finestra... applausi per il grado di weirditudine raggiunto senza colpo ferire).
venerdì 13 novembre 2015
L'assassino - Elio Petri (1961)
Visto in Dvx.
Un antiquario, donnaiolo e arraffone (si insomma è il solito personaggio di Mastroianni), viene svegliato dalla polizia che lo porta in centrale per un interrogatorio. Per tutto il tempo della sua permanenza lì nessuno gli dirà neppure il motivo. Una volta venuto a sapere di essere un sospettato di omicidio verrà portato sul luogo del delitto e poi in prigione. Questo lungo interrogatorio è la scusa per permettere al personaggio di fare il punto sulla sua vita che gli appare sempre più vuota.
Opera prima di Elio Petri; film evidentemente imperfetto per produzione, ma già contiene in nuce molto di quello che verrà.
A livello estetico c'è una costruzione su più piani (le immagini attraverso le finestre e le porte; c'è una scena all'inizio con Mastroianni che recita con sullo sfondo Roma in un quadro bellissimo); la macchina da presa è dinamica con piccoli piani sequenza e inquadrature sempre gustose (e pure dei carrelli che proseguono alcune sequenze permettendo piccoli momenti di ottima recitazione); e poi continui passaggi con piccoli flashback che è una scusa per fare il punto e i suoi affetti.
A livello di contenuti c'è il rapporto tirannico con l'autorità onnipotente e la presenza di un protagonista solitario pur vivendo immerso nella società.
Da applausi il finale, semplice, ma grottesco che ribalta completamente il personaggio rendendolo non più una figura tragica, ma un ometto piccolo come tutti gli altri.
lunedì 21 settembre 2015
Quelle due - William Wyler (1961)
Visto in Dvx.
Una coppia di amiche ha fondato una scuola con dormitorio. Sono amate dalle bambine e apprezzate dalle famiglie; una delle due desidera quindi sposarsi. Un pò di agitazione e la cattiveria di una bambina abituata alla menzogna getteranno un sospetto terribile sulle due amiche. Che oltre all'amicizia non ci sia anche dell'amore? L'anziana bigotta che verrà a sapere della voce non potrà accettarlo.
Wyler è un regista che ha trovato la sua spalla migliore sul direttore della fotografia Gregg Toland, uno che riusciva a fornirgli tutta la profondità di campo di cui aveva bisogno per le sue costruzioni a strati. Ovviamente Toland non prese parte a questo film dato il lieve problema della sua morte 15 anni prima; ma è come se ci fosse; pur senza la sua maestria Wyler utilizza la profondità di campo che qui viene usata per mettere in contatto due personaggi di cui uno si sta rivolgendo all'altro o per metterli in contrapposizione (molto bella l’immagine della bambina in primo piano mentre dovrebbe confessare, con le due protagoniste al suo fianco in secondo piano). A questo vengono aggiunti movimenti di macchina efficaci (il gioco di sguardi con carrelli laterali delle due bambini durante la confessione a casa della nonna) e un qualche gioco di montaggio "sbagliato" (si pensi alla corsa finale della Hepburn verso la casa).
Se a livello tecnico è un grande film a livello di contenuti è piuttosto altalenante. Tratto da un'opera teatrale, lo stesso Wyler l'aveva già portato sullo schermo negli anni '30 con il titolo inglese che riecheggia quello italiano attuale "These three"... però per farselo produrre dovette togliere la tematica omosessuale in favore di un più piatto triangolo amoroso. Potendo riprendere in mano il materiale nei più liberi anni '60 l'opera originale viene ripresa in maniera integrale, il che è forse uno dei limiti; la teatralità della messa in scena appesantisce il ritmo e forse è anche una delle cause dell'empatia a tratti latitante e dell'agnizione a volte eccessiva. Tuttavia funziona. Il dramma viene gestito in maniera impeccabile dal cast (che coppia di attrici!) che si dividono le scene madri in modo perfetto. Bellissimo anche il frequente gioco di sguardi e di non detto, di non espresso.
Non tutto quello che avviene sulla scena è credibile, ma lo show down finale estremamente efficace.
venerdì 26 dicembre 2014
Fantasmi a Roma - Antonio Pietrangeli (1961)
Visto in Dvx.
In una palazzina in centro a Roma vivono un gruppetto di fantasmi, alloggiati presso un anziano nobile decaduto, alla morte di questo si troveranno per casa il nipote. Voglioso di soldi il giovano vorrebbe vendere il palazzo, ma i fantasmi lavoreranno di concerto per non perdere la casa, arriveranno anche a chiedere la consulenza di un pittore del 500.
Questo è un film delizioso. Il termine delizioso di solito non lo uso, neppure per il cibo, neppure per i coniglietti o i cuccioli di foca. Ma questo è proprio un film delizioso. Una commedia delicata, divertente, dal ritmo calmo, ma sempre ben tenuto, una galleria di personaggi che non inventano nulla, ma sfruttano gli stilemi sui fantasmi e i luoghi comuni sugli attori per creare i personaggi e le situazioni; tutto però diluito nella delicatezza. Cast enorme che si muove con grazia incredibile e, come già detto, fa il luogo comune di sé stesso, Mastroianni fa il solito donnaiolo (ma senza gli estremismi di Fellini) e altri due personaggi, Milo fa la ragazza svampita (personaggio piuttosto secondario), Gassman è un sanguigno artista anticlericale, Buazzelli un frate corpulento e bonaccione ed infine De Filippo nelle vesti del nobile (di pedigree e di intenti) decaduto, intellettuale e reazionario (pur avendo l'apertura in solitaria è il personaggio meno sfruttato, si poteva fare di più).
I rapporti tra i morti e i vivi si esauriscono in gag e giochi prevedibili, ma organizzati perfettamente (dato che i vivi non possono vedere i fantasmi); unica scena che si discosta dallo stato di quieta commedia è quella di Mastroianni con la ballerina nel locale, nel mood generale stride, ma alla fine risulta innocua.
Tra gli sceneggiatori Flaiano e Scola.
Non è un capolavoro, ma un film da recuperare di sicuro.
lunedì 24 dicembre 2012
Rapsodia ucraina - Sergei Parajanov (1961)
Registrato dalla tv, in lingua originale sottotitolato in italiano.
lunedì 30 gennaio 2012
...e la Terra prese fuoco - Val Guest (1961)
Visto in Dvx.

Un gruppo di giornalisti segue i test dell’ennesima bomba atomica statunitense, nel contempo apprende di un terremoto in siberia; non collegheranno le due cose fintanto che la temperatura a Londra (il film è inglese) non comincerà a raggiungere temperature impressionanti. Quando un tornado si abbatterà sulla città si renderanno conto che il terremoto in siberia era una bomba atomica russa esplosa nello stesso istante di quella americana… vuoi vedere che hanno fatto uscire la terra dalla sua orbita?....
Film apocalittico anni ’60 e per questo molto moraleggiante nel suo essere anti-atomico. Film inglese, e per questo molto più libero negli ammiccamenti sessuali.
Detto ciò, e sottolineando quanto sia stata condotta bene la trama fino al finale aperto (per essere più enfatico, moralizzatore e cristiano), posso anche dire che il film non è granché.
Non è granché essenzialmente per due motivi. In primo luogo perde troppe occasioni; inizia come un film di investigazione giornalistica che però viene mantenuta in secondo piano; può parlare di un uomo distrutto con la solita storia di riscatto personale nel dettaglio, ma preferisce ricostruirgli subito una vita; potrebbe mostrare con molta più efficacia le conseguenze dei cataclismi o dell’approssimarsi dell’apocalisse annunciata, ma preferisce tenersi un paio di episodi da college e non addentrarsi nell’argomento. Di volta in volta svicola ogni possibilità interessante.
In secondo luogo annaffia tutto con una storia d’amore. Il fatto che tutte le altre idee non siano sviluppate è perché si preferisce concentrarsi sul romanticismo. Il che è normale in questo genere di film, ma mai come in questo caso la storia d’amore è banale, prevedibile e distruttiva nei confronti della storia.
martedì 24 gennaio 2012
Divorzio all'italiana - Pietro Germi (1961)
Visto in VHS.

Mastroianni è il conte Cefalù, uomo sposato con una donna irritante, ma affezionata (Rocca) e nel contempo innamorato della giovanissima cugina (Sandrelli) che gli abita di fronte. Quando scopre che il suo amore è ricambiato pensa a come possa consumare legalmente… ovviamente la moglie dovrebbe sparire. In quegli anni era ancora in vigore la legge numero 587 del codice penale, che da un importante sconto di pena per all’omicidio d’onore, quello perpetrato ai danno del coniuge se scoperto in flagranza di tradimento…
Film perfetto in ogni dettaglio.
La storia è scritta da dio, divertente, con il ritmo giusto e descrive dei personaggi caricaturali assolutamente credibili e completamente dettagliati. E di fianco ad uno svolgimento da commedia ci mette pure la denuncia sociale della grottesca legge sul divorzio italiano.
Il cast è in parte. Su tutti Mastroianni titaneggia con una recitazione al contempo macchiettistica, ma controllata, creando un personaggio che darà un colpo di grancassa (in Italia e all’estero) ai cliché sui siciliani (il tic lo decise lui ispirandosi a quello che aveva proprio Germi).
Infine la regia è strepitosa. Fa di tutto; rimanendo assolutamente classico nelle location e nell’uso della macchina da presa si prende ogni altra libertà gli venga in mente. È sufficiente guardare il rapidissimo incipit per capire cosa intendo (magnifico quando Mastroianni smette di pensare perché sua moglie lo guarda).
Uno dei film comici più belli che abbia mai visto.
PS: grande il successo anche fuori dall’Italia, il film vinse l’oscar per la sceneggiatura.
PPS: una delle prime parti per Lando Buzzanca.
giovedì 7 aprile 2011
Colazione da Tiffany - Blake Edwards (1961)
Visto in DVD.

Una storia romantica alla Dharma e Greg, senza però che la Dharma in questione sia eccessiva ed irritante come quella del telefilm. Il film funziona perché crea un personaggi originale, sopra le righe, ma mai eccessivo, dolce e scostante in giuste dosi e perfettamente costruito sulla Hepburn. Funzionando quel personaggio tutto funziona, e poco conta se il libro originale (molto bello) viene del tutto violentato ed edulcorato, quello che il film vuole raggiungere lo ottiene con stile.
Una commedia romantica, tanto originale, piuttosto divertente ed assolutamente godibile. Unico neo, a mio avviso, è il personaggio di Yunioshi, talmente costruito su luoghi comuni idioti da essere terribilmente irritante.
lunedì 28 febbraio 2011
Vincitori e vinti - Stanley Kramer (1961)
Visto in VHS.

La descrizione del processo a 4 gerarchetti nazisti nel 1948 (giusto dei giudici e un ex ministro della giustizia) presieduto da un giudici incredibilmente open minded, disposto a capire le ragioni dei tedeschi prima di condannarli in toto.
Un film fondamentale, in quanto è il primo (e che io sappia, quasi l’unico) a mantenere una certa oggettività sulla Germania nazista (è anche il primo, che io sappia, a mostrare vere immagini dei campi di sterminio dopo la liberazione). Mostra tutti i punti di vista, dai più estremisti (sia dei tedeschi, come il procuratore ora sotto accusa, sia degli americani, come l’attuale avvocato dell’accusa) a quelle più moderate, passando per le 2000 sfaccettature che un’ideologia politica (ed un sistema satanico) ha avuto nella vita di tutti i giorni. Non ci sono giustificazioni (né assoluzioni, neppure per i personaggi positivi), ma la voglia di mostrare e di far capire, come sia possibile vivere, andare avanti, nonostante si viva in uno stato nazista e senza fare nulla per opporvisi. Certo la continua, protestata, invocazione di ignoranza su quanto avvenisse nei campi di sterminio può essere creduta o meno, ma cambia poco le cose; come dice l’avvocato tedesco, li ad essere sotto accusa sono tutti i tedeschi (e non dovrebbero essere i soli).
Come dicevo le colpe sono distribuite giustamente, e l’assoluzione finale non c’è (com’è giusto che sia); ma il film si permette il lusso di difendere i tedeschi e di comprenderli. Cosa non da poco.
PS: Non ho mai nominato Kramer, ma lui ci va a nozze coi legal movie e, seppure piuttosto contenuto, danza con la macchina da presa, inquadra su più piani (tutte inquadrature funzionali, che servono a mostrare in primo piano chi parla e in secondo piano chi viene nominato) e si ferma quando invece il volteggiare sarebbe superfluo. Peccato invece per il cast all star, in gran parte sprecato.
domenica 22 agosto 2010
L'anno scorso a Marienbad - Alain Resnais (1961)
Visto in VHS.
Un film estremo che mostra dove possano arrivare le produzioni autoriali; che delinea perfettamente il significato di cazzeggio intelluale senza mai una sbavatura nella presentazione.
La storia è un susseguirsi di immagini e dialoghi gli uni disgiunti dagli altri tra un uomo che cerca di sedurre/afferma d'aver già conosciuto una donna. Certamente la trama mostra il punto di vistas atemporale della mente del protagonista con un susseguirsi di eventi collegati più per assonanza che per logica, ma tutto questo non mi giustifica la noia o la recitazione invisibile degli attori (nel senso che proprio non si vede mai nessuno recitare, sembra un film sonoro di Dreyer!).
Certamente una cosa del genere in mano a chiunque altro sarebbe stato un harakiri in piena regola, e invece Resnais, maledetto, riesce a renderlo esteticamente impeccabile (ogni scena è calcolata nel dettaglio), tecnicamente invidiabile (con una macchina da presa in continuo movimento) e, brevemente, un poco interessante (ma solo all'inizio quando ancora ingenuamente ci si può attendere una storia).
Rimane un'esperimento. Un esperimento tanto bello quanto noioso ed inutile.
PS: si consiglia di guardarlo a velocità doppia, dura meno, non si sentono di discorsi di Albertazzi e ci si gode comunque la bravura del regista.
venerdì 30 luglio 2010
Uno, due, tre! - Billy Wilder (1961)
Visto in VHS.
Commedia di Wilder, scritta con il fidato Diamond, tra le più frenetiche e divertenti di sempre. Il direttore della filiale Berlinese della CocaCola deve ospitare la figlia del direttore generale, purtroppo questa impiegherà poco a passare il confine, andae nell'est e sposarsi con un terribile comunista...
James Cagney, il padre, attore che non ho mai amato a pelle è mattatore assoluto, straripante e perfetto in ogni attimo giostra la complicata storia.
Il film intrattine perfettamente e diverte molto con un ritmo forsennato che aumenta nel finale. La sceneggiatura prende in giro tutti, dagli americani arrivisti, ai comunisti ottusi e doppiogiochisti, ma soprattutto si prende gioco dei tedeschi rimasti con tendenze naziste e con un passato che vogliono negare pur essendoci dentor fino al collo (e questo è il tratto distintivo di Wilder/Diamond, assenza di sconti, se la prendono con tutti, con gustoso cinismo).
Il film che ne viene fuori è uno dei più divertenti di Wilder, ingiustamente relegato al secondo piano.
Per la serie, "questo dove l'ho già visto?", il ragazzo della Berlino est è Horst Buchholz, l'irritante ragazzino de "I magnifici sette"! e grazie ai potenti mezzi di imdb ho scoperto che ha pure recitato ne "La vita è bella"...
mercoledì 21 aprile 2010
Gli spostati - John Huston (1961)
Visto in DVD.
Un film, qeusto, che è più famoso per essere stato il testamento artistico della Monroe e di Gable nonchè uno degli ultimi del già sfigurato Monty.
La storia è un dramma di Miller su un tris di uomini (anzi di cowboy) che, ad uno ad uno, cadono ai piedi della Monroe... ovviamenti passioni sopite, egoismi, frustrazioni, violenza sottintesa e istinti per lo più di morte, sono un corollario necessario per l'avvio di una storia che trasuda un senso di inellutabile fine in ogni inquadratura... il che rende ancora più insistente, durante la visione del film, il pensiero che si tratta dell'ultima prova per 2 dei più famosi attori di sempre.
Più che essere un buon prodotto cinematografico si tratta di un'ottimo dramma teatrale, verboso e teso alla maniera di Williams (cito lui perchp Miller in effetti non lo conosco), sul grande schermo si difende grazie a Huston che decide di calarlo completamente nell'ambiente desertico del Nevada (la terra del "lascia"), portando l'ambientazione ad aumentare il discorso fatto dalla sceneggiatura, permettendo al film di non essere solo un'opera teatrale su pellicola.
Complessivamente però non decolla mai del tutto... ma quell'immagine finale, quell'ultimo fotogramma (prima dell'inquadratura della stella) con la Monroe abbracciata a Gable, parla, quasi più dell'intero film.
PS: Splendido Wallach.
martedì 27 ottobre 2009
Lo spaccone - Robert Rossen (1961)
Visto in DVD.

Rossen non spicca per inventiva, ma non gli si può recriminare molto, fa il suo lavoro e lo fa bene. La fotografia è adattissima, mette in scena le ombre prima che le luci di ogni stanza inquadrata... ma il film per quanto mi riguarda sfugge. La sceneggiature vuol dire tutto, vuol fare tutto, ma si dilunga, languisce, si bea del suo essere così disperata e così intelligente e se il film non risulta freddo è solo grazie alla bravura degli interpreti.
Un film con ottimi spunti, ma noioso che tende solo a ripetere se stesso per due ore, in continuazione.