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mercoledì 30 maggio 2018

Lei mi odia - Spike Lee (2004)

(She hates me)

Visto in Dvx.

Un impiegato di un'industria farmaceutica viene licenziato per uno scandalo; per sopravvivere si vedrà costretto a vendere il proprio seme... facendo sesso con donne lesbiche con intenti materni... tutto questo è un progetto della sua ex quasi moglie che l'ha lasciato dopo aver scoperto la propria omosessualità. Naturalmente troverà anche il tempo per portare in tribunale la sua ex ditta perché tutti sapevano che erano cattivi, ma nessuno li ha fermati.

Terribile film di Spike Lee (ma dopo i primi anni '90 ne ha imbroccati davvero pochi) che, come spesso, latita completamente nella sceneggiatura non sapendo che cosa vuol essere.
Potrebbe essere una commedia romantica, ma non ne ha il tono complessivo, è troppo ingarbugliata, e la parte più onestamente da commedia si perde nel sociale; potrebbe essere un drammetto sulla crisi, ma non ne ha il piglio troppo sopra le righe e i continui cambi di tono; potrebbe essere un film di denuncia (sic), ma relega questa parte a un finalino striminzito attaccato al resto del film con la colla.
Sembra che Lee avesse in mente una commedia, ma che dovesse a tutti i costi metterci un contesto sociale altrimenti non avrebbe tollerato di riderne e che all'ultimo abbia pensato di essere come Oliver Stone e doverci mettere un poco di Watergate. Il risultato finale è imbarazzante.

Su tutto questo non intendo commentare il punto più alto (la regia e la fotografia sempre ottime con picchi davvero eccellenti) o quello più basso (il siparietto indecente di una delle Bellucci peggiori che riesce a trascinare nel ridicolo anche Turturro) perché l'esito del film si gioca su tutto il resto.

PS: e neanche sono stato lì a parlare dell'uso imbarazzante dell'imbarazzante CGI.

venerdì 11 novembre 2016

...e giustizia per tutti - Norman Jewison (1979)

(...and justice for all)

Visto in tv.

Un avvocato d'esperienza decennale, si muove fra casi di giustizia sociale sempre frustrati da un giudice troppo intento a dare esempi che a dare giustizia. Quando il giudice si troverà accusato di violenza sessuale contatterà l'avvocato e lo obbligherà a difenderlo. L'avvocato si troverà moralmente alle strette fra aiutare un uomo da condannare per la sua storia pregressa e il suo carattere e cercare di fare il proprio lavoro.

Alla regia c'è Jewison, alla sceneggiatura Levinson, due personaggi che continuo ancora a confondere, ma che rappresentano il meglio del cinema mainstream che cerca di fare film politici o sociali. Ovviamente figuriamoci se in questo incontro si smentiscono.
Fin dal titolo è evidente dove si voglia andare a parare, quindi tutti i casi seguiti da Pacino sono casi di giustizia sociale che cozza contro un sistema giudiziario troppo rigido o miope; non sorprenderà che tutti, tutti, i processi che avverranno durante il film finiranno per distribuire ingiustizia.

La regia asciutta con una fotografia che asseconda il voler essere sullo sfondo, immerge del tutto i suoi personaggi dentro enormi aule giudiziarie o li fa muovere per lo più di notte, o in carceri.
Al Pacina ha del miracoloso, facendo una parte stucchevole e banale, recitando con molta, troppa foga, eppure rimane sempre entro i limiti del verosimile regalando una performance splendida che in mano a chiunque altro sarebbe stata semplicemente inguardabile.

La vera differenza la fa una sceneggiatura a tesi che da una parte sembra un giorno in pretura (mostrando la vita e i dubbi di chi lavora nel sistema della giustizia, umanizzandoli e disumanizzandoli secondo le necessità), dall'altra rasenta la farsa con un villain ai limiti della credibilità (se fosse stato del tutto innocente ci sarebbe stata meno agnizione, ma ne avrebbe guadagnato di significato) e con un giudice aspirante suicida che da leggerezza, ma che è del tutto fuori luogo.

venerdì 22 aprile 2016

Il momento di uccidere - Joel Schumacher (1996)

(A time to kill)

Visto in tv.

Un uomo di colore nel sud degli USA si vendica della morte della figlia uccidendone l'assassino, un ragazzo bianco e razzista. La comunità si mobilita, chi a favore e chi contro, verrà riesumato il KKK e le tensioni razziali esploderanno. Il caso della difesa dell'uomo di colore sarà preso, pro bono, a un giovane avvocato locale di belle speranze e buon cuore.

Questo è un film visto da regazzino di cui ho sempre conservato un buon ricordo; leggendo in giro noto di essere l'unico a considerarlo bene; inevitabile sfruttare un passaggio televisivo per rivederlo.
Beh diciamolo subito, l'ambientazione mi è sempre piaciuta e la fotografia sudata e virata sul giallo mi è sempre sembrata calzante; allora come oggi.
Anche il cast, di attori che neanche ricordavo ci fossero (ma come ho fatto a dimenticarmi della presenza di Jackson?!), mi è parso buono; certamente i fondamentali (Jackson ovviamente, ma anche McConaughey che è assolutamente in parte e Sutherland Jr che nella parte dello stronzo ha sempre fatto la sua bella figura; per non parlare della presenza di Sutherland Sr e Spacey che sono sempre encomiabili) sono all'altezza, la tanto vituperata Bullock fa la sua parte senza infamia e senza lode.
Non vorrei però dare un'idea sbagliata. Questo film è carino, ma non riesce a entusiasmare.
Fallisce nella storia, non tanto per la banalità, ma perché mette di tutto sul fuoco; dilata i personaggi importanti (c'era così tanto bisogno di dare spazio al personaggio di Sutherland Jr? e Sutherland Sr nella parte scontata del mentore redivivo c'era davvero bisogno?) rendendo inutilmente più laboriosa la vicenda (dovrebbe essere un legal movie o un dramma razziale? conta di più la vita degli avvocati o quella delle vittime?). Troppi elementi che non servono e dilatano il minutaggio senza costrutto.
Inoltre c'è una regia nella migliore delle ipotesi inutile, spesso fuori luogo, che appesantisce un film già non fluido di suo.
Ammetto che la memoria migliora di molto il passato.

martedì 12 gennaio 2016

Difret, Il coraggio di cambiare - Zeresenay Mehari (2014)

(Difret)

Visto al festival di cinema africano (in concorso).

basato sulla storia vera di una ragazza minorenne accusata di omicidio nei confronti dell'uomo che la rapì e violentò per poter essere forzata al matrimonio. L'avventura giudiziaria sostenuta da un'associazione di donne avvocato che furono disposte a portare in giudizio anche il ministero della giustizia verso la fine degli anni '90.

L'opera prima di Mehari, autoprodotta (con l'appoggio di alcune ONG) e successivamente supportata dalla Jolie (che di fatto ha dato rilevanza internazionale a un film già realizzato), è un canonico film di riscatto sociale con un briciolo di legal drama. Niente di particolarmente originale e con una insolita mancanza di volontà nell'affrontare i momenti cruciali (risolvendoli con fade to black o con un personaggio che entra nella stanza ad avvertire che le cose si sono già risolte). In parte quest'ultima caratteristica si giustifica con la mancanza di mezzi, in parte questa pessima abitudine diventa talmente frequenta da fare il giro e diventare una (pessima) cifra sitlistica.

Al di là dell'evidente incapacità nel gestire i twist della trama il film è incredibilmente godibile e scorrevole, ben ritmato nonostante la quasi totale mancanza di enfasi nei punti che la meriterebbero. Il vero valore aggiunto è però la fotografia, scarna e leggermente spenta, ma magnificamente curata.

lunedì 9 settembre 2013

Mio cugino Vincenzo - Jonathan Lynn (1992)

(My cousin Vinny)

Visto in tv.

Due ragazzi vengono accusati di omicidio per una incomprensione in fase di indagine (loro vedendosi braccati confessano quello che pensano essere taccheggio e invece è proprio l’omicidio del cassiere dell’emporio dove hanno rubato); per assisterli uno dei due contatterà suo cugino Joe Pesci, che fa il solito personaggio italiota alla Joe Pesci, ma senza la violenza che lo rendeva così vivace nei film di Scorsese.

Commedia giudiziaria/demenziale che riesce a metterci dentro anche il riscatto sociale del protagonista. Poche le idee nuove, pochi i momenti genuinamente divertenti, irritante Joe Pesci che ripropone se stesso di nuovo come fosse un Johnny Depp in fase calante; poche (poche is the new nessuna) le idee di regia.

Il film si fregia solo della presenza di una Tomei non sfruttata affatto e di un finale liberatorio che, come sempre in questi film, riesce ad orchestrare bene tutti personaggi e tirare le fila di tutti i suggerimenti messi in giro durante il film.

lunedì 8 aprile 2013

La costola di Adamo - George Cukor (1949)

(Adam's rib)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Una giovane donna pedina il marito per vedere se viene tradita come sospetta; trovato il coniuge in flagranza di reato gli spara. Non muore, inevitabilmente il fatto finisce in tribunale. Ad essere incaricato dell’accusa è Spencer Tracy, purtroppo per lui anche sua moglie (anche lei avvocato) si interessa della faccenda e, volendo portare avanti un concetto femminista di reale uguaglianza di fronte alla legge, decide di assumere la difesa della ragazza. Il giudizio avrà ripercussioni anche sulla vita di coppia.

Legal drama e commedia dei sessi di gran classe, divertente e tutta improntata sui suoi due protagonisti. Se Spencer Tracy è un navigato attore bravissimo a fare da spalla, la vera protagonista è effettivamente la Hepburn (come poteva essere prevedibile data la presenza di Cukor in regia), vero motore della vicenda e vero personaggio che va oltre il film (in effetti la Hepburn sembra sempre impersonare se stessa). I due danno vita a magnifici battibecchi che si incastrano perfettamente in scene di vita coniugale dirette come un balletto, con un occhio alla battuta intelligente.

Dal canto suo Cukor gestisce il tutto come un teatro, gestendo più che altro gli attori in funzione del set, pone poi la macchina da presa in posizione fissa; quando la situazione l richiede però (e a quanto pare lo richiede spesso) si lancia in enormi movimenti di macchina, ariosi e complicati che danno vita a piani sequenza che sottolineano ulteriormente le performance degli attori. Movimenti di macchina così gustosi e liberi (ma sempre tecnicamente impeccabili) non li vedevo da parecchio tempo.

Ampio e avantissimo sul tempo il discorso sulla parità dei sessi che, intelligentemente, non cede in un finale confortante per l’epoca, ma va avanti sino alla fine.

L’unico neo è la mia abitudine ad associare in maniera pavloviana i film sullo scontro fra i sessi con Hawks (e la presenza della Hepburn mi aumenta questa associazione)… quindi mi vien da pensare che questo soggetto in mano ad un Hawks sarebbe diventato frenetico come una guerra lampo… 

lunedì 6 giugno 2011

Il verdetto - Sidney Lumet (1982)

(The virdict)

Visto in VHS. Classico legal movie all’americana. Trama standard per una regia senza pretese.

L’avvocato Newman, ormai fuori dal giro perché troppo idealista è ora diventato uno sciacallo che fa tutto quello che viene mostrato anche in “Rainmaker” per sopravvivere, ma quando si trova a dover difendere degli indifesi contro il Golia cattivissimo di un grosso ospedale cambia, moralmente e come stile di vita. Colpi di scena a non finire, tiri mancini dagli avversari, un giudice contro, ma poi il cuore della giuria farà il resto.

Davvero c’è poco altro da aggiungere. Newman è decisamente magnifico, ma questo è il minimo. La Rampling essenzialmente inutile. Mason fa il suo lavoro e fa piacere vederglielo fare…

Basta, tutto qua; palesemente un film su commissione senza fantasia, ma d’altra parte senza pretese. Giusto per un pomeriggio di domenica su rete quattro o la7.

giovedì 14 aprile 2011

L'uomo della pioggia - Francis Ford Coppola (1997)

(The rainmaker)

Visto in VHS.

Legal movie su commissione. Un giovane avvocatucolo, appena laureato entra nel fetido mondo dei legulei,e subito il suo idealismo sbatte contro la realtà… ma sono tutti così cattivi?

Per fortuna un’assicurazione fa la cattiva e il giovane idealista avrà di che sfamare la sua voglia di giustizia sociale.

Filmetto non voluto da Coppola, ma utilizzato per fare cassa… per carità, la storia, per quanto prevedibile, tiene bene, interessa e si fa seguire ed il film punta tutto sui sentimenti più bassi tanto che alla fine non si può non godere della vittoria del bene anche se lo si sa fin dall’inizio…

Un ottimo cast, non sfruttato a dovere, per un ottimo film da trasmettere in tv… ma Coppola è passato per il set solo per caso.

lunedì 28 febbraio 2011

Vincitori e vinti - Stanley Kramer (1961)

(Judgment at Nuremberg)

Visto in VHS.

La descrizione del processo a 4 gerarchetti nazisti nel 1948 (giusto dei giudici e un ex ministro della giustizia) presieduto da un giudici incredibilmente open minded, disposto a capire le ragioni dei tedeschi prima di condannarli in toto.

Un film fondamentale, in quanto è il primo (e che io sappia, quasi l’unico) a mantenere una certa oggettività sulla Germania nazista (è anche il primo, che io sappia, a mostrare vere immagini dei campi di sterminio dopo la liberazione). Mostra tutti i punti di vista, dai più estremisti (sia dei tedeschi, come il procuratore ora sotto accusa, sia degli americani, come l’attuale avvocato dell’accusa) a quelle più moderate, passando per le 2000 sfaccettature che un’ideologia politica (ed un sistema satanico) ha avuto nella vita di tutti i giorni. Non ci sono giustificazioni (né assoluzioni, neppure per i personaggi positivi), ma la voglia di mostrare e di far capire, come sia possibile vivere, andare avanti, nonostante si viva in uno stato nazista e senza fare nulla per opporvisi. Certo la continua, protestata, invocazione di ignoranza su quanto avvenisse nei campi di sterminio può essere creduta o meno, ma cambia poco le cose; come dice l’avvocato tedesco, li ad essere sotto accusa sono tutti i tedeschi (e non dovrebbero essere i soli).

Come dicevo le colpe sono distribuite giustamente, e l’assoluzione finale non c’è (com’è giusto che sia); ma il film si permette il lusso di difendere i tedeschi e di comprenderli. Cosa non da poco.

PS: Non ho mai nominato Kramer, ma lui ci va a nozze coi legal movie e, seppure piuttosto contenuto, danza con la macchina da presa, inquadra su più piani (tutte inquadrature funzionali, che servono a mostrare in primo piano chi parla e in secondo piano chi viene nominato) e si ferma quando invece il volteggiare sarebbe superfluo. Peccato invece per il cast all star, in gran parte sprecato.

sabato 12 febbraio 2011

E l'uomo creò Satana! - Stanley Kramer (1960)

(Inherit the wind)

Visto in VHS.

In un bigotto paesino del sud degli stati uniti un insegnante viene arrestato per aver insegnato l’evoluzionismo (e viene arrestato a ragione visto che citano una legge che viete di insegnare cose che vadano contro le sacre scritture, per carità legge sbagliata, ma tecnicamente il processo era praticamente inutile). Come avvoltoi arrivano subito giornalisti ed un paio di avvocati prima amici, ora dalle parti opposte della barricata, e cominciano una lotta all’ultimo sostantivo per difendere la tradizione bigotto-cristiana l’uno, e la libertà di pensiero l’altro.

Pesante e verboso legal movie che fa di un fatto idiota un caso mondiale senza rispettare le più ovvie regole di un processo (ho visto abbastanza film e telefilm per rendermi conto che gli avvocati si prendono, entrambi, troppe libertà). Per carità, le prime scene (prima del dibattimento), sono stupende, scritte dai migliori dialogisti di Hollywood e con aforismi cinici di prim’ordine (detti quasi tutti da un Gene Kelly credibile e incredibilmente nichilista)… poi arriva il processo vero e proprio, ed il film sbraga nel moralismo più scontato, nelle invocazioni alla libertà francamente eccessive e si dilunga in scene melodrammatiche senz’anima.

Abbastanza bravi gli interpreti, ma stupisce March, fighetto anni 30, declassato a macchietta anni ‘60 (comunque in parte).

Unica mozione completamente positiva la regia di Kramer, continuamente intenta in sinuosi carrelli laterali che portano a costruire le scene su più piani (arriva ad utilizzarne 3) senza bisogno di panfocus o altro artifizio. Bravo!

martedì 11 gennaio 2011

Corte marziale - Otto Preminger (1955)

(The Court-martial of Billy Mitchell)

Visto in VHS.

Finita la prima guerra mondiale un generale degli stati uniti si rende conto del grande potenziale bellico dei neonati aerei e cerca di dimostrarlo ai superiori che, a quanto pare, sembrano continuare a preferire la fanteria ritenendo i velivoli diversi dai dirigibili come dei giocattoli. Il visionario militare si scontrerà più volte per cercare di dimostrare l’utilità sulla nuova arma e ottenere più finanziamenti per un’aviazione che è priva di sistemi di sicurezza fino a scatenare verso di se una corte marziale affinché si parli del problema.
Legal movie di Preminger che in certi echi anticipa il tema di “Anatomia di un omicidio” (lo scontro fra avvocati che si risolve in un duello di furberie sempre al limite fra legalità ed emozioni personali più che sui fatti oggettivi) e per stile “Tempesta su Washington” (anche se la versione che ho visto ha ammazzato completamente l’ariosità del cinemascope), ma niente illusioni, fra quei film e questo ci sono notevoli distanze…
Il visionario generale (un altro personaggio da annoverare nella galleria delle ossessioni di Preminger), ben interpretato da Cooper, è eccessivamente preciso nelle sue previsioni (prevede l’attacco a Pearl Harbour da parte di aerei giapponesi con vent’anni d’anticipo) e troppo eroico e granitico nei modi per essere all’altezza dei suoi tortuosi posteri cinematografici.Il film è gradevole e si fa guardare con disinvoltura, in attesa che Preminger cresca, in capacità e cinismo.

sabato 1 gennaio 2011

Anatomia di un omicidio - Otto Preminger (1959)

(Anatomy of a murder)

Visto in DVD.

Un omicidio, causato dalla voglia di vendetta di un marito cui hanno violentato la moglie è il motivo per questo lungo legal movie. Qui però, come già in “Tempesta su Washington” l’istituzione non è vista dal punto di vista idilliaco ufficiale, ma è presentata come un sistema sostenuto da rigide formalità di facciata che devono essere aggirate e prese in giro per poter avere la meglio; il processo si sviluppa come un duello di lingue molto simile ad un battibecco infantile.

L’occhio clinico e spietato di Preminger anatomizza in primo luogo il sistema giudiziario ed in secondo luogo le personalità dei personaggi principali, il tutto senza mai un giudizio, l’intera vicenda rimane in un’assoluta ambiguità e sta allo spettatore decidere a chi credere (una scelta che dimostra una precisa filosofia di vita, ma anche un assoluto rispetto negli spettatori del film). Ancora una volta il regista sfida la censura trattando di un tema adulto (la violenza sessuale) senza giri di parole, in maniera diretta e reiterata, e pure con un poco di sarcasmo (la scena in cui vengono nominate per la prima volte le mutandine durante il processo ad esempio).

Qui le gesta della macchina da presa sono meno enfatizzata che ne “L’uomo dal braccio d’oro”, ma le capacità di regia di Preminger sono indubbie nella gestione di un film di avvocati di 2 ore e mezza senza neppure un momento di stanca.

Anche in questo caso bellissime le musiche, adatte al mood del film, firmate da Duke Ellington (che compare in una comparsata, suonando il piano assieme a James Stewart).

PS: Preminger deve avere un feticismo tutto particolare nel far bere alcoolici ai cani…